Vangelo secondo Tommaso, Introduzione, traduzione e commento di Matteo Grosso, Carocci, Roma 2011, pp. 304, euro 25.
Non trovo parole migliori di quelle spese da Armando Torno, sul “Corriere della sera”, per descrivere questa felice novità editoriale, curata dall’amico Matteo Grosso [N.d.R.].
«Sotto il nome di Tommaso sono pervenuti alcuni testi apocrifi del primo cristianesimo. C’è il Vangelo dell’infanzia di Tommaso (in greco, risalente al II secolo) e c’è il Libro di Tommaso il Contendente o l’Atleta, in copto, del III secolo. Soprattutto c’è il Vangelo secondo Tommaso, ritrovato nei codici copti, scoperti a Nag Hammadi nel 1945. Tre frammenti separati della versione greca furono rinvenuti a Ossirinco, in Egitto, nel 1897 e nel 1903 […]. L’incipit è potente, fascinoso: “Questi sono i detti segreti che Gesù il vivente ha proferito e Giuda, che è chiamato anche Tommaso, ha scritto. E disse: Chi troverà l’interpretazione di questi detti non gusterà la morte”. In esso se ne leggono 114. Se si volesse sintetizzare il contenuto dello scritto, basterà dire che il Regno di Dio è già sulla Terra e la luce divina, presente in tutti gli uomini, può permettere di vederlo e di entrarvi. In italiano non mancano versioni di questo vangelo: una, dovuta a Mario Erbetta, uscì nella grande raccolta degli apocrifi neotestamentari di Marietti (in 4 volumi, edita tra il 1966 e il 1981); la seconda si deve a Luigi Moraldi, e si trova ne I Vangeli gnostici (Adelphi, 1984). Ora, con il testo copto a fronte, vede la luce nei “Classici” di Carocci un Vangelo secondo Tommaso curato da Matteo Grosso (pp. 304, Euro 25). Ampia introduzione, commento dettagliato e informatissimo fanno di questa traduzione con l’originale a fronte un’opera di riferimento anche per lo specialista, oltre che per il lettore interessato. Giustamente Grosso pone un punto di domanda accanto alla qualifica di gnostico e, tra l’altro, si sofferma sul rapporto tra Tommaso e i Vangeli sinottici. Il volume ha altri pregi e dimostra che in Italia è possibile ancora pubblicare testi importanti e ben curati. E che l’editoria di qualità si può fare. Basta averne voglia».
(Fonte: “Corriere della sera”, 18 settembre 2011)
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Il curatore
Matteo Grosso è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Filologia linguistica e tradizione classica “A. Rostagni” dell’Università di Torino. Si è occupato della ricezione del Vangelo secondo Tommaso nel cristianesimo antico, di aspetti intertestuali del Vangelo di Giuda e di altre questioni relative agli scritti delle origini cristiane. Tra le sue pubblicazioni, “Three Days and Eight Days: Chronology in the Gospel of Judas”, in The Codex Judas Papers (Leiden, 2009) e “A New Link between Origen and the Gospel of Thomas: Commentary on Matthew 14,14”, in “Vigiliae Christianae”, 65 (2011).
