di Erik Peterson
L’articolo corrisponde alla voce «Gnosi», in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1948-1954, vol. VI, coll. 876-882.
Terminologia e significato
La gnosi, in tutte le sue forme, anche in quelle di «semi-gnosi», ha sviluppato un suo proprio vocabolario, e questo linguaggio particolare prova che in essa si ha a che fare con una mentalità sui generis, che però nel ricco uso di parole figurative rivela più uno spirito artistico e soggettivo che una disciplina «scientifica».
Caratteristico per la gnosi è l’uso della parola «straniero». «Straniera» è la vita nell’aldilà (p. es., presso i mandei e bardesaniti), «straniero» è anche il messaggero divino che viene in questo mondo (nel marcionismo è designazione per Cristo, presso i manichei per Mani) [1]. «Straniera» è anche l’anima che si trova in questo mondo, o che è passata per una serie di mondi (sette o dodici), di «eoni» [2]. Si distinguono Eoni delle tenebre ed Eoni della luce. L’origine di questo termine deve essere cercato nelle dottrine dei «Caldei» (astrologi babilonesi), ma il significato peggiorativo è caratteristico per la gnosi. Si tratta del mondo nella sua estensione nello spazio e nel tempo (sono le «generazioni» che la gnosi vuol superare). L’universo diventa in questo modo una «cellula creatoris» (Marcione), una «casa» (Libro di Enoch, 90, 28 sg.) che sta per crollare («casa» sia per la fabbrica dell’universo, sia per il corpo), mentre l’anima cerca un’«abitazione» nella regione della luce, nella shekinah, nella «gloria» [3].
Il mondo «straniero» e questo mondo sono distinti fra di loro come la «luce» e le «tenebre», termine centrale nel manicheismo, in parte anche nel mandeismo. I «marcioniti» hanno distinto la luce del demiurgo di questo mondo dalla luce del mondo futuro [4]. Ma in realtà questo mondo è un miscuglio di «luce» e di «tenebre», di «acqua vivente» (cf. Gv 4,10) e «acqua torbida», di «fuoco vivente» e di «fuoco tenebroso» (Corpus Hermeticum I, 28, manicheismo, mandeismo) [5].
L’idea dell’«acqua nera» viene, secondo il libro iranico Skand Gunanik Vicar [6], dalla religione giudaica. Si tratta dell’«acqua primitiva» della genesi, quando c’erano solo le tenebre e l’abisso. L’uomo è «caduto» in questo mondo, dove si trova «prigioniero», «incatenato», e dove erra pieno di angoscia (Inno dei Naasseni; Ippolito, Refut., V, 10, 2) tormentato dalla nostalgia della «patria» celeste; è espressione bellissima di quest’ultima idea il famoso inno dell’anima negli Atti di Tommaso (capp. 108-12) [7].
L’anima in questo mondo è «stordita», ha perso la sua coscienza, è intossicata da un «veleno» [8]. Secondo la letteratura cristiana il veleno si è trovato nell’albero della conoscenza (Apoc. Mosis, cap. 15; Liber graduum, ed. Kmosko, Patrologia syriaca, III, Parigi 1926, p. 586). L’anima è diventata «cieca» e «sorda», si è «addormentata» [9], l’uomo si comporta in questo mondo come un «ubriaco». Famoso è l’inizio del trattato VII del Corpus Hermeticum: «dove vi fate trascinare, o uomini, che siete ubriachi, perché avete bevuto il vino forte della ignoranza» (Hermes Trismégiste, ed. A. D. Nock-A.J. Festugière, I, Parigi 1945, p. 81, 3 sgg.; vd. ibid. anche trattato I, 27: «o popoli, uomini nati dalla terra che vi siete abbandonati alla ubriachezza e al sonno, diventate sobrii» [pp. 15, 21]) [10]. L’uomo si sente in questo mondo «sradicato», tagliato dall’«albero», dalla «radice», in un altro mondo (vd. Asclepius, cap. 6, p. 302, 21 sg.; ed. di A.D. Nock – A.J. Festugière) [11].
