di Giovanni (detto Umile) Bonzi
L’articolo corrisponde alla voce «Combattimento spirituale», in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1948-1954, vol. IV, coll. 37-40.
[Il combattimento spirituale è la] repressione ascetica delle tentazioni e delle inclinazioni viziose, raggiungimento dell’ideale morale. La lotta per la vita e per migliorarne ed elevarne la forma, esiste non solo come forza sublimante e selezionante, nel mondo organico ed in quello sociale, ma in modo particolare in quello spirituale e soprannaturale.
Che la vita spirituale del cristiano sia lotta, è uno dei concetti che con più insistenza inculca la Scrittura del Nuovo Testamento: «Non sarà coronato se non colui che avrà legittimamente combattuto» (2Tim 2,5).
L’insegnamento che la vita spirituale è lotta è particolarmente svolto nelle Epistole paoline. La vita dell’Apostolo, dopo la conversione, è un «bonum certamen». La vita cristiana è da lui rappresentata come una lotta aspra, con alterne vicende, terminante solo con la morte, lotta d’importanza massima, essendo in gioco la vita eterna (1Cor 9,26 sg.; cf. Eb 12,4).
Vi sono infatti in noi come due esseri, «due uomini»: l’«uomo nuovo» rigenerato, prodotto della Grazia, vivente nello «spirito», che si sforza di attuare e sviluppare l’organismo soprannaturale iniziatosi con il Battesimo; ma sussiste accanto il «vecchio uomo», l’uomo «animale», «naturale», vivente nella «carne», che indulge cioè alle disordinate tendenze derivanti dal peccato originale.
In questo «vecchio uomo», non annichilato dal Battesimo nelle sue prave tendenze, cioè nella «concupiscenza», sta il nemico da combattere. La concupiscenza è triplice: «concupiscentia carnis, oculorum et superbia vitae» (1Gv 2,16). La lotta dell’«uomo nuovo» contro l’attrattiva sregolata dei piaceri sensuali e dei beni terreni, e contro l’orgoglio, è resa più aspra dall’intervento, in sostegno del nemico interno, di due altri terribili nemici esterni: il mondo (cioè il complesso di coloro che si oppongono a Cristo, con la loro dottrina e forma di vita, cui il cristiano deve essere «crocifisso» e viceversa: Gal 6,14; cf. 1Cor 7,31); il demonio, per invidia del quale peccato, morte e concupiscenza sfrenata entrarono nel mondo, e contro cui bisogna perennemente lottare (Ef 6,12).
Questi tre nemici dell’anima nostra in realtà sono uno solo. L’«uomo vecchio», carnale, viene fatalmente a conflitto con l’«uomo nuovo»; non possono convivere insieme, ma uno deve di necessità morire, poiché, mentre l’uomo «carnale» è allettato dai piaceri senza preoccupazioni morali, l’uomo «spirituale» aborre i piaceri proibiti, sacrificandoli al dovere, cioè alla legge divina.
Di qui il combattimento spirituale perpetuo, che trasforma il cristiano in «atleta» e in «soldato», lottante sino alla morte per una immortale corona (Ef 6,10-16: l’armatura del milite di Cristo). La lotta non ha tregua durante la vita terrena, poiché tutti gli sforzi per liberarsi dell’«uomo vecchio» riescono solo ad indebolirlo, fortificando l’«uomo nuovo» contro di lui.
Gli scritti dei Padri Apostolici, a sfondo eminentemente ascetico, sviluppano tutti il concetto della vita cristiana come combattimento spirituale. Ciò spicca in modo particolare nella prima parte della Didaché, la catechesi morale (capp. 1-6), detta anche «libro delle due vie»; lo Pseudo-Barnaba riassume nei capp. 18-21 la dottrina delle «due vie» esposta nella Didaché. Notevoli accenni al combattimento spirituale si hanno anche nel Pastore di Erma, che insegna l’encratismo inteso nel senso ortodosso di ascetismo. La vita cristiana è assomigliata ad un combattimento spirituale soprattutto nella Seconda Epistola pseudo-clementina, omelia in cui l’oratore propone, dopo un breve esordio su Gesù Cristo (capp. 1-4), il suo tema (capp. 5-7), cioè il combattimento spirituale che il cristiano deve condurre contro il mondo; il concetto di questa lotta è sviluppato nei capp. 8-17 (questo celeste combattimento consiste specialmente nello sviluppo delle virtù cristiane: penitenza, purità, carità, confidenza, etc.), e concluso nei capp. 18-20 con un caldo invito a servir Dio e a lottare per lui, costi ciò che può costare. La letteratura patristica dei secoli II-III è letteratura di combattimento, trovandosi la Chiesa in un secolo di lotta.
