Non è male, in questi tempi a rischio di biblicismo coatto e di rinnovate tensioni esegetiche, richiamarsi all’essenzialità del catechismo, alla limpida asciuttezza del Credo. E farlo attraverso una semplicissimo, quasi casuale appunto di Edith Stein (Teresa Benedetta della Croce), quando notava come negli scritti di santa Teresa d’Avila, la fundadora dei Carmelitani scalzi, non si registrasse «alcun passo in cui ella direttamente ci solleciti alla lettura delle Sacre Scritture. Solo nel capitolo 22 della sua Vita, nel quale indica l’occuparsi dell’Umanità di Cristo come mezzo per le più alte contemplazioni ed insistentemente ammonisce dal non tralasciarla, c’è il consiglio di desumerla dai Vangeli». Il Vangelo quadriforme – Matteo, Marco, Luca e Giovanni – come traccia dell’unico Vangelo, dell’unica Parola di Dio: cioè di Gesù Cristo, del Verbo unigenito di Dio, fatto uomo per la nostra redenzione. Contemplarne l’umanità, ricercarla incessantemente nella testimonianza dei Vangeli e nel Sacramento dell’Altare, e finalmente aggrapparsi ad essa: solo così, afferma Teresa, potremo scoprire la natura eterna di Dio, e farcene portatori nel mondo. «Per essere a parte dei segreti di Dio – scrive infatti la Santa – bisogna passare per questa porta. Perciò chi lo segue non voglia cercare altra strada, nemmeno se già al sommo della contemplazione, perché di qui si è sicuri. Da questo dolce Signore ci deriva ogni bene. Egli ci istruirà. Studi la Sua vita e non troverà un modello più perfetto» (Vita, XXII, 7).