di Giuseppe Ricciotti
L’articolo corrisponde alla voce «Giuseppe Flavio», in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1948-1954, vol. VI, coll. 808-811.
La vita
Storico giudeo, figlio di Mattia di famiglia sacerdotale, [Giuseppe] nacque a Gerusalemme, ca. il 37-38 d.C. Ricevette un’educazione secondo le norme farisaiche. Nel 64 fu in ambasceria a Roma, dove dovette essere a contatto con cristiani legati da vincoli di parentela e di amicizia con i giudei dell’Urbe.
Ritornato a Gerusalemme, all’inizio del 66, vi trovò aria di guerra e, benché giudicasse insensato tale proposito, spinto dall’interesse personale seguì la corrente, pur non prendendo netta posizione e rimanendo di tendenze moderate. Inviato dal Sinedrio in Galilea per organizzarne la difesa (Bell. Iud., II, 562-68) addestrò ivi un esercito piuttosto numeroso (ibid., II, 576) e fortificò vari luoghi tra cui Jotapata.
Iniziate le operazioni nella primavera del 67, dopo una fuga generale delle sue truppe dall’accampamento di Garis (ibid., III, 127-31), Giuseppe si chiuse in Jotapata, che fu presa dopo 47 giorni di assedio ai primi di luglio. Fatto prigioniero, abilmente evitò il pericolo di essere inviato a Roma a Nerone, predicendo l’Impero a Vespasiano e Tito; ciò era frutto della sua acuta capacità di valutazione degli eventi politici (ibid., III, 399-406; cf. Svetonio, Vesp., 5; Dione Cassio, nell’Epitome di Xifilino, LXVI, 1, 4; Appiano, XXII, in Zonara, Annal., XI, 16; Tacito, Hist., I, 10; cf. II, 1), ma i due Flavi, colpiti dalla luminosa profezia, trattennero presso di loro il prigioniero, che, liberato con la proclamazione ad imperatore di Vespasiano (1 luglio 69), prese il nome di Flavio.
Giuseppe rimase a fianco di Tito per tutto il resto della campagna, fino alla caduta di Gerusalemme, appuntando diligentemente tutti gli avvenimenti (C. Apion., I, 49; cf. 55) e con Tito venne a Roma ove fu presente al trionfo dei Flavi nel 71 (Bell. Iud., VII, 121-157). Onorato e ricolmato di benefici da Vespasiano e da Tito, narrò nel De Bello Iudaico la storia di quella campagna, con spirito romanofilo, giustificando di fronte alla sua coscienza di giudeo il suo operato in pro dei Romani con la considerazione che «quel Dio che distribuiva a turno il comando fra le nazioni, adesso si era fermato in Italia» (Bell. Iud., V, 367).
Isuoi rapporti con i Flavi si raffreddarono sotto Domiziano, dato il carattere di questo Imperatore avverso ai letterati (Svetonio, Domit., 20) e mal disposto verso i Giudei, contro i quali nel 95 iniziò la persecuzione che coinvolse anche i cristiani (Dione Cassio, LXVII; Svetonio, Domit., 15), tant’è vero che le altre opere di Giuseppe pubblicate sotto Domiziano, sono dedicate ad un mecenate privato, Epafrodito. Comunque questo distacco dall’amicizia con i Flavi servì per far ritrovare a Giuseppe un po’ della sua dignità di uomo e del suo coraggio, poiché le altre sue opere non sono infette dal servilismo romanofilo del Bell. Iud., ma sono in lode dell’ebraismo, ed anzi il Contra Apionem, pubblicato proprio nel 95, è di esso un’aperta apologia.
Morì a circa 65 anni, verso il 102-103.
Le opere
1. De Bello Iudaico
Quest’opera in sette libri, il cui titolo era semplicemente Guerra (Pólemos), usato da Giuseppe stesso nei rimandi (Ant. Iud., I, 203; XIII, 72; XVIII, 111; XX, 258; Vita, 412) sebbene quasi tutti i manoscritti abbiano il titolo Conquista (Hàlōsis), fu pubblicata fra il 75 e il 79 e presentata a Vespasiano (cf. Bell Iud., VII, 158 sgg., con D. Cassio, LXVI, 15; C. Apion., I, 50-51; Vita, 361).
Doveva avere il carattere di una relazione ufficiosa, dal punto di vista romano, della guerra giudaica, dimostrando le difficoltà di essa, e doveva fare opera di pacificazione tra i centri giudaici della Mesopotamia frementi contro Roma (Bell. Iud., III, 108). A quest’ultimo scopo rispondeva indubbiamente la redazione aramaica, ora perduta (I, 3-6), della quale l’attuale greca è un rifacimento fatto dallo stesso Giuseppe con l’aiuto di collaboratori (C. Apion., I, 50). I primi due libri trattano di fatti anteriori alla guerra (dipendenza di Giuseppe dagli scritti di Nicola di Damasco per l’epoca di Erode), e il VII fatti posteriori. Per la narrazione della guerra (libri III-VI) Giuseppe molto attinse dai Commentari lasciati da Vespasiano e da Tito (C. Apion., I, 56; Vita, 342, 358).
Quest’opera raccoglie importantissime notizie su fatti di cui forse nulla si sarebbe altrimenti saputo, ma l’occhio del critico deve saper discernere ciò che è storicamente accettabile dal molto materiale di dubbia autorità, tenendo presente che l’autore è tutt’altro che scevro da tendenziosità e partigianeria.
Anteriormente a Cassiodoro (De inst. div. lit., 17) esisteva una traduzione latina attribuita a Rufino e circolava una rimanipolazione latina detta Egesippo, non si sa se per corruzione da ex Iosepho o perché attribuita ad Egesippo, storico ecclesiastico del II sec. (ed. critica a cura di V. Ussani, in CSEL, 66), e rimanipolazione che servì di base a compilazioni siriache, ebraiche, arabe ed etiopiche. Esiste pure una versione slava del sec. XIII, condotta su un testo greco con interpolazioni cristiane.
2. Antiquitates Iudaicae (Ioudaikē Archaiología)
Vasta compilazione, il cui titolo Archaiología proviene da Giuseppe stesso (I, 5; XX, 259, 267; C. Apion., I, 54, 127; II, 287; Vita, 430) che forse si ispirò, sia per il titolo, sia per la divisione (20 libri), sia per lo schema compositivo, alla Rhōmaikē Archaiología di Dionigi di Alicarnasso; tratta la storia del popolo ebraico dalla creazione del mondo al 6 d.C., punto in cui si riannoda con Bell. Iud. Fu pubblicata verso il 93-94 (anno 13 di Domiziano, cf. XX, 267-68).
Lo scopo di Giuseppe sarebbe di trattare la storia degli Ebrei secondo documenti ebraici, per dimostrare che l’ordinamento sociale dato da Mosè porta alla vera felicità umana, avendo per ultima meta Dio (Antiq., I, 5-26). Perciò Giuseppe professa di aver tradotto fedelmente il testo biblico (I, 5, 17; IV, 196-197; X, 218, cf. II, 347; IX, 208, 214; C. Apion., I, 54). In realtà il critico deve constatare tutt’altro, e da un attento esame si deve concludere che Giuseppe si servì di numerosi lavori di compilazione di storia biblica ed ebraica di autori giudeo-alessandrini, stralciando e costruendo una specie di musaico e servendosi del testo della Bibbia (dei LXX) solo come riempitivo.
Di particolare importanza sono i documenti romani contenