Il brano è tratto da Marco Bussagli, Storia degli angeli. Racconto di immagini e di idee, Bompiani, Milano 2003 (I ed. Rusconi, Milano 1993), pp. 193-196 (*).
Noto alla cultura latina fin dall’epoca di papa Gregorio Magno, che lo ricorda chiamandolo «antiquus et venerabilis Pater», lo pseudo-Dionigi ebbe un ruolo decisivo nell’ambito della speculazione teologica, non senza riflessi in campo storico-artistico. Diffusasi nella cultura latina soprattutto dopo la traduzione di Giovanni Scoto Eriugena, la mistica del “divino Dionigi” fu un preciso punto di riferimento per tutto il Medioevo, per il Rinascimento e ancora in pieno Barocco, quando gli scritti areopagitici furono di nuovo ristampati nell’edizione latina del 1634. Sicché il pensiero dionisiano influì di volta in volta sulla visione filosofica di grandissime figure come san Tommaso d’Aquino, Dante Alighieri, Marsilio Ficino o Giordano Bruno. Del resto, anche oggi, quando vogliamo parlare di Angeli, appare evidente che non si può far a meno di ricordare lo pseudo-Dionigi e, in particolare, l’opera più nota della sua produzione: il De coelesti hierarchia.
L’autore comincia il trattato citando il passo della Lettera di san Giacomo (1,17) ove è scritto: «Ogni favore eccellente, ogni dono perfetto discende dall’alto, dal Padre degli astri», un passo che costituisce la premessa indispensabile alla speculazione che lo pseudo-Dionigi sviluppa nella sua dissertazione. Egli infatti non vuole far altro che spiega re in quale maniera i «doni perfetti» di Dio possano giungere fino agli uomini.
Fra Dio e noi, spiega Dionigi, c’è la gerarchia celeste! Questa è costituita dal mondo angelico che è intermedio fra il mondo umano e Dio, ma talmente connesso al mondo umano che questo è l’immagine del mondo angelico. Per semplificare, potremmo dire che la gerarchia celeste costituisce una sorta di immensa Scala di Giacobbe che permette agli uomini di salire fino a Dio imitando gli Angeli. San Gregorio Magno (a cui, si è visto, non era ignoto il pensiero di Dionigi) lo afferma implicitamente in una delle sue omelie, ove degli Angeli, per il fatto stesso di costituire degli archetipi comportamentali umani, si dice che rappresentano il modello cui gli uomini devono tendere per tentare di comprendere Dio.
È comunque da precisare che la imitatio di ognuno dei “gradini” della scala – sia pure del più basso – conduce ad una cognizione del divino inevitabilmente parziale, ma compiuta in sé. Scrive perciò Gregorio che vi sono alcuni uomini che si accontentano di conoscere e di annunciare ai fratelli piccole cose, e costoro sono uniti alle schiere degli Angeli. Altri aspirano a conoscere e ad annunciare i sommi segreti dei cieli, e costoro assomigliano agli Arcangeli. Coloro che agiscono ed operano in modo egregio corrispondono invece alle schiere delle Virtù. Vi sono uomini che mettono in fuga gli spiriti maligni con la potenza delle loro preghiere: questi vanno avvicinati alle schiere delle Potestà. Quelli invece che, per elette virtù, dominano su fratelli ugualmente eletti assomigliano alle schiere dei Principati. Gli uomini, poi, che riescono a dominare in se stessi ogni impulso malvagio sono vicini alle schiere delle Dominazioni. Coloro che contemplano il Signore e lo accolgono come in un trono dal quale giudica i fatti altrui sono uniti alle schiere dei Troni. Gli uomini che più degli altri ardono di fraterna carità sono annoverati nel numero dei Cherubini, perché “cherubino” significa pienezza di scienza e, secondo san Paolo (Rm 13,10), la pienezza della legge è la carità. Vi sono infine altri uomini che, accesi soltanto dall’ardore di contemplare l’Altissimo, non desiderano nulla delle cose di questo mondo e perciò si nutrono solo dell’amore di Dio. Costoro, il cui cuore brucia e sfavilla, ricordano le schiere dei Serafini.
Si tratta, perciò, di una gerarchia vera e propria, che nel caso di Gregorio evidenzia tanto la morale umana quanto quella angelica dove i gradi sono costituiti dai nove ordini. Gli Angeli in basso, i Serafini al sommo, questi sono gli estremi della “scala gerarchica”, l’uno vicino agli uomini e l’altro vicino a Dio.