Ricostruendo da una analisi di queste immagini la visione del mondo che sta alla base, si vede chiaramente che la gnosi non ha niente a che fare con la visione del mondo, com’era presso i Greci, anzi ne sta in pieno contrasto. Il greco si trovò in questo mondo come in casa propria, lo gnostico invece vi si sente straniero. Per il greco l’universo era una cosa ammirevole, per lo gnostico è una prigione. I Greci trovano la luce in se stessi e in questo mondo; gli gnostici la trovano in un altro mondo. L’anima che presso i Greci elevava l’uomo sopra la materialità del suo corpo, fa presso gli gnostici anch’essa parte della bassezza di questo universo. Alla disincarnazione dell’uomo corrisponde nella gnosi una fuga dal mondo.
Presso i Greci il divino fa parte di questo universo, nella gnosi Dio è non soltanto separato, ma proprio opposto al mondo (Plotino, Enneadi, II, 9, 16) da vero greco combatte l’affermazione gnostica). Questo fatto si esprime presso gli gnostici nella distinzione di un «dio di questo mondo» e di un Dio superiore, inintelligibile, di un dio «ignoto». Il «dio di questo mondo» può essere designato sotto diverse forme: o con termini presi dal vocabolario degli astrologi («arconte» o «cosmocrator»), o con vocaboli che sono stati presi dal Vecchio Testamento (Iao, Sabaoth ecc.) [12] e finalmente anche con il termine più generale di «demiurgo» (artefice).
Il demiurgo gnostico ha i suoi collaboratori: o i sette pianeti o le dodici costallazioni dello zodiaco, secondo il linguaggio astrologico, o gli angeli secondo una tradizione giudaica (il plurale: «faciamus hominem» in Gen 1, 28 spiegato con la collaborazione degli angeli nella creazione). Il demiurgo gnostico non è semplicemente un Dio inferiore di fronte a un Dio superiore, un secondo dio, ma è un dio ignorante, un essere che si crede dio fin che si accorge della luce di colui che è veramente Dio (Ireneo, I, 29, 4, p. 263; St., 30, 6, p. 267; Ippolito, Refut., VII, 25, 3, 26, 1).
Alla base del concetto che il demiurgo vide la luce del dio superiore sta una interpretazione di Gen 1,4 «et vidit deus lucem» (vd. il già citato libro: Skand Gunanik Vicar, p. 185, 52; vd. anche i manichei in s. Agostino, De genesi contra manich., I, 13, e Contra Faustum, XXII, 4). Come il dio superiore della gnosi è un dio anticosmico, così l’antropologia della gnosi chiede una disincarnazione dell’uomo, una tendenza verso la distruzione del corpo, mentre il pneuma divino assume la funzione di un assorbimento dell’anima umana, legata al corpo e per mezzo del corpo anche alla materialità di questo mondo.
In altre parole: nella gnosi l’uomo non perde soltanto la sua individualità, ma anche la sua personalità, la sua persona ha il suo centro nell’aldilà, ed è la forma celeste, la «forma dei» (morphē theoû) che lo gnostico cerca di raggiungere. Per questa ragione l’uomo, che non si riconosce come veramente esistente, deve farsi, per raggiungere la sua vera esistenza, le tre domande:
a) Che cosa eravamo? Cosa siamo diventati?
b) Ove eravamo? Ove siamo stati gettati?
c) Dove andremo? Da che cosa saremo liberati?
(Excerpta ex Theodoto, 78, 2a ed. Sagnard, p. 202 o p. 131, 17 sgg., ed. Stahlin) [13].
Le domande sono orientate secondo lo schema dei tre tempi, dottrina che in modo analogo è stata formulata anche nel manicheismo [14]. La risposta è questa: l’uomo deve rendersi conto di quello che era una volta, prima di venire in questo mondo ed in questo corpo, creato dal demiurgo; egli deve capire anche lo stato in cui si trova oggi, e deve sapere dove lo porta la sua «via». Diventano così molto importanti i due momenti della discesa e della ascesa dell’uomo (meglio dire: uomo, e non anima) nel passato e nel futuro.
