Matrimonio e missione: lo strano caso di Priscilla (e di Aquila)

di Carolyn Osiek e Margaret Y. MacDonald

Riproduciamo alcuni estratti del primo capitolo del volume di C. Osiek e M.Y. MacDonald, Il ruolo delle donne nel cristianesimo delle origini. Indagine sulle chiese domestiche, trad. it. a cura di M. Zappella, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007 (ed. or. A Woman’s Place: House Churches in Early Christianity, Fortress, Augsburg 2006), pp. 49-62. (*)

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Affresco con scena di banchetto. Roma, Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro (III-IV sec.).

Lavorando insieme, le coppie missionarie citate nelle lettere di Paolo proseguivano con ogni probabilità la prassi del movimento di Gesù. [1] Come è stato osservato di frequente, non sempre queste coppie comprendevano un uomo e una donna; [2] a volte riguardano coppie di due donne. [3] La natura dei rapporti tra queste coppie non si limitava a quella esistente tra marito e moglie. Prima di affrontare le circostanze specifiche delle mogli coinvolte in questo lavoro in coppia, dovremmo riflettere su alcune delle perplessità sollevate dagli studiosi riguardo alle testimonianze testuali.

Anzitutto, il ruolo simbolico del linguaggio familiare nella letteratura di Paolo rende impossibile essere sempre certi del significato delle designazioni. Un testo chiave da prendere qui in considerazione è il riferimento di Paolo al diritto che un apostolo ha di essere accompagnato da una «sorella come moglie» (adelphēn gynaika) in 1Cor 9,5. Probabilmente questo testo dovrebbe essere letto come il riconoscimento dell’importanza del lavoro missionario in coppia per il successo del movimento, e non semplicemente come riferimento a un sostegno «domestico» dell’opera missionaria del marito, come la tradizione ha postulato dall’epoca patristica fino a quella moderna. [4]

Sebbene in alcuni casi possa riferirsi semplicemente al fatto di appartenere alla comunità dei credenti (cfr. 1Cor 7,15), nelle lettere di Paolo il linguaggio della fraternità e sororità è usato anche in riferimento alla leadership. «Fratello» (adelphos) e «sorella» (adelphē) sono due dei termini che designano precisi ruoli di leadership e che comprendono altre familiari etichette ministeriali paoline come «diacono» (diakonos: Rm 16,1-2) e «collaboratore» (synergos: Rm 16,3; Fil 4,2-3). Come confermerà tra breve l’esame dettagliato della vita di Prisc(ill)a, molti elementi inducono a ritenere che le «mogli sorelle» godessero nel movimento paolino della stessa considerazione dei loro «mariti fratelli».

I commentatori hanno poi sollevato interrogativi sull’esatta natura dei rapporti intercorrenti all’interno della coppia missionaria formata da un uomo e da una donna per motivi testuali e legali. Come si è spesso osservato, il termine greco usato per «moglie» (gynē) in 1Cor 9,5 si può tradurre anche semplicemente con «donna» e lascia quindi aperta una varietà di possibilità circa la natura del rapporto sessuale o legale. Alcuni hanno letto questo testo come ha fatto Clemente Alessandrino (Stromata, 3, 6, 53, 3), cioè come un riferimento al «matrimonio spirituale» (coppie che vivono insieme senza unirsi fisicamente), il che potrebbe essere un argomento di preoccupazione in 1Cor 7,36-383. [5]

È stato sottolineato inoltre come non sia opportuno dare per scontato che le coppie formate da un uomo e da una donna fossero legalmente unite in matrimonio. La possibilità giuridica di contrarre matrimonio nell’Impero romano era riservata ai cittadini liberi, ed era completamente esclusa per gli schiavi. [6] Riguardo a schiavi e liberti membri delle prime comunità ecclesiali, non possiamo dare per scontata l’esistenza di rapporti familiari stabili e durevoli. Inoltre, è importante osservare come di nessuna delle donne chiamate per nome nelle lettere di Paolo è detto esplicitamente che fosse sposata. Prisca (chiamata Priscilla negli Atti) è identificata specificamente come moglie di Aquila solo in At 18,2.18.26, ma occorre tener conto della tendenza di Luca a mettere in evidenza la rispettabilità delle donne associate al nuovo movimento religioso. [7]

