Giovanni Ricciardi intervista Fabrizio Fabbrini
Dal mensile “30 giorni”, aprile 2003.
La versione originale si può leggere qui.
Quale fu il ruolo dell’apostolo Pietro nello sviluppo del cristianesimo delle origini? Si può ricostruire attendibilmente, sulla base dei Vangeli, degli Atti degli apostoli e della tradizione, l’ambiente da cui proveniva, i tempi e i luoghi della sua predicazione, fino alla sua venuta a Roma? Abbiamo rivolto queste domande al professor Fabbrini, ordinario di storia romana e studioso di storia del cristianesimo antico, che si è occupato recentemente della questione, proponendo i risultati del suo lavoro nell’ambito del convegno “Chiesa e Impero nei primi tre secoli”, tenutosi ad Arezzo nel marzo scorso. Dalla sua relazione, “Ricostruire l’ambiente di Pietro: questioni aperte” sono emersi spunti di un certo interesse per rileggere i tratti di una personalità, secondo Fabbrini, troppo trascurata negli studi sulle origini del cristianesimo.
Perché ritiene che la figura di Pietro sia poco evidenziata nel quadro degli studi sul cristianesimo primitivo?
FABBRINI: «La personalità di Pietro spicca nei Vangeli e in una parte degli Atti degli apostoli. Tuttavia la figura di Paolo ha in qualche modo surclassato quella di Pietro nella valutazione degli storici; per cui, quando si parla di formazione del cristianesimo primitivo si allude a Paolo (o a Giovanni, per indicare un altro tipo d’impostazione). Molti ritengono, ad esempio, che la seconda Lettera di Pietro, uno degli scritti più raffinati del Nuovo Testamento dal punto di vista letterario, non sia da attribuirsi all’apostolo. Eppure può darsi che Pietro abbia dettato a uno scriba di buon livello (come ha fatto nella sua prima Lettera affidandosi all’ottimo scriba Silvano, 1Pt 5,12; e si noti che anche Paolo affidava a uno scriba la stesura delle lettere). Ma in realtà, e qui sta il punto, non si deve escludere che Pietro possa aver scritto in greco di suo pugno. Se si considera il contesto storico-geografico in cui è nato, la cosa appare anzi probabile».
Possiamo ricostruire questo contesto?
FABBRINI: «Pietro era di Betsaida, che al tempo di Gesù apparteneva al territorio della Gaulanitide, governato da Filippo, sovrano anche dell’Iturea e della Traconitide, e si trovava in una zona di forte presenza greca: la regione era chiamata nella Bibbia “Galilea delle genti”, espressione che indica un territorio abitato prevalentemente da pagani, da greci. Era in effetti una zona quasi totalmente ellenizzata, a partire dalla dominazione ellenistica sulla Palestina, con i Tolomei prima, con i Seleucidi poi. In quel territorio la lingua dominante era il greco. Inoltre il greco era in uso negli scambi commerciali e nelle transazioni scritte, che non potevano essere assenti tra persone che vivevano di pesca e sulla pesca avevano impostato aziende commerciali. Inoltre il nome originario di Pietro, Simone, lascia trapelare un contesto culturale ellenizzato: si tratta di nome greco, non aramaico, già attestato nelle Nuvole di Aristofane; il nome Simeone, ad esso affine, è traslitterazione aramaica di Simone. Ed è greco anche il nome degli apostoli Andrea, fratello di Pietro, e Filippo, anch’essi di Betsaida. Perché allora meravigliarsi del fatto che Pietro, oltre alla lingua materna, l’aramaico, potesse conoscere il greco? Del resto anche le comunità ebraiche sparse nel territorio dell’Impero, cui la prima predicazione cristiana si rivolgeva, erano formate in prevalenza da persone che parlavano greco».
Si può tracciare, per ipotesi, una “mappa” degli spostamenti di Pietro e della sua azione missionaria?