L’inquadramento della discesa ed ascesa nello schema dello spazio è inevitabile, perché se il male viene cercato nella creazione spaziale del demiurgo, anche la salvezza deve essere cercata nello spazio sopra celeste (nel manicheismo: terra luminosa) di un dio che non è creatore di questo mondo, ma di un altro mondo. Se nel manicheismo la dottrina dei tre tempi riguarda in prima linea il problema dei tre tempi del mondo, si deve sapere che questo aspetto cosmologico del manicheismo non sta in contrasto con l’aspetto più antropologico degli Excerpta ex Theodoto, e questo per il fatto che antropologia e cosmologia stanno nella gnosi in stretto rapporto.
Immagine per questo fatto è la dottrina dei due alberi. L’uomo è sempre radicato in uno dei due alberi cosmici, o nell’albero cattivo che radica la sua esistenza nel mondo del demiurgo o nell’albero buono che radica la sua esistenza nel mondo superiore. Questa radicazione dipende e non dipende dall’atteggiamento dell’uomo verso i due alberi. Essa non dipende dal suo atteggiamento, in quanto l’uomo quando nasce si trova già radicato in uno degli alberi. Sotto questo aspetto può sorgere l’idea dell’esistenza di individui che sono «per natura» già degli «gnostici», e che come tali sono anche dispensati da ogni sforzo morale, con la conseguenza del libertinismo [15], come esistono d’altra parte uomini che sono destinati ad essere radicati per la loro «natura» nell’albero cattivo.
Ma generalmente l’idea della radicazione non esclude la possibilità di una scelta fra i due alberi. Dall’atteggiamento dell’uomo verso uno dei due alberi dipende dove l’uomo cerca le sue radici. Questa libertà trova la sua espressione nel fatto che l’uomo può acquistare la gnosi. Ma dato che la gnosi non è la conoscenza di un fatto nel quadro di questo mondo, non si può superare il fatto della incoscienza, di questo stato di sonno cosmico, di questa ubriachezza del secolo, se l’azione intellettuale dell’atto gnostico non sarà accompagnata da un’ascesi che diventa mezzo indispensabile, un disincarnarsi per raggiungere questo atteggiamento gnostico della propria esistenza, che permette di vedere fino in fondo l’inganno di questo mondo dei sensi e di arrivare a una vita di consapevolezza e coscienza.
Origini della gnosi
Il problema delle origini della gnosi è stato affrontato in vari modi. Alcuni le hanno individuate nell’ellenismo. Per A. Harnack, p. es., la gnosi era «l’acuta ellenizzazione del cristianesimo». I Padri della Chiesa (specialmente Ippolito) hanno paragonato le dottrine di singoli gnostici con dottrine di filosofi greci.
Non c’è dubbio che alcuni gnostici si sono serviti di idee e di termini della filosofia greca per far comprensibili le loro speculazioni a un pubblico colto, educato nelle tradizioni ellenistiche. Così, p. es., la dottrina della discesa dell’uomo è stata espressa sotto le forme della caduta dell’anima presso Platone. Però rimane il fatto che la visione del mondo nella mentalità gnostica contrasta in pieno con quella dei Greci. Il linguaggio filosofico greco è dunque solo un modo per farsi capire dalla gente di cultura greca.
La teoria che la gnosi viene dalla religione babilonese-persiana (Anz-Bousset) non si rende conto che il carattere anticosmico della gnosi non trova analogia nel caldeismo astrologico, e che il pessimismo della gnosi non trova corrispondenza nella religione persiana, come neanche il dualismo gnostico è identico al dualismo persiano [16]. Il dualismo nell’Iran non è un dualismo teoretico [17]. Anche il ricorso di Reitzenstein a libri zoroastriani è molto problematico, perché gran parte di questa letteratura è scritta nel sec. IX d.C. e presuppone l’attività di sètte gnostiche nell’Iran [18].