La ricerca femminista sulle coppie di missionari ha evidenziato la necessità di una lettura sfumata delle testimonianze e ha accuratamente messo in guardia dal trarre conclusioni ingiustificate sulla natura di tali coppie basandosi su assunti riguardanti il matrimonio che hanno più a che fare con i moderni contratti matrimoniali che con la realtà del primo secolo. D’altra parte, sembra estremamente probabile che Prisca e Aquila (Rm 16,3; 1Cor 16,19), Andronico e Giunia (Rm 16,7), e Filologo e Giulia (Rm 16,15) considerassero se stessi come sposati e come tali fossero considerati dagli altri membri del movimento paolino. [8]

Come osservato in precedenza, che i matrimoni fossero considerati legalmente validi nei termini del diritto romano aveva probabilmente scarsa rilevanza per la percezione di tali unioni all’interno delle comunità ecclesiali. Le testimonianze decisive per il matrimonio spirituale appartengono a un periodo decisamente posteriore ed è difficile armonizzare l’interpretazione di queste coppie come unite in «matrimonio spirituale» e il deciso rifiuto da parte di Paolo del matrimonio celibatario in 1Cor 7,2-5. Il riferimento di 1Cor 7,36-38 potrebbe essere alla coabitazione in matrimoni che non erano mai stati consumati, ed è possibile che tali coppie vivessero in base ad accordi di questo genere. [9]

Ma ci sono anche buone possibilità che fossero già uniti prima di entrare in contatto con il movimento paolino e continuassero semplicemente a vivere come coppie sposate dopo aver abbracciato la nuova fede. Per quanto non sia spesso considerato un tratto significativo della missione paolina, dobbiamo anche rammentare la possibilità, anzi la probabilità, che almeno alcune delle coppie missionarie formate da un uomo e da una donna svolgessero la loro opera come genitori. Si deve comunque ammettere che la predilezione di Paolo per il celibato, che con tanta chiarezza emerge in 1Cor 7, solleva interrogativi sulle coppie formate da un uomo e da una donna chiamate in causa nelle sue lettere, sia a proposito dei loro rapporti sessuali sia della loro situazione nel movimento, compreso il rapporto con Paolo. […]

La strategia missionaria di Prisc(ill)a: trasferirsi e mettere su casa

Delle mogli appartenenti al movimento di Paolo, quella su cui possediamo il maggior numero di informazioni è Prisc(ill)a. Per valutare il suo ruolo nella chiesa domestica dobbiamo però affrontare molti dei temi che caratterizzano la ricerca sulle prime donne cristiane in generale. Dobbiamo, per esempio, affrontare l’interazione tra la storia delle donne reali e quella identità femminile che andava prendendo forma in modo da adattarsi alle finalità letterarie e agli intenti ideologici degli autori maschi. Il ruolo di Prisc(ill)a era evidentemente così importante che la sua influenza, insieme a quella del suo compagno, è attestata da tre diversi autori cristiani che scrivono a partire dalla metà del primo secolo fino (al massimo) all’inizio del secondo: Paolo, Luca-Atti e l’autore delle Lettere Pastorali.