Con tutto il rispetto per la competenza di un ricercatore come Matteo Grosso, ma, da semplice autodidatta delle cose di Dio, porre un punto di domanda di fronte alla qualifica di “gnostico”, per il vangelo di Tommaso et similia, mi sembra alquanto forzato. Un influsso gnostico, infatti, appare evidente già dall’incipit. Un testo come “Questi sono i detti segreti che Gesù il vivente ha proferito” o come quest’altro “Chi troverà l’interpretazione di questi detti non gusterà la morte” puzzano di “esoterismo”, di “iniziazione”, lontano un miglio. In questi testi si afferma l’esistenza di una presunta “dottrina segreta”, dunque riservata a pochi iniziati, che sarebbe stata rivelata da Cristo per chi, individualmente ossia senza appartenenza alla Chiesa, ne saprà cogliere il senso autentico. Posizioni di tal genere sono analoghe a quelle che – sia in età apostolica sia in pieno medioevo ed oltre – distinguendo tra una Chiesa petrina exoterica ed una Chiesa giovannea esoterica hanno preteso di supporre un dualismo esegetico, per cui l’esegesi petrina sarebbe per le masse ignoranti e la presunta esegesi giovannea per i pochi “sapienti” qualificati. Se non è gnosi questa, mi chiedo cosa allora lo sia. Anche l’idea per la quale il “Regno di Dio è già sulla Terra e la luce divina, presente in tutti gli uomini, può permettere di vederlo e di entrarvi” puzza di gnosticismo. Non tanto per quel “Regno di Dio già presente” che, riferito alla Perosna di Gesù Cristo, è senz’altro evangelico ed ortodosso, quanto per quella “luce divina, presente in tutti gli uomini” che sa tanto di “frammentazione del pleroma” o di “scintilla spirituale da risvegliare” o, in termini moderni, di “cristianesimo anonimo” ranheriano. Ora, che lo Spirito Santo sia infuso nell’anima di tutti gli uomini è cosa certa ma che la Grazia salvifica da Lui conferita, per il Sacrificio Redentore della Croce, sia già presente in tutti gli uomini, indipendentemente dai sacramenti e dalla disposizione dell’uomo ad accoglierLa, non è affermazione canonicamente accettabile. Del resto, se è vero che Gesù Cristo parlava per parabole invitando chi ha orecchie per intendere ad intendere, è pur vero che poi le parabole le spiegava apertamente ai discepoli invitandoli a gridare dai tetti la Verità perché nulla vi è di nascosto che tale deve rimanare (“Io ho parlato al mondo apertamente … non ho mai detto nulla di nascosto”, Gv. 18, 20; ed ancora “Poichè non vi nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti”, Mt. 10, 26-27). La questione sta tutta nel fatto che Cristo intende far partecipe chiunque voglia, al di là di presunte “qualificazioni iniziatiche”, del Mistero nascosto nei secoli ossia della Sua Vita Divina attraverso la Sua Umanità. E perché questa partecipazione fosse possbile nella storia, lungo lo scorrere dei secoli, ha fondato la Chiesa come Suo Corpo Mistico affidandole la conservazione del Depositum Fidei e della Tradizione. L’esegesi, nella Chiesa, serve sopratutto a questo, pur nell’accoglienza di quanto le scienze umane possono dirci di utile e di interessante (evitando però di fare di esse un assoluto perché nelle scienze umane non si da alcun assoluto e quel che oggi ci pare “scintificamente” certo domani potrebbe non esserlo più).
Cari saluti.
Luigi Copertino
Caro Luigi, la questione è molto più complessa di come la poni, e le tue osservazioni mi sembrano soffrire di un certo sbilanciamento pregiudiziale.
Penso che tu ti sia fatto trarre in inganno da un passaggio della breve recensione di Armando Torno (che da quel che scrive, ma qui lo dico e qui lo nego, forse non ha nemmeno letto il commento di Grosso): “Se si volesse sintetizzare il contenuto dello scritto, basterà dire che il Regno di Dio è già sulla Terra e la luce divina, presente in tutti gli uomini, può permettere di vederlo e di entrarvi”. Questa frase, in effetti, rappresenta una chiave interpretativa molto diffusa (soprattutto a livello popolare), ma è anche un’opinione personale del recensore, che non rende giustizia né alla complessità del testo evangelico in questione, né (ed è questo il punto decisivo) al pregevole lavoro di analisi compiuto da Grosso nel suo volume.
Per accostarci criticamente al Vangelo di Tommaso, dobbiamo innanzitutto considerarne la natura composita: la sua storia redazionale non può essere ridotta al risultato “finale” della traduzione copta ritrovata a Nag Hammadi (il cui carattere “gnostico”, peraltro, viene contestato da un’ampia schiera di studiosi, spesso con ragioni condivisibili: si vedano ad es. i vari contributi di April DeConick), e nemmeno alla storia della sua ricezione negli ambienti “gnostici” (anche in questo caso, un milieu tutto da ridefinire).