La funzione della religione iranica e babilonese nello sviluppo della gnosi in Oriente non è stata molto differente da quella della filosofia greca nell’Occidente. Era un mezzo di farsi comprendere, ma niente di più.
Molto significativo in questo senso è il manicheismo, che per l’Occidente si serve nella sua propaganda della terminologia filosofica greca, nell’Iran del vocabolario religioso zoroastriano ed altrove del vocabolario cinese o indiano. Perciò sarebbe imprudente cercare l’origine della gnosi all’infuori dello spazio geografico dove il movimento gnostico aveva il suo centro, cioè nella Siria occidentale e orientale (Mesopotamia) ed in Egitto.
Nell’ambiente di lingua aramaica [19], si è sviluppata la gnosi. Ma questo vuol dire che praticamente all’inizio la gnosi è l’opera di Giudei o di Giudeo-cristiani, e che solo più tardi anche altri che erano venuti a contatto con Giudei e Giudeo-cristiani hanno ripreso la loro attività. Si dice spesso che la gnosi del Corpus hermeticum sarebbe la prova per l’esistenza di una gnosi pagana, ma in verità la gnosi ermetica mostra molte tracce evidenti della gnosi giudaica [20], benché gli ultimi editori A.D. Nock e A.I. Festugière abbiano cercato di minimizzare questo sostrato giudaico.
Studiando i testi gnostici si scopre facilmente come essi si ispirano specialmente al Pentateuco, ed in particolare alla Genesi. Si sa che la cosmogonia faceva parte delle dottrine segrete presso gli Ebrei (Chag. 2, 1; 13 a) [21]; anche le speculazioni sulla merkabah (Ez. 1 e 10) non potevano essere insegnate pubblicamente. Se la gnosi interpreta testi della cosmogonia biblica, porta evidentemente alla luce dottrine segrete giudaiche.
È molto significativo vedere che un termine gnostico come «acqua nera» viene da una interpretazione giudaica di Gen 1, come, d’altra parte, l’importanza data al concetto della luce nella gnosi si deve mettere in rapporto con la speculazione giudaica sulla «luce» primitiva (Gen 1,4; interpretazione in riguardo al Messia) [22].
Anche la dottrina della creazione di consecutive coppie (syzygíai), che nella gnosi dava origine a molte speculazioni, viene dal racconto cosmogonico della Genesi, come anche la maniera fantastica della gnosi di rappresentarsi l’Adamo primitivo come un essere che sta sdraiato, immobile e cieco per terra e che solo con il «soffio della vita» viene «eretto». In definitiva le idee gnostiche sulla discesa o ascensione dell’uomo primitivo non vengono da un preteso mito iranico sull’«uomo iniziale» (Urmensch), ma dal racconto biblico della caduta di Adamo e da testi apocrifi giudaici che parlavano di una «liberazione» di Adamo [23].
Ma si potrà obiettare: il rapporto della gnosi con la religione giudaica è in fondo non diverso da quello che la gnosi ha con la religione iranico-babilonese o con la filosofia greca. L’atteggiamento anticosmico della gnosi la mette in contrasto anche con la credenza giudaica in un dio buono e creatore del mondo; il suo pessimismo, la sua ascesi, non hanno niente che fare con l’ottimismo ebraico di attuare la giustizia in questo mondo, e con la valutazione positiva dei diritti naturali (possesso, matrimonio, ecc.).
Però si può constatare nel giudaismo tardivo l’esistenza di un dualismo antropologico, sotto la forma della dottrina delle due inclinazioni nell’uomo: della inclinazione cattiva (jezer har-ra‘) e della inclinazione buona (jezer hat-tov) che pare sia stata l’origine della gnosi. È interessante che secondo questa dottrina ognuna di queste inclinazioni è presidiata da un angelo; vuol dire che ogni uomo non è più padrone di se stesso, ma soggetto o a una potenza buona o a una potenza cattiva. La dottrina dei due jezer appare nella letteratura apocalittica [24], nei Testamenti dei Dodici patriarchi, nella letteratura neotestamentaria e nel Talmud.