FABBRINI: «La tradizione vanta un settennato di Pietro in Antiochia e pone l’inizio di questo al quarto anno dai fatti della Passione. Da ciò un tempo si deduceva che il settennio iniziasse dal 37, ritenendo i fatti della Passione avvenuti nel 33; e tutto appariva problematico perché nel 41, quando avvenne la persecuzione di Erode Agrippa e l’arresto dell’apostolo, Pietro si trovava a Gerusalemme. Oggi però i fatti della Passione sono datati con ragionevole certezza all’anno 30: ponendo allora l’inizio del settennio al 34 (meglio al 33, con calcolo inclusivo), arriviamo, alla fine dello stesso, al 41 (o 40); il dato della tradizione potrebbe quindi bene inserirsi in questo quadro cronologico. Del resto la prima lettera di Pietro, indirizzata a tutte le comunità dell’Asia (“ai fedeli dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia e nella Bitinia”, 1Pt 1,1), sembra supporre un’azione missionaria di Pietro in questo vasto territorio di cui Antiochia era un punto di riferimento importante. Avere una base stabile ad Antiochia significava trovarsi nel cuore della provincia più importante dell’Impero, da cui Pietro si poteva spostare per visitare le varie comunità da lui fondate o sulle quali aveva posto il suo sigillo. Ed è anche interessante notare che queste comunità sono elencate, nella lettera, secondo un arco che si rende leggibile soltanto in una prospettiva di sud-est rispetto all’Asia Minore. È da qui dunque che dobbiamo immaginare sia stata inviata la lettera».
Ma Pietro, nella lettera, dice di trovarsi in “Babilonia”, e per Babilonia in genere s’intende, in chiave simbolica, Roma.
FABBRINI: «Si tratta di una lettura priva di fondamento: prima della grande guerra giudaica (66-70) non è attestata tale identificazione tra Roma e Babilonia ed è da escludersi che un tale parallelo fosse presente in quella cultura, data la forte simpatia verso Roma. Allora perché non prendere in esame altre ipotesi? Se proprio vogliamo vedervi una terminologia simbolica, perché non pensare a Babilonia come termine riferibile a tutto lo scacchiere orientale siro-mesopotamico, intendendo per Babilonia tutto il territorio che è fuori di Israele, a Oriente, nella “Galilea delle genti” e che, nel linguaggio biblico, si oppone al “vero Israele”? Non si vede insomma perché dovesse essere percepita una allusione a Roma, dal momento che si intendeva comunemente per Babilonia quella immensa regione che, appunto, da Antiochia arrivava fino alla Babilonia mesopotamica».
Così, Pietro avrebbe scritto la sua prima lettera da Antiochia, nel corso di questo “settennato”, tra il 33 e il 40?
FABBRINI: «È possibile. Tuttavia, non escluderei a priori un’interpretazione non simbolica del testo: cioè che Pietro possa aver scritto la lettera da una vera e propria Babilonia, magari la Babilonia d’Egitto, che era un centro militare importante dell’Egitto romano. Dato il rapporto esistente con l’Egitto da parte di Marco, discepolo di Pietro (e Marco vi è menzionato e invia i suoi saluti: “Marco mio figlio”: 1Pt 5,13) e dato il fatto che in Egitto ci sono importanti memorie cristiane, e dato che dall’Egitto provengono taluni apocrifi (ad esempio il Vangelo di Pietro e l’Apocalisse di Pietro), perché escluderlo? Si potrebbe allora fare un’altra ipotesi: che Pietro, dopo l’arresto e la liberazione, avvenuti nel 41, partendo dalla Palestina, sia giunto a Roma nel 42 passando proprio dall’Egitto. Da lì avrebbe potuto scrivere la sua lettera alle comunità dell’Asia. Poi sarebbe partito alla volta di Roma, muovendo dal porto di Alessandria».
L’Egitto sarebbe dunque terra di evangelizzazione apostolica.
