di Luigi Padovese
Per gentile concessione dell’Autore, presentiamo il testo di un intervento che Mons. Luigi Padovese ha tenuto a Torino il 14 febbraio 2009, nell’ambito del Convegno su “Paolo di Tarso a 2000 anni dalla nascita”. Il contributo si sofferma in particolare sulla ricezione dell’epistolario paolino in due autori a cavallo tra IV e V secolo: Ilario di Poitiers e Paolino da Nola.
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Introduzione: l’antipaolinismo degli autori pagani
In uno studio su Agostino interprete di Paolo, Maria Grazia Mara faceva risaltare l’accresciuto interesse per Paolo e per il suo epistolario che caratterizza le opere degli scrittori ecclesiastici del IV secolo. Annotava che sono ben 21 i commentari delle lettere paoline di cui abbiamo notizia certa [1].
Circa le possibili motivazioni di questa concentrazione le risposte date sono diverse. In particolare, il riferimento alla persona di Paolo è addotto come modello di conversione e di vita cristiana in un’epoca in cui la Chiesa va assumendo la fisionomia di una “potenza” terrena producendo la reazione di quanti vogliono vivere con rigore e radicalità l’ideale da essa proposto. È infatti caratteristica del IV secolo una vigorosa fioritura della vita monastica. Per quanti la scelgono, Paolo rappresenta il garante dell’identità cristiana ed il vero discepolo di Cristo da opporre alla mondanizzazione in atto della Chiesa. Non va trascurato il fatto che, ancora nel IV secolo, le dispute cristologiche accentuavano la divinità di Cristo, rendendolo sempre meno modello di vita.
La marcata attenzione al “corpus” paolino è altresì da intendere come ricerca di risposta alla domanda della salvezza fortemente avvertita in un periodo che – soprattutto in Occidente – lasciava presagire la decadenza del mondo antico. Indubbiamente il problema soteriologico trovava nelle lettere dell’apostolo riflessioni e risposte per soluzioni anche diverse. Queste ed altre motivazioni spiegherebbero la quantità ed il differente carattere dei commentari paolini, orientati a rispondere a specifiche situazioni culturali e religiose [2].
La consapevolezza dell’importanza che l’apostolo ha acquisito all’interno del cristianesimo è implicita nelle critiche da parte pagana, che a partire dalla fine del II secolo gli vengono mosse e che si acutizzano nel IV secolo mostrando dimensioni e livelli di profondità inusitati per l’innanzi [3]. Celso, Ierocle, Porfirio, Giuliano imperatore concentrano sulla sua persona e sui suoi scritti i loro attacchi, demitizzandone l’immagine e mostrando quelle che ritengono incongruenze di comportamento e paradossalità di pensiero. In particolare è l’imperatore Giuliano a prender di mira l’apostolo, ritenuto responsabile della conversione dei Greci alla religione “galilea”. Ai suoi occhi Paolo «supera tutti i giocolieri e i ciarlatani d’ogni luogo e d’ogni tempo» [4].
Fondamentalmente le critiche all’apostolo si appuntano su due fronti: a livello personale gli è contestata la protervia espressa nel rimproverare l’“ipocrisia” di Pietro ad Antiochia, quando lui stesso, in più circostanze, pecca d’incoerenza. Ciò si verifica allorché, dopo aver condannato la circoncisione, circoncide Timoteo [5].
Ma questa ipocrisia è ancor più lampante nei suoi scritti e, in particolare, nella contraddittorietà verso la Legge. Mentre, infatti, nella lettera ai Galati dissuade dall’obbedirle (Gal 3,10), in quella ai Romani scrive che «la Legge è spirituale» (Rm 7,14) e addirittura che «la Legge è santa e il precetto è santo e giusto» (Rm 7,12) [6].
Questa incoerenza è notata anche a proposito del comportamento di Paolo sui cibi: talora vieta di mangiare carne consacrata agli idoli (1Cor 10,20), altrove dichiara questo atto indifferente (1Cor 10, 25-26) [7]. Similmente a proposito della verginità: prima la elogia, poi difende il matrimonio, e infine precisa che non ha ricevuto un’indicazione speciale dal Signore sulle vergini [8].
Un punto sul quale le critiche di Porfirio e di Giuliano concordano, riguarda l’atteggiamento mistificatorio di Paolo nell’adattarsi a chi vuol convincere (cf.. 1Cor 9,19): «Se infatti – precisa Porfirio – con quelli che non hanno Legge si è fatto senza Legge e coi Giudei si è fatto giudeo e così via (…). Se vive insieme con i senza Legge e poi, per iscritto, si compiace d’essere giudeo e di partecipare di ogni prerogativa del giudaismo, allora egli contamina ciascuna di tali prerogative con gli errori dei senza Legge poiché si unisce a loro e subisce la loro influenza» [9].
Giuliano fa eco a questo modo di esprimersi dichiarando che Paolo si modifica come i polipi, i quali «cambiano colore a seconda degli scogli. Così anch’egli modifica le sue idee riguardo a Dio pretendendo talvolta che solo i Giudei siano eredi di Dio, talaltra invece – alfine di persuadere gli Elleni a schierarsi dalla sua parte – dicendo: “Dio non è solo dei Giudei, ma anche dei Gentili; sì, anche dei Gentili” (Rm 3,29; Gal 3,28)» [10].
Non è il luogo di ripercorrere in dettaglio gli elementi dell’antipaolinismo pagano che si allarga a più aspetti dell’operato e del pensiero dell’apostolo [11]. Tale antipaolinismo va letto nel più vasto intento di combattere la nuova fede corrodendone i fondamenti, ovvero la fiducia nei suoi testi sacri [12] e demitizzando altresì personaggi chiave come Pietro, Paolo e Giovanni, presentati come poveri uomini, senza particolare formazione, millantatori di una sapienza divina che decantano senza possedere, dotati di uno zelo che risulta essere esaltazione.