Nelle lettere di sicura attribuzione paolina l’attestazione del ruolo di Prisc(ill)a si trova in 1Cor 16,19 (Paolo invia i suoi saluti da Efeso) e in Rm 16,3-5 (Paolo invia i suoi saluti da Corinto). Entrambi i testi si riferiscono a raduni di comunità ecclesiali in casa di Prisc(ill)a e Aquila. In Atti, i riferimenti alla coppia si trovano in 18,1-3 e 18,18-19,1, dove la coppia è ritratta mentre offre ospitalità a Paolo e, in seguito, mentre insegna ad Apollo, anch’egli, a quanto sembra, a casa loro. Oltre all’istruzione di Apollo, gli Atti riferiscono numerosi dettagli biografici sulla coppia non citati da Paolo, tra i quali la loro identità di coppia di ebrei sposati, la loro espulsione da Roma e il loro coinvolgimento nella medesima attività di Paolo, ossia la fabbricazione di tende. […]

Recenti studi su Atti ci ricordano che non possiamo prendere per assolutamente certa la storicità della presentazione del ruolo di Prisc(ill)a [10] e spingono a chiedersi se scene come quella dell’istruzione «casalinga» di Apollo contengano dettagli storici autentici, o non siano solo ricostruzioni di quello che in generale sarebbe potuto accadere. Ma sotto molti aspetti l’opera recente di chi studia le donne in Atti ammette che la presentazione di Prisc(ill)a spicca come la più sorprendente. [11] Il suo contributo di insegnante e di moglie missionaria è talmente importante da non poter essere circoscritto nonostante la ripresentazione delle tradizioni con il massimo decoro possibile. Infatti la sua eredità spirituale è ricordata come estremamente significativa, al punto che Prisc(ill)a compare un’ultima volta, all’alba dell’epoca patristica, nei saluti che troviamo alla fine della seconda lettera a Timoteo (4,19).

Rispetto alle località geografiche e ai movimenti della coppia di luogo in luogo, gli studiosi non incontrano grandi difficoltà nell’armonizzare il materiale di Atti con quel che sappiamo dalle lettere di Paolo e, più in generale, con quello che sappiamo sulla situazione dell’Impero romano in quel periodo. Infatti, nella sua recente ricerca sulla condizione degli stranieri a Roma, David Noy ha descritto Prisc(ill)a e Aquila come aventi «una delle storie di migrazione e sopravvivenza più complete che possano vantare persone di analoga condizione»; una storia rivelatrice delle «distanze che i migranti potevano percorrere e della gamma di contatti che potevano allacciare». [12]

Se si combinano le testimonianze delle lettere di Paolo e quelle di Atti, si arriva alla seguente cronologia degli eventi: dopo essere stati esiliati da Roma, a Corinto Prisc(ill)a e Aquila offrono ospitalità a Paolo (At 18,2-3). Quest’ultimo, poi, lascia Corinto e si dirige a Efeso, accompagnato dalla coppia. Qui la coppia missionaria istruisce Apollo, che a sua volta parte per Corinto (At 18,18-19,1). Sembra che alla fine anche loro lascino Efeso e tornino a Roma, dal momento che occupano un posto di rilievo nella lista dei saluti di Paolo alla fine della lettera ai Romani. [13] In sintesi, le loro vicende di migrazione (tutte probabilmente svoltesi in meno di un decennio) indicano che i due hanno viaggiato e risieduto in tre importanti città dell’Impero romano (Roma, Efeso, e Corinto). Dalle lettere di Paolo è chiaro che davano ospitalità a chiese domestiche a Efeso e a Roma (1Cor 16,19 e Rm 16,3-5). Il riferimento alla loro offerta di ospitalità a Paolo (At 18,2-3; 18,18-9,1) induce a ritenere che lo stesso possa essere accaduto anche a Corinto.

Il lavoro di Noy, che si concentra in particolare sulle circostanze del soggiorno di stranieri a Roma, richiama la nostra attenzione sulle sfide che Prisc(ill)a e Aquila dovettero affrontare al loro arrivo in città e ancora quando decisero di ospitare, a Roma, delle comunità ecclesiali. Oltre a tutto il resto, ci devono essere stati i problemi di trovare un lavoro e un posto dove stare. La descrizione di Paolo che abita con la coppia e divide con essa il lavoro permette di scorgere le situazioni che nel lavoro e nei viaggi dovevano affrontare gli artigiani itineranti dell’Impero (At 18,1-3).