FABBRINI: «Lo assicurano gli stessi Atti degli apostoli. È presso Gaza (la via per l’Egitto) che avviene la conversione del ministro etiope (At 8,26); e quando ad Antiochia si diffonde il cristianesimo, ciò avviene ad opera di persone che vengono da Cipro e da Cirene; e Cirene, dove si trovavano i figli del Cireneo, Alessandro e Rufo, menzionati nel Vangelo, si trova in territorio libico strettamente legato all’Egitto (di cui un tempo faceva parte). Cirene aveva conosciuto assai presto la presenza cristiana. E dall’Egitto proviene il massimo predicatore dei primissimi tempi cristiani, Apollo, citato ampiamente negli Atti e nelle lettere paoline (la prima ai Corinti e la Lettera a Tito), la cui autorevolezza era pari solo a quella di Pietro e di Paolo (come attesta Paolo stesso). Per non parlare di quel Filone Alessandrino che, non citato nel Nuovo Testamento, è messo dalla tradizione cristiana in rapporto con Pietro e i cui rapporti con i cristiani possono essere ben postulati, come un suo influsso sul Vangelo giovanneo. Anche prima del 41 può esservi stato qualche passaggio apostolico in Egitto, e Pietro non può essere escluso a priori. I tempi apostolici sono di grande “mobilità” missionaria, che può essere ricompresa tra questi tre poli: Gerusalemme, Antiochia, Alessandria; e gli anni dal 30 al 41, prima della sua partenza per Roma, si caratterizzano per l’intensa attività apostolica di Pietro; tanto che la sua notoria mobilità, sottolineata nel Nuovo Testamento come una sua precisa caratteristica, può esser vista come uno dei segni del suo primato, come di chi abbia una responsabilità su tutto l’orizzonte cristiano. Rimane poi da collocare il viaggio di Pietro in Samaria, descritto nei capitoli 9 e 10 degli Atti, durante il quale avviene il battesimo del centurione Cornelio e l’apertura di Pietro alla conversione dei pagani».
Quando si colloca questo viaggio?
FABBRINI: «Assurdo è collocarlo (come si è fatto) dopo l’arresto e la miracolosa liberazione di Pietro dal carcere, che si data al 41. I capitoli degli Atti che descrivono la missione di Pietro in Samaria precedono quell’evento, inoltre la pongono in un contesto di tranquillità favorevole alla predicazione. “La Chiesa” dice il testo “era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria” (At 9,31). Samaria e Giudea erano regioni distinte dal punto di vista etnico, ma dal punto di vista amministrativo erano unite: e il prefetto romano risedeva a Cesarea, che era in Samaria, ma controllava tutto il territorio di Giudea e Samaria. E se in una di quelle due regioni c’era persecuzione, è difficile pensare che nell’altra vi fosse serenità. Per la stessa ragione, occorre escludere che l’episodio sia successivo alla persecuzione iniziata con il martirio di Stefano, quella in cui si impegna Saulo/Paolo e che viene comunemente datata al 34. È più ragionevole pertanto collocare il viaggio di Pietro in Samaria in un periodo precedente al 34, durante il quale gli apostoli si trovavano a Gerusalemme. Ciò dà modo di pensare che la missione di Pietro in Samaria sia avvenuta nei primissimi anni dopo la resurrezione di Gesù, e prima ancora del soggiorno petrino ad Antiochia. Il viaggio di Pietro in Samaria è importante per la estensione del Vangelo ai pagani. Le prime conversioni di pagani non sono opera di Paolo ma di Pietro, come attestano gli Atti degli apostoli».
Quali conclusioni trae da questa ricostruzione cronologica?
FABBRINI: «Credo che si commetta un errore quando, parlando dei primi decenni del cristianesimo, si contrappone una linea “petrina” a una “paolina” quale differenziazione tra una Chiesa giudaica e una Chiesa aperta ai Gentili. L’impostazione teologica di Pietro (si vedano le sue bellissime lettere) è caratterizzata dallo stesso universalismo di Paolo, la sua azione missionaria è altrettanto intensa ed ampia. Ed è Pietro che per primo si apre alla predicazione verso i Gentili (= pagani), dato che la conversione del centurione Cornelio è precedente a tutta l’azione paolina; e si legga negli Atti degli apostoli (At 11,1-18) la difesa che Pietro fa a Gerusalemme, dinanzi agli apostoli scandalizzati, della necessità della conversione dei pagani. È questa la prima teologia del “cristianesimo delle genti”, quella esposta da Pietro, il capo della Chiesa universale: il quale può dunque chiamarsi, esattamente come Paolo, “Apostolo delle genti”».