Questo testo pone allo storico delle origini cristiane una serie enorme di problemi. Come sai bene, si tratta di un Vangelo assolutamente atipico, rispetto ai canonici e ad altri vangeli “apocrifi”, perché formato esclusivamente da parole attribuite a Gesù, presentate senza alcuna cornice narrativa e disposte senza un ordine logico apparente. Ma chi le ha raccolte in questo modo, e perché? Qual è il loro rapporto con i detti che troviamo nella tradizione sinottica o nel Vangelo di Giovanni? Quali sono le differenze tra la loro versione greca (frammentaria, ma più antica) e quella copta (integrale, ma posteriore di due secoli)? Per rispondere a tutte queste domande non possiamo partire da posizioni precostituite, ma dobbiamo armarci degli strumenti offerti dalla critica storica e filologica. Non c’è altra via.
Così, è importante constatare che dei 114 detti che compongono l’opera nella versione più tarda, un’ottantina circa dispongono di paralleli nei Vangeli sinottici (fatto di per sé rilevante), mentre soltanto una loro piccola percentuale sembra tradire un rimaneggiamento posteriore di sapore “gnostico”.
Faccio un solo esempio. Tu contrapponi alla prospettiva (che definisci “iniziatica” ed “esoterica”) del Vangelo di Tommaso la frase di Mt 10,26-27: “Poiché non vi è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti”. Ma non tieni conto del fatto che anche il Vangelo di Tommaso riporta le stesse parole di Gesù (ai detti 5, 6 e 33), secondo una formulazione che risulta indipendente rispetto a quella di Matteo (e dei suoi paralleli sinottici), e che nulla spinge a considerare, per forza di cose, meno antica!
Quel che voglio dire è molto semplice: tu hai sicuramente ragione quando scrivi che “nelle scienze umane non si dà alcun assoluto e quel che oggi ci pare ‘scientificamente’ certo domani potrebbe non esserlo più”. Qualunque storico serio riconosce oggi il carattere parziale e relativo del proprio sapere (i danni, in direzione contraria, li fanno piuttosto i filosofi o… i giornalisti…). La mia non è una difesa d’ufficio del lavoro storico. Dico soltanto che per contrapporsi a un’opinione storiografica occorre considerarne gli argomenti e le premesse, non predeterminarli.
Prendiamo il caso dell’apologetica. Se è vero che un’apologetica (una buona apologetica), per reggersi in piedi ha anche bisogno di avvalersi della storia, è ugualmente vero che un’indagine storica (se vuole essere una buona indagine storica) non può assolutamente partire da premesse apologetiche. Altrimenti il gioco non vale.
Testi come il Vangelo di Tommaso, oggi più che mai, hanno quindi bisogno di essere sottratti dalla pessima letteratura che li circonda (magari ammantandoli di un’aura di mistero): ma questo implica che li si debba studiare per quello che hanno da dirci sul loro ambiente storico di origine, e non su ciò che tradizioni teologiche, filosofiche o esegetiche successive vi hanno proiettato (e vi continuano a proiettare).
Ho scritto sopra che il volume di Grosso colma una grave lacuna nel panorama editoriale italiano, e ci tengo a ribadirlo: perché nel nostro paese, purtroppo, sono davvero pochissimi gli studi seri apparsi su questo argomento. Se escludiamo le ormai vecchie traduzioni citate da Torno (soprattutto quella di Moraldi, le cui note di commento appaiono decisamente superate), o l’edizione “pirata” de Il Vangelo di Tommaso di Richard Valantasis (tradotto da Arkeios nel 2005), quel che mancava finora era proprio un commentario di questo tipo, divulgativo ma non superficiale.
Il libro di Grosso, da questo punto di vista, si presenta come uno strumento di grande utilità, anche per fare i conti con quel che bolle in pentola nel dibattito internazionale più recente.
Un saluto!