Ma dove avrebbero trovato alloggio Prisc(ill)a e Aquila al loro arrivo e dove possono essersi infine stabiliti per ospitare una chiesa in casa loro? Sembra che la città di Roma fornisse una notevole varietà di alloggi temporanei in affitto, una gamma che andava dalla stanza di un ostello, che poteva essere presa per una sola notte o a più lungo termine, a case d’affitto o locande occupate dai più abbienti. [14] All’estremo inferiore di questo spettro, alcune testimonianze suggeriscono che entro la città o appena fuori sorgessero capanne o baracche, con l’imposizione di penalità a motivo del rischio di incendio. Gli stranieri disperati forse si univano ai residenti più poveri e si spingevano fino a posti di questo tipo. [15] È difficile che Prisc(ill)a e Aquila rientrassero in questa categoria, ma la condizione itinerante associata a questa coppia missionaria lascia aperta la possibilità di un alloggio temporaneo. Anche se l’ipotesi non viene di solito considerata in rapporto alle chiese domestiche, si può pensare che alcuni dei primi luoghi d’incontro dei credenti fossero stanze d’albergo affittate dai leader itineranti?

Naturalmente, in quanto ebrei, Prisc(ill)a e Aquila possono aver cercato all’inizio una sistemazione in un palazzo o in un appartamento di proprietà di un altro ebreo (o magari di un altro credente in Gesù, o qualcuno che fosse entrambe le cose), in base ad accordi presi prima del loro arrivo (cfr. At 28,15). [16] L’ospitalità emerge ben presto come virtù chiave nelle comunità cristiane delle origini, come dimostra quella offerta proprio da questa coppia missionaria a Paolo in persona (At 18,1-3; cfr. Rm 12,13; Eb 13,2; 1 Clem , 10, 7). Con il crescere delle prescrizioni per la vita delle donne, l’ospitalità diventa per le donne una virtù importante (1Tm 5,10), e, come si illustrerà meglio in seguito, Prisc(ill)a potrebbe avere avuto un ruolo particolare in questo campo. La capacità di offrire ospitalità è collegata, in una certa misura, alla condizione sociale.

Nel suo dettagliato studio del livello sociale dei cristiani paolini, Wayne Meeks presenta un profilo della coppia che comprende una combinazione di indicatori sociali di livello alto (per esempio, una relativa ricchezza) e basso (per esempio, sono giudei «stranieri» provenienti dall’Oriente). Il fatto che il nome di Prisc(ill)a sia citato prima di quello del marito, da Paolo due o tre volte in Atti, ha suscitato l’interesse dei commentatori e portato all’ipotesi che la donna avesse una condizione sociale superiore a quella del marito. [17] È del tutto possibile che fosse in particolare il suo patronato a essere richiesto dai credenti, Paolo compreso. [18]

Tutto questo suscita domande sul genere di sistemazione che Prisc(ill)a e Aquila offrivano a quanti frequentavano la chiesa in casa loro. Non dobbiamo avere troppa fretta nel postulare che i primi cristiani si incontrassero soltanto in case estremamente modeste o nelle insulae (grandi complessi abitativi formati da numerosi piccoli appartamenti) sovraffollate. Dalle testimonianze provenienti da Pompei risulta che anche persone di ricchezza considerevole ma di condizione sociale modesta, come liberti e donne, erano proprietarie di case piuttosto spaziose, come le domus dotate di peristilio. [19] Che fosse in affitto o di proprietà, la casa tipica di Prisc(ill)a e Aquila era con ogni probabilità una domus (anche se decisamente modesta), simile alle case possedute da insigni padroni di casa come Stefana (1Cor 1,16; 16,16-18) o Caio di Corinto (Rm 16,23; I Cor 1,14), la cui casa a quanto pare era abbastanza grande da ospitare l’intera comunità dei Corinzi.