Tuttavia, non si deve intendere la struttura gerarchica del mondo angelico secondo il significato che si è soliti dare a questo termine in senso umano: chi sta sopra comanda e chi sta sotto obbedisce. Spiega infatti lo pseudo-Dionigi: «Secondo me, la gerarchia è un ordine sacro, una scienza e una operazione che si conforma, per quanto possibile, al Divino e che è portata all’imitazione di Dio proporzionalmente secondo le illuminazioni che da Dio stesso le sono comunicate» (De coelesti hierarchia, III, 1, 164d).
In altre parole, a questa struttura partecipano gli Angeli che la compongono, specchiandosi in Dio e riflettendone l’immensa luce ognuno secondo la capacità che Dio stesso ha attribuito loro. È il variare di questa capacità, chiamiamola riflettente, che determina il grado della gerarchia. Del resto, l’Angelo è lo specchio di Dio, uno «specchio puro, limpidissimo, immacolato, incorrotto, non inquinato, pronto a ricevere … tutta la bellezza della forma divina improntata al bene» (De divinis nominibus, IV, 22, 211).
Questo sistema di specchi spirituali non fa altro che rimbalzare la luce divina di ordine in ordine, trasformandosi in un’immensa cascata luminosa che pervade tutta la Creazione fino all’Uomo, il quale può così bearsi, senza esserne accecato, del riverbero della luce di Dio, giacché di ordine in ordine la luce si affievolisce adattandosi alla capacità riflettente dell’essere angelico che la riceve e, infine, anche a quella dell’Uomo.
Non si può pensare, però, che nell’ambito della gerarchia celeste gli Angeli si impegnino, come farebbero gli uomini, per conquistare l’ordine gerarchico superiore. Gli esseri del mondo angelico si appagano completamente del loro ruolo e della loro posizione perché questa è stata voluta da Dio; un po’ come accade ai Beati del Paradiso dantesco. Infatti Piccarda Donati chiarisce il dubbio del querulo Dante:
Se disïassimo esser più superne,
foran discordi li nostri desiri
dal volere di Colui che qui ne cerne…
Anzi è formale ed esto beato esse
tenersi dentro alla divina voglia,
per ch’una fansi nostre voglie stesse.
(Par. III, 73-75; 79-81)
Tuttavia, sulla successione e sul numero degli ordini angelici non tutti gli autori sono concordi. Secondo san Girolamo (347-420 ca.), per esempio, gli ordini angelici sono sette, mentre sant’Ambrogio (vescovo di Milano dal 373 ca.) ne conta nove, gli stessi indicati da san Gregorio Magno. Solo che il Santo milanese (possiamo considerarlo tale anche se nativo di Treviri) pone le Dominazioni prima dei Troni, mentre papa Gregorio – lo abbiamo visto – fa il contrario.
Pure Dante ebbe qualche tentennamento sul susseguirsi degli ordini angelici. Infatti nel Convivio li enumera secondo una scansione diversa da quella adottata nella Divina Commedia, che poi doveva essere quella giusta – se vogliamo – , perché il Poeta immagina addirittura di poterlo testimoniare con l’“occhio” del vivo. Scansione, quest’ultima, che Dante aveva ricalcato pari pari su quella di Dionigi, e che pure san Tommaso, nella Summa Theologiae, rispettò e adottò. Eccola dall’alto verso il basso:
I Gerarchia
- Serafini
- Cherubini
- Troni
II Gerarchia
- Dominazioni
- Virtù (Potenze)
- Potestà
III Gerarchia
- Principati
- Arcangeli
- Angeli
Dante ricordò che pure papa Gregorio aveva ordinato diversamente gli Angeli rispetto all’Areopagita, e scrisse:
E Dïonisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise,
che li nomò e distinse com’io.
Ma Gregorio da lui poi si divise;
onde, sì tosto come li occhi aperse
in questo ciel, di sé medesmo rise.
(Par. XXVIII, 130-135)
La testimonianza “visionaria” di Dante è estremamente indicativa, perché costituisce un ulteriore avallo di tutta la teoria dionisiana che così, se da una parte divenne il paradigma a cui tutti i teologi, per un verso o per l’altro, furono costretti a fare riferimento (non foss’altro che per l’organicità dell’opera), dall’altra, grazie alla “divulgazione” dantesca, divenne accessibile anche a chi di teologia non s’interessa.
Del resto, tentativi di sistematizzazione degli ordini angelici (li abbiamo ricordati) erano stati compiuti anche da altri, ai quali potremmo aggiungere, in ambito greco-bizantino, quelli di Cirillo di Gerusalemme e di Giovanni Crisostomo; ma nessuno ebbe la diffusione e l’importanza del sistema dionisiano.
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