Caro Luigi (mi piace questo dialogo tra omonimi),
alzo le mani! Ammetto che la mia è stata piuttosto una “reazione” alla recensione di Torno. Non ho certo le tue competenze in materia di esegesi storica ed apprendo, con piacere, che i detti del vangelo di Tommaso ripropongono, nella maggior parte dei casi, la tradizione sinottica, benché secondo una formulazione che risulta indipendente (e che quindi – mi sembra – non può che rafforzarla). Mettiamola, dunque, così: la mia polemica, magari apologetica, è rivolta piuttosto al recensore, che sembra, come mi dici, non aver ben letto e compreso il libro di Grosso e che quindi forse lo piega ad altre intenzioni, che all’autore, verso il quale del resto ho ammesso la referenza del non addetto ai lavori. Per quanto riguarda l’apologetica seria, che non può prescindere dal dato storico, ti do completamente ragione, come ti do ragione anche sul fatto che l’indagine storica non deve partire da posizioni “teologiche”. Però, vorrei aggiungere che – ma questo sta nell’ordine della personale scelta fondamentale che il ricercatore come uomo è chiamato a fare – prima o poi si arriva ad un punto nel quale, pur nella distinzione, bisogna trovare una connessione, un equilibrio. Altrimenti si cade nel rischio da me paventato dell’assolutizzazione. Rischio che, preciso, è duplice, perché si corre sia in senso fideistico che in senso “storicistico” (per non usare la parola “razionalistico”). E’ l’eterna questione della Fides et Ratio.
Cari saluti.
Luigi Copertino
Caro Luigi Walt
Riprendo questo commento che hai postato nel tuo intervento precedente
“perché formato esclusivamente da parole attribuite a Gesù, presentate senza alcuna cornice narrativa e disposte senza un ordine logico apparente”.
Matteo Grosso propone anche l’ipotesi di Nicholas Perrin che presume un originale in siriaco del vangelo sulla base di un parallelo con il Diatessaron di Taziano soprattutto rispetto ad uno studio delle parole gancio?
Perrin infatti osserva che la costanza con la quale il detto successivo è connesso al precedente tramite la ripresa di un termine chiave fa pensare non alla casualità ma al lavoro di un redattore. Secondo Perrin, “Il numero delle parole gancio in un Tommaso ricostruito in greco non supera quello presente nella versione copta”, mentre “Il numero di parole gancio in una versione siriaca di Tommaso equivale approssimativamente alla somma delle parole gancio del Tommaso greco e copto messi insieme”.
Rifacendomi al commento :”Se si volesse sintetizzare il contenuto dello scritto, basterà dire che il Regno di Dio è già sulla Terra e la luce divina, presente in tutti gli uomini, può permettere di vederlo e di entrarvi” forse è vero che appare una semplificazione e forse si tratta solo del pensiero di colui che ha svolto la recensione del libro, tuttavia sembra presente in alcuni logia del Vangelo stesso.
Ed appare piuttosto contrastante con le problematiche che spesso sono state sollevate circa il Regno di Dio, ad esempio l’attesa di una sua imminente venuta.
Mi pare che non si possa contemporaneamente affermare che il regno era atteso come imminente ed il regno fosse già presente, nella predicazione originaria di Gesù.
Mi pare che nei logia del Vangelo di Tommaso non siano presenti concetti come dannazione eterna , inferno o Satana che tuttavia dovrebbero essere concetti imprescindibili per un cristiano del I secolo d.C.
Come può essere conciliabile con una datazione di parte del materiale del Vangelo stesso con una tradizione molto antica?
Caro Enrico,
purtroppo riesco a risponderti solo ora, con un forte ritardo e in maniera telegrafica.
Il parere di Grosso su Perrin bisognerebbe chiederlo direttamente a lui (nel commento viene citato solo sporadicamente). Per come la vedo io, sembra ormai assodata l’ipotesi di una stratificazione redazionale del Vangelo di Tommaso in più tappe, secondo le linee interpretative proposte a suo tempo da Gilles Quispel e da Henri-Charles Puech, e riprese in forma originale da April DeConick (su cui si basa anche Grosso).