Prisc(ill)a e Aquila erano persone sempre in movimento e si davano un gran da fare nei gruppi paolini. In quanto missionari, insegnanti, collaboratori di Paolo e di altri evangelizzatori e patroni di chiese domestiche in tre città diverse, aiutavano altri ad andare dove volevano e a ottenere le informazioni di cui avevano bisogno, creando spazi che offrivano infrastrutture vitali per l’espansione e il sostegno del movimento, e nel far questo andavano incontro a rischi. Riflettendo sul modo in cui il settore degli affari e le reti di comunicazione esistenti tra le città orientali e Roma possono aver sostenuto la crescita delle prime comunità cristiane, ci imbattiamo in un vitale punto di intersezione tra la missione dello stesso Paolo e quella di Prisc(ill)a e Aquila, che facevano lo stesso lavoro. Ma la missione di Prisc(ill)a e Aquila differiva da quella di Paolo in due modi importanti, che stanno forse a segnalare una certa indipendenza.

La prima e più ovvia differenza è che svolgevano il loro lavoro in “società”, tra marito e moglie, mentre Paolo aveva scelto di lavorare da solo, avendo rinunciato al diritto di essere accompagnato da una «sorella come moglie» (1Cor 9,5). La seconda è che l’ambiente della chiesa domestica era vitale per la loro missione; a quanto ci è dato sapere, Paolo non rimase mai in uno stesso posto abbastanza a lungo da stabilire una chiesa in casa sua.

Uno dei tratti più affascinanti nella descrizione delle attività di Prisc(ill)a e Aquila in Atti e nella descrizione del loro contributo che Paolo offre nelle sue lettere, è che alle caratteristiche di un’esistenza itinerante uniscono quelle di un’esistenza più stanziale di chi ospita una chiesa domestica; la loro vita può quindi offrire un’importante occasione per comprendere come il movimento di Gesù sia riuscito ad affermarsi nelle città greco-romane. Il loro schema missionario era, letteralmente, quello di trasferirsi e di mettere su casa. Nell’attività di Prisc(ill)a e Aquila, la leadership sul posto della comunità locale giocava evidentemente un ruolo molto più importante che nelle strategie missionarie di Paolo, ma non è per nulla chiaro se questa esistenza più «stanziale» abbia avuto meno successo nella conquista di nuovi seguaci.

 Note

 [1] Cfr. Mc 6,7 e Lc 10,1, anche se qui non sono presentate come coppie formate da un uomo e da una donna.

[2] Come Prisca e Aquila (Rm 16,3; 1Cor 16,19), Andronico e Giunia (Rm 16,7), Filologo e Giulia, Nereo e sua «sorella» (Rm 16,15), e Rufo con sua madre (Rm 16,13).

[3] Come Evodia e Sintiche (Fil 4,2-3), o Trifena e Trifosa (Rm 16,12).

[4] Cfr. anche Clemente di Alessandria (Stromata, 3, 6, 53, 3), che interpreta il lavoro missionario in coppia come riferito al «matrimonio spirituale». Sul significato di 1Cor 9,5 cfr. Mary Rose D’Angelo, «Women Partners in the New Testament», in Journal of Feminist Studies in Religion 6 (1990), pp. 65-86.

[5] Studiando 1Cor 9,5, John Dominic Crossan, per esempio, ha ipotizzato che l’esistenza di coppie missionarie, composte da un uomo e da una donna, nella missione paolina fosse motivata dalla necessità di apparire come una coppia di coniugi in un mondo dominato dal potere e dalla violenza dei maschi (The Historical Jesus: The Life of a Mediterranean Jewish Peasant, Harper, San Francisco 1991, p. 335). Sul matrimonio spirituale nelle lettere paoline, più in generale, cfr. Antoinette Clark Wire, The Corinthian Women Prophets: A Reconstruction through Paul’s Rhetoric, Fortress, Minneapolis 1990, pp. 224-225; J. Duncan M. Derrett, «The Disposal of Virgins», in Studies in the New Testament: Glimpses of the Legal and Social Presuppositions of the Authors, vol. 1, Brill, Leiden 1977, pp. 184-191. Per una più ampia disamina del fenomeno nel cristianesimo antico cfr. Elizabeth A. Castelli, «Virginity and Its Meaning for Women’s Sexuality in Early Christianity», in Journal of Feminist Studies in Religion 2 (1986), pp. 61-88, in modo particolare p. 80.