La distanza che separa l’apostolo dal mondo pagano trova implicita conferma nell’apocrifo carteggio tra Seneca e Paolo, databile al IV secolo. In esso l’anonimo autore, mentre esalta Paolo, lascia intravedere il disprezzo del mondo pagano antico per il suo linguaggio disadorno [13].
Ciò conferma come il rifiuto del messaggio cristiano annunciato da Paolo, da parte del mondo pagano colto si muova su due piani: a livello di contenuti, ma pure a livello formale per il stile povero con cui è presentato.
Resta il fatto che il maggior punto di frizione con esso rimane lo scandalum crucis, annunciato dall’apostolo come componente essenziale ed ineliminabile della fede cristiana, e anzi come espressione della potenza di Dio in antitesi ai sogni di autorealizzazione, di autosufficienza dell’uomo, convinto di poter «rinchiudere tutta la realtà nelle ferree maglie di schemi ideologici» (1Cor 1,18) [14].
A questo proposito è significativa la testimonianza lasciataci da numerosi predicatori e commentatori di Paolo della seconda metà del IV e dei primi decenni del V secolo, attenti a difendere ed a chiarire il senso della stultitia cristiana sia nei riguardi del mondo pagano che nei confronti di quei non pochi cristiani che sorvolano sugli aspetti scandalosi della loro fede, vergognandosi di parlare del Cristo crocifisso o arrossendo quando lo si menziona [15]. Da questo punto di vista, il riferimento a Paolo costituisce un costante richiamo all’identità cristiana contro ogni sorta di snaturamento o rimozione di quanto può apparire umanamente difficile da accogliere.
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Note
[1] Cf. M.G. Mara, Agostino interprete di Paolo, Milano 1993, p. 13.
[2] Cf. ivi, pp. 32-33.
[3] Espressione di questa polemica è la resistenza pagana al fenomeno monastico, visto come il principale avversario contro cui scagliarsi. Se poi si considera che l’apostolo è visto come il principale referente del monaco, si comprenderà una delle ragioni dell’accanimento con cui è considerato in ambito pagano. Sul confronto tra monachesimo e paganesimo nel IV sec. cf. G. Rinaldi, Obiezioni al monachesimo da parte dei pagani in area mediterranea (secoli IV e V), Studia Ephemeridis Augustinianum 46, Roma 1994, pp. 31-82.
[4] Giuliano, Discorso contro i Galilei 100A, a cura di G. Freda, ed. di Ar, Padova 1977, p. 16.
[5] Così l’autore anonimo citato da Ambrosiaster, Quaest. de Novo Test. 60: «Perché l’apostolo Paolo rimprovera Pietro, suo compagno d’apostolato, per il fatto che: “temendo quelli che provenivano dalla circoncisione, si teneva in disparte” dai pagani convertiti, mentre anch’egli (Paolo), temendo quelli che provenivano dalla circoncisione, “accoglie e circoncide” Timoteo, la qual cosa proibiva che venisse fatta; dunque anche lui è da riprendere?». Il testo è riportato da G. Rinaldi, Biblia Gentium, Libreria Sacre Scritture, Roma 1989, p. 668. Nel Framm. 27, Porfirio precisa: «In che maniera, poi, lui che afferma essere la circoncisione una mutilazione, può circoncidere a Listri, un tale chiamato Timoteo, come attestano gli Atti degli Apostoli?», in Porfirio, Discorsi contro i cristiani, a cura di C. Mutti, Ed. di Ar, Padova 1977, p. 62.
[6] Cf. Porfirio, Framm. 30, in Discorsi, cit., p. 66.
[7] Porfirio, Framm. 32, in op. cit., p. 68.
[8] Cf. Porfirio, Framm. 33, in op. cit., p. 69.
[9] Porfirio, Framm. 27, in op. cit., pp. 62-63.
[10] Giuliano, Discorso, cit., 106 BC, pp. 17-18.
[11] Al proposito rimando a G. Rinaldi, Biblia gentium, cit., dove l’autore raccoglie i testi provenienti dal mondo pagano concernenti la figura di Paolo e le sue lettere (pp. 626-685).
[12] Per combattere il cristianesimo dalle radici risulta necessario farlo a partire dalla Scrittura. È quanto inizia a fare Celso nel Discorso veritiero, scritto intorno al 178, mettendo in dubbio la sua verità, negandone il valore dottrinale specifico, evidenziandone le incoerenze. Dell’opera di Celso i brani rimastici sono riportati e confutati da Origene nel Contro Celso, composto tra il 244 e il 249.
[13] Cf. L. Poggiolini Palagi, Introduzione, in Epistolario apocrifo di Seneca e San Paolo, Dehoniane, Bologna 1999, pp. 11-13.
[14] Cf. G. Barbaglio, Paolo di Tarso e le origini cristiane, Assisi 1989, p. 220.
[15] Testimonianze di questo atteggiamento troviamo in Agostino (Commento al Salmo 6,12; Commento al Salmo 68,12; Commento al Salmo 141,9; Discorso 279,8.9, ecc.) e in Giovanni Crisostomo, Commento a Matteo – Omelia LIV, 4: PG 58,536; Omelia L, 3: PG 58,508; Commento a Mt – Omelia LIV, 5: PG 58,538; Commento a Rm – Omelia II: PG 60, 408). Su questi comportamenti cristiani, cf. il mio lavoro Lo scandalo della croce, pp. 130-131; 177-178.
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