Eucaristia e Ministero

Il brano è tratto da Klaus Berger, I cristiani delle origini. Gli anni fondatori di una religione mondiale, trad. it. di A. Rizzi, Queriniana, Brescia 2009, pp. 142-144 (*).

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Spesso si fa osservare che nei racconti di istituzione dell’ultima Cena non si fa parola di ministri autorizzati che debbano ripetere la celebrazione in forma di memoriale, e tanto meno di ministri consacrati.

Ora, dalle comunità paoline come quella di Corinto si può certamente desumere con buon fondamento che Paolo è «presente nello Spirito» (1Cor 5,3) quando si celebra l’eucaristia. Dunque ciò che la comunità compie in sua assenza vale come se fosse fatto insieme con lui. E i primi tre vangeli non vedono necessità alcuna di ammettere un rappresentante autorizzato di Gesù, poiché Gesù stesso è ancora presente. Anche la Didaché (Dottrina dei dodici Apostoli) non nomina alcuna persona autorizzata; ci dev’essere, però, uno che reciti le preghiere e benedica e distribuisca pane e vino. Dal punto di vista puramente tecnico e a partire dalla tradizione del pasto antico (cfr. Plutarco, Symposiaka) ci deve essere obbligatoriamente uno che presiede al pasto. Non è un postulato, ma una ovvietà. Eppure, per ragioni confessionali si continua ad insistere su questo punto e a chiedersi perché nessun anziano o padrone di casa venga menzionato, se questo è così importante per cattolici e ortodossi.

Risposta: è ovvio che la figura di chi presiede al pasto (da solo o meno) è qualcosa come un elemento teologico; infatti garantisce l’unità del pasto nel presente della chiesa e nell’insieme della sua storia. Egli serve come ministro di una funzione importante: non evidenzia altro se non che l’eucaristia è il pasto dell’unità. In quanto pasto dell’unità, l’eucaristia è l’espressione centrale della volontà di Dio nella sua interezza. E anche chi presiede al pasto non fa altro che sottolineare e rappresentare questo scopo del pasto. Perciò, primo: c’è sempre stato un presidente del pasto «in persona Christi» (perché c’è sempre stato uno che ha benedetto e distribuito il pane); e secondo: in quanto presidente del pasto, egli non è il suo scopo o il suo fine, ma serve completamente e sotto ogni punto di vista il fine dell’unità, che tutto il pasto deve rappresentare.

L’unica ragione per cui la celebrazione dell’eucaristia presuppone ed esprime l’unità, cioè appunto la celebra, è che essa semplicemente rappresenta a livello di segno l’essere tutti nutriti del corpo di Cristo. Nella celebrazione dell’eucaristia viene rappresentata l’unità della chiesa in qualche misura in forma di croce: come linea verticale (dall’alto in basso) e come linea orizzontale (da sinistra a destra). La linea verticale è la successione storica dal passato al futuro: chi viene prima trasmette il ministero a chi viene dopo. Nella figura della croce chi viene prima sta “sopra” e chi viene dopo sta “sotto”, lì dove la linea termina nel presente. E qui appunto si tratta dell’unità della chiesa attraverso i tempi. Infatti, nel rito della ordinazione accade questo: chi è venuto prima, in ogni caso chi è stato ordinato prima, trasmette il potere di ordinare a chi viene dopo, ai successori, alla generazione prossima. Così, con l’imposizione delle mani e con l’unzione, nasce una catena attraverso le generazioni. Torneremo a chiederci perché la chiesa cattolica si attenga con tanta intensità a questa catena attraverso le generazioni; per il momento è importante soltanto l’idea della catena ininterrotta. Nell’imposizione delle mani questo elemento rilevante viene soltanto «puntualizzato in forma sacramentale».

Per quanto riguarda la linea orizzontale: il ministero sacerdotale trova il suo compito, il suo luogo e la sua misura, nel simultaneo intreccio di compiti e di doni all’interno di una comunità, nel fatto di organizzare l’unità, di guarire l’unità (ristabilendola), di garantire l’unità. Perché l’ordinato è colui che organizza nel presenta l’unità della comunità. Egli si assume dunque una porzione del compito dell’apostolo, così come Paolo lo ha esercitato in maniera ricca di bellezza e di fantasia come pastore delle anime e come politico della chiesa. Dovrebbe essere chiaro che questo è tutt’altra cosa dal dominare la comunità, ed è invece servirla.

Naturalmente nella chiesa, accanto al ministero ordinato che si trasmette nella successione, vi sono anche altri doni trasmessi di rettamente da Dio nel battesimo o, in ogni caso, nello spazio della chiesa. A partire da Paolo li si chiama carismi. Questi doni vengono conferiti «trasversalmente rispetto ai ministri ordinati». Essi si sviluppano abitualmente in ogni comunità; ancora una volta filtrati esistenzialmente attraverso l’esempio della multicolore pluralità di profili carismatici nei santi. Nei confronti dei carismi il ministero sacerdotale ha invece un’altra, singolare funzione: esso garantisce infatti, nei confronti della diversità dei carismi, la loro unità, o, per meglio dire, la loro subordinazione in ogni caso all’unità da salvaguardare. In 1Cor 12s. Paolo dimostra con grande efficacia di intendere proprio così il compito del proprio ministero apostolico.

Poiché la celebrazione eucaristica è la più alta realizzazione dell’unità della chiesa, il ministero ne è al centro in quanto garante dell’unità nella storia (in forma verticale) e nella comunità (in forma orizzontale). Se dunque il pasto del Signore è il dispiegamento e la celebrazione dell’unità della comunità, il ministero vi è indispensabile. Il compito più elevato del ministero ecclesiale è in tal modo la “guida” della celebrazione eucaristica. Infatti ogni invito al pasto del Signore, ogni realizzazione ordinata e la rimozione di tutto ciò che minaccia l’unità è appunto compito del ministero. Così non è soltanto salvaguardata l’unità nel succedersi dei tempi, ma anche nella sua organizzazione presente.

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