[6] Per un’ampia discussione su come le definizioni romane del matrimonio lecito si riferivano alle varie categorie e classi del popolo nell’Impero romano cfr. Jane F. Gardner, Women in Roman Law and Society, Croom Helm, London 1986, pp. 31-44.

[7] Cfr. Ross S. Kraemer, Her Share of the Blessings: Women’s Religions among Pagans, Jews, and Christians in the Greco-Roman World, Oxford University Press, New York 1992, pp. 136-138, in modo particolare p. 136.

[8] Wayne A. Meeks, I cristiani dei primi secoli. Il mondo sociale dell’apostolo Paolo, Il Mulino, Bologna 1992 (ed. or. New Haven 1983), pp. 164-165.

[9] Tali accordi possono aver avuto la loro origine da impegni considerati vincolanti secondo la tradizione giudaica. Cfr. una disamina in Antoinette Clark Wire, The Corinthian Women Prophets: A Reconstruction through Paul’s Rhetoric, Fortress, Minneapolis 1990, p. 224.

[10] Forse l’autore tenta di enfatizzarne il ruolo di donna legalmente sposata.

[11] Cfr. Clarice J. Martin, «The Acts of the Apostles», in Elisabeth Schlüsser Fiorenza (ed.), Searching the Scriptures: A Feminist Commentary, vol. 2, Crossroad, New York 1994, pp. 785-786.

[12] David Noy, Foreigners at Rome: Citizens and Strangers, Duckworth, London 2000, p. 259.

[13] Per ragioni testuali e motivi connessi alla tradizione manoscritta, alcuni hanno considerato Rm 16 un’aggiunta posteriore alla lettera ai Romani, originariamente forse pensata per Efeso. Ma oggi diversi autori considerano il lungo elenco di saluti come adeguato alla situazione della lettera ai Romani. Una sintesi delle questioni aperte e una discussione dell’attuale opinione degli studiosi si può trovare in Brendan Byme, Romans, Liturgical Press, Collegeville, Minn. 1996, p. 29.

[14] Noy, Foreigners at Rome, pp. 149-150.

[15] Ivi, pp. 149 e 155. Cfr. anche A. Scobie, «Slums, Sanitation, and Mortality in the Roman World», in Klio 68 (1986) 399-433.

[16] Sui seguenti modelli di ospitalità nel cristianesimo delle origini già sperimentati dai giudei della Diaspora cfr. Meeks, I Cristiani dei primi secoli, pp. 284-285.

[17] Ivi, p. 170. Sul significato del fatto che le donne siano nominate al primo posto cfr. Marleen Boudreau Flory, «Where Women Precede Men: Factors Influencing the Placement of Names in Roman Epitaphs», in Classical Journal 79 (1983-1984), pp. 216-224.

[18] In questo caso, la relazione di Paolo con Prisc(ill)a sarebbe simile alla sua relazione con Febe (cfr. Rm 16,1-2).

[19] Sui cristiani delle origini e le insulae cfr. Robert Jewett, «Tenement Churches and Communal Meals in the Early Church: The Implications of a Form-Critical Analysis of 2 Thessalonians 3:10», in Biblical Research 38 (1993), pp. 23-43.

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(*) La Redazione di letterepaoline.net si impegna a rimuovere il testo, qualora la sua presenza non fosse gradita agli aventi diritto.

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