Anche nella letteratura primitiva cristiana, specialmente all’autore del Pastore di Erma, ma anche nella letteratura pseudo-clementina, questa dottrina non era ignota. Che, del resto, non si trattasse di una idea particolare o settaria, è provato dal fatto che la preghiera del mattino degli Ebrei (Berakhot, 60b) menziona i due jezer [25]. È da rilevare poi che nella dottrina giudaica l’inclinazione cattiva che nasce con ogni uomo (l’«inclinazione buona» invece comincia solo con lo studio obbligatorio della legge, all’età di dodici anni) è messa in rapporto con la concupiscenza, e così si può constatare che la concupiscenza appare come il peccato più caratteristico di questo mondo (cf. 1Gv 2,16), mentre si aspetta, dal secolo venturo, che venga sradicata o suggellata l’inclinazione cattiva [26].
La concupiscenza porta alla morte, la fine della concupiscenza del mondo futuro porta con sé la «vita». Da un tale punto di partenza si può ormai spiegare l’origine della gnosi giudaica. La dottrina delle due inclinazioni spezzava l’unità della persona umana e portava alla conseguenza che la distinzione consecutiva di questo mondo della morte e del mondo futuro della «vita» si trasformò (come, p. es., nelle Pseudo-Clementine) in uno stato di «guerra» fra i capi dei due eoni (secoli). Così questo mondo viene guardato con occhi ostili dal punto di vista dell’altro mondo, e alla valutazione pessimista di questo mondo contribuiva ancora il destino politico del mondo giudaico, la distruzione di Gerusalemme e del Tempio.
Non è certo un caso che nel IV Esdra e nei Testamenti dei Dodici patriarchi, che si riferiscono alla distruzione di Gerusalemme, si trovino tanti testi importanti per la dottrina dei due jezer: la dottrina stessa però è anteriore alla distruzione di Gerusalemme. Anche l’unità della persona di Adamo che si trovò fra i due alberi del paradiso venne minacciata. Si poneva il problema del peccato di Adamo, che invece di una semplice trasgressione di un comandamento divino divenne identico con la concupiscenza stessa, e così si finì di mettere in rapporto con la concupiscenza non soltanto il mondo di oggi, ma di attribuire anche la sua creazione a una potenza che aveva anch’essa in sé qualche specie di concupiscenza. Come la procreazione è legata alla concupiscenza, così anche l’origine del mondo materiale venne attribuita a una concupiscenza cosmica.
L’origine della gnosi dunque non è da spiegare con un movimento anonimo di sincretismo di diverse religioni, ma è comprensibile solo come lo sviluppo logico di un dualismo antropologico che identificava il peccato originale con la concupiscenza, e inquadrava la concupiscenza, divenuta potenza cosmica, nello schema del pensiero apocalittico. La gnosi è anteriore al cristianesimo; ma il rispetto per le tradizioni del popolo giudaico, da cui la Chiesa aveva ereditato il libro sacro, portò all’infiltrazione di idee gnostiche e chiliastiche giudaiche nell’ambiente primitivo cristiano. Rimanendo però fedele alla lettera e allo spirito del Vecchio Testamento e riflettendo sui fatti reali della vita di Gesù (parto verginale e Risurrezione del corpo di Gesù dai morti), la Chiesa riuscì a liberarsi da coloro che «non erano piantagioni del Padre» (Ignazio, Ad Trall., 4,1; Ad Philad., 3,1).
Però la perspicuità per scoprire l’errore non fu dappertutto uguale. Così si può anche constatare la permanenza di una specie di semi-gnosi in alcuni elementi della Chiesa, specialmente nei circoli ascetici (p. es., nell’encratismo o nel messalianismo). Lo studio di questa semi-gnosi è molto utile per la comprensione della grande gnosi con i suoi fantastici sistemi speculativi (valentinianismo, manicheismo), perché essi mostrano chiaramente i rapporti che esistono tra la gnosi giudaica e la dottrina giudaica della concupiscenza.