L’Epistola a Diogneto sviluppa il concetto della lotta tra carne e spirito (capp. 5-7). Clemente Alessandrino concepisce il «pedagogo», cioè Cristo, non solo come padre, ma anche come pilota e generale che guida i cristiani alla battaglia contro i vizi del mondo (cap. I). Origene sviluppa il concetto della lotta del cristiano contro il demonio, il mondo, la carne (De principiis, III: PG 2, 425-562, 641-1632). S. Efrem, la cui dottrina spirituale ha esercitato un grande influsso nei monasteri orientali, considera la vita spirituale sotto la luce di un combattimento, di cui indica le armi pronte per sostenere il cristiano nella vittoria, cioè il digiuno, la temperanza, la preghiera, le sante letture, l’esercizio delle virtù, e in modo particolare la carità, la verginità, la pazienza, l’umiltà e la penitenza (cf. G.S. Assemani, Opera omnia graece, latine, syriace, serie greca I, Roma 1732, p. 66; II, pp. 321-322, 461; particolarmente nel Trattato sulla vita spirituale, serie greca, I, pp. 258-282; e in quello sulla formazione dei monaci, III, pp. 337-356), concetto ripreso da s. Giovanni Crisostomo, da s. Nilo Abate, e da tutto il monachismo orientale. Di questi scrive F. Cayré (Patrologia e storia della teologia, vol. I, Roma 1938, pp. 497 sg.) che sembra abbiano particolarmente meditata che questa vita è un combattimento; hanno compreso e gustato le parole con cui s. Paolo esortava gli Efesini a rivestirsi dell’armatura di Dio. I nemici contro cui il monaco deve combattere sono il demonio e i vizi. Il monaco doveva particolarmente vigilare contro Satana, le tentazioni, ossessioni e illusioni demoniache, imparando a riconoscerne l’aggressione nell’inquietudine dell’anima, e ricorrendo alle tre armi: preghiera, lavoro, digiuno. Tale insegnamento è molto bene espresso in s. Gerolamo, e nelle Institutiones di Cassiano ai monaci.
Nella Psychomachia (PL 60, 3, 11-90), il poeta cristiano Prudenzio celebra in 915 esametri il combattimento spirituale delle virtù cristiane contro il vizio, in cui «prima petit campum, dubia sub sorte duelli pugnatura Fides». Il pensiero è ripreso nella Scala (klímax) Paradisi, di s. Giovanni Climaco, e fatto proprio da s. Bernardo e da s. Tommaso d’Aquino, che nel combattimento spirituale dà una particolare importanza ai vizi capitali, sorgenti di ogni peccato. Gli Esercizi spirituali di s. Ignazio di Loyola sono tutti imperniati sul concetto del combattimento spirituale: sono la «spiritualità dello sforzo… spiritualità del combattimento». Infatti la spiritualità di s. Ignazio ha un piglio militare. Cristo è un capitano, che ci invita a combattere al suo fianco (vd. P. Pourrat, La spiritualité chrétienne, vol. III, Parigi 1918, p. 67). Rispondere a tale invito è entrare nel suo esercito, che deve non solo difendersi, ma muovere all’offensiva, impugnando, per assicurarsi la vittoria, l’arma fortissima dell’esame particolare, perché il soldato di Cristo deve conquistare la virtù come si conquistano le piazze forti.
L’influenza dell’insegnamento ignaziano è particolarmente profondo e riconoscibile nel Combattimento spirituale, uno dei migliori scritti ascetici del sec. XVI. Lorenzo Scupoli, teatino, è comunemente ritenuto autore di questo trattato, di cui nel 1590 donò un esemplare a s. Francesco di Sales. Nella prima edizione (Venezia 1589) contava solo 24 capitoli, che poi crebbero a 33, 40 ed infine agli attuali 66; in questi successivi rimaneggiamenti l’ordine logico tra i capitoli è stato sconvolto, lo stile ha perduto della sua ingenua grazia. Dedicato al «Supremo Capitano e gloriosissimo trionfatore Gesù Cristo» il Combattimento spirituale si apre con la ricerca «in che consista la perfezione cristiana»; poi dimostra che per acquistarla occorre combattere, e che quattro cose sono necessarie a tale battaglia: la diffidenza di noi stessi, la confidenza in Dio, l’esercizio della virtù e l’orazione, poiché la perfezione cristiana è tutta interiore, e risulta dall’insieme delle virtù che ci fanno morire a noi stessi, per assoggettarci totalmente all’amore.
Il Combattimento spirituale tratta quindi della difesa dell’intelligenza, che deve stare in guardia contro due nemici che l’attaccano continuamente: ignoranza e curiosità; soprattutto della difesa della volontà in ordine alla finalità suprema, cui si debbono indirizzare tutte le azioni interiori ed esteriori, perché nell’uomo vi sono «molte volontà» che si fanno una profonda guerra. Il Combattimento spirituale indica poi il modo di combattere i mali del senso, e gli atti che ha da fare la volontà per acquistare la virtù, dando avvisi preziosi intorno al modo di combattere le nostre viziose passioni, e intorno all’arte ed inganni con cui il demonio tende a combattere ed ingannare quelli che vogliono darsi alla virtù e quelli che già si ritrovano nella servitù del peccato.
Dura legge quella del combattimento spirituale, che ogni giorno bisogna accettare, poiché «la prima cosa che hanno da osservare gli occhi tuoi interni, svegliato che sarai, è il vederti dentro uno steccato chiuso con questa legge, che chi non vi combatte vi resta morto per sempre». Arma preziosa per combattere è la preghiera e la S. Comunione. Il Combattimento spirituale era molto stimato da s. Francesco di Sales; pur non avendo l’incanto del De imitatione Christi, resta una della opere classiche della letteratura ascetica.
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