Secondo Quispel, le fonti utilizzate dal redattore finale del testo sarebbero state sostanzialmente di tre tipi: un Vangelo di area cosiddetta “giudeo-cristiana” (Quispel pensava al Vangelo dei Nazareni), un Vangelo di tendenza encratita (forse il Vangelo degli Egiziani) e una tardiva raccolta di detti, proveniente da ambienti legati all’ermetismo. Puech, appellandosi alle differenze tra la redazione greca del Vangelo e quella in copto, ipotizzava invece la circolazione di due versioni del testo, l’una “ortodossa” e l’altra compiutamente “gnostica”.
La DeConick, sulla base di una serie di criteri ermeneutici estremamente sofisticati (che qui non posso riassumere), propone invece di individuare quattro stadi di sviluppo (orale) del testo. La sua posizione può essere riassunta rapidamente in questo modo:
a) Le origini del Vangelo di Tommaso vanno rintracciate in una raccolta di detti organizzati in cinque grandi discorsi, databili intorno agli anni 50 del I secolo, e contemporanei o addirittura più antichi della cosiddetta fonte Q;
b) il ritratto di Gesù che emerge da questo nucleo più antico di detti è simile a quello del “Vero Profeta”, che ritroviamo negli scritti pseudo-clementini, con un forte orientamento escatologico;
c) quello di Tommaso non sarebbe mai stato un testo stabile (o destinato a una fissazione scritta), ma il risultato di una serie di esecuzioni orali, che dovevano rispondere via via alle esigenze del gruppo che utilizzava il Vangelo e ai suoi vari momenti di “crisi della memoria” (con riferimento alle teorie di M. Halbwachs, J. Assmann, ecc.);
d) una prima crisi della memoria, che avrebbe costretto a un rimaneggiamento e a una re-interpretazione dei materiali tradizionali, può essere collocata tra gli anni 60 e 100, con la delusione progressiva nei confronti delle attese apocalittiche;
e) da un’apocalisse “imminente”, il gruppo di Tommaso sarebbe quindi passato a un’apocalisse “immanente”, attraverso la ripresa di speculazioni mistiche e protologiche, attestate soprattutto negli ambienti alessandrini (Filone, Basilide, Valentino, Clemente, Origene), e una forte tendenza ascetico-encratista, tipica degli ambienti protocristiani della Siria (Taziano, la tradizione tommasina degli Atti apocrifi, il Liber Graduum, lo pseudo-Macario, ecc.);
f) questo, in ultima analisi, spiegherebbe i numerosi tratti comuni riscontrabili tra il Vangelo di Tommaso, la letteratura pseudo-clementina e il Diatessaron di Taziano.
Spero che la risposta non suoni troppo tecnica…
Un caro saluto!
@ Caro Luigi Walt
La risposta è molto interessante.
Anzi è un peccato che debba essere forzatamente una sintesi visto che si tratta di un post.
L’impressione da apassionato, ma non del campo, è che da quanto mi hai risposto le possibili spiegazioni sulla formazione del Vangelo di Tommaso siano molto complesse.
e spiegazioni molto complesse.
Posso ancora chiederti quale sia il nucleo di detti o parte degli stessi più antico individuato secondo questa ipotesi?
Ma soprattutto posta valida questa soluzione, questo nucleo originale, rispetto ai Vangeli canonici, apporta sostanziali modifiche a quanto emerge da questi o in definitiva nulla di così trascendentale?
Visto che il sito è Paulus 2.0 e che tu hai toccato l’argomento “apocalisse “imminente”” a tuo giudizio, la tesi che vuol vedere nella prima lettera ai Tessalonicesi un’ attesa imminente della Parusia è una interpretazione o un fatto.
Rispetto ad esempio all’analisi del testo svolta da A. Romeo o le tesi recentemente ripresentate da Flores d’Arcais nella sua ultima “fatica”.
OT – segnalo che non è più possibile accedere alle “altre letture.
Saluti. s