Riguardo al problema dei rapporti tra gnosi e predicazione cristiana, bisogna tener conto che la Chiesa (per un fondo comune di idee: autoinsufficienza del mondo, necessità di una salvezza) poteva servirsi del vocabolario gnostico, modificando il suo senso originale, per scopi di propaganda, mentre la gnosi non poteva assimilarsi veramente la figura del Cristo, dato che il mistero della incarnazione trascendeva le possibilità che erano date alla gnosi stessa.
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Note
[1] Per questo termine, vd. H. Jonas, Gnosis und spätantiker Geist, Göttingen 1934, p. 96 sg. e 122 sgg.; S. Petrement, Le dualisme chez Platon, Parigi 1947, p. 164 sgg.; H.Ch. Puech, Le manichéisme, Parigi 1949, p. 153, n. 273.
[2] Vd. H. Jonas, op. cit., p. 99.
[3] Per «abitare», come termine tecnico, vd. H. Jonas, op. cit., p. 101 sg.
[4] A. Harnack, Marcion, 2a ed., Lipsia 1924, pp. 263 sg.
[5] Per l’interessante distinzione (iranica?) di due fuochi, vd. Nyberg, in “Journal asiatique”, 214 (1929), p. 217; ibid., 219 (1931), p. 222.
[6] Vd. P.I. de Menasce, Une apologétique mazdéenne, Friburgo 1945, p. 183.
[7] Per questo tema, vd. H. Jonas, op. cit., p. 109 sg.
[8] Su questa immagine, vd. H. Jonas, op. cit., pp. 114, 299; H.Ch. Puech, op. cit., pp. 77 e 169 n. 312.
[9] Vd. H. Jonas, op. cit., pp. 45, 113-118, 126-134.
[10] Per l’immagine, vd. Ed. Norden, Agnostos Theos, Lipsia 1929, pp. 3-7, 132, 139 n. 1, 199 n. 3, 4, 295 sg.; e L.I. Festugière, in “Harvard Theol. Rev.”, 31 (1938), p. 4 sg.
[11] Su questa importante immagine della radice nel manicheismo, vd. H.Ch. Puech, op. cit., pp. 74, 159 n. 285; presso mandei e bardesaniti, G. Windengren, Mesopotamian Elements in Manichaeism, Uppsala 1946, p. 15 n. 1.
[12] Cf. H. Jonas, op. cit., p. 229.
[13] Per questa formulazione catechetica vd., dal punto di vista formale, Ed. Norden, op. cit., p. 103 sgg.
[14] Vd. H.Ch. Puech, op. cit., p. 74 e nota 284, p. 157 sgg.
[15] Sul libertinismo gnostico, vd. H. Jonas, op. cit., pp. 204, 215, 234-238; S. Petrement, op. cit., p. 268.
[16] H. Jonas, op. cit., pp. 34 sg. e 352.
[17] S. Petrement, op. cit., p. 322 sg.
[18] Vd. H.W. Bailey, Zoroastrian Problems in the Ninth-Century Books, Oxford 1943.
[19] Le formole liturgiche dello gnostico Marco, che svolgeva la sua attività in Gallia meridionale, sono aramaiche; v. Ireneo, Haer., I, 14, 2, p. 183; Harvey = 21, 3 St.; vd. anche la formola di Elxai in Epifanio, Panar., 19, 4, 3, p. 221, 17 Holl.
[20] Vd. C.H. Dodd, The Bible and the Greeks, Cambridge 1935.
[21] Cf. Strack-Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch, I, Monaco 1922, p. 977; II, 1924, pp. 186, 307.
[22] Cf. Strack-Billerbeck, op. cit., I, 161.
[23] Vd. E. Peterson, in “Revue biblique”, 55 (1948), p. 199 sgg.
[24] Vd. B. Violet, Die Apokalypsen des Esra und des Baruch, Lipsia 1924, p. 5, n. 4.
[25] Vd. Strack-Billerbeck., op. cit., II, p. 152.
[26] Sulla fine dello jezer har-ra‘ nei tempi escatologici, cf. H.I. Schoeps, Aus frühchristlicher Zeit, Tubinga 1950, pp. 49 e 224, n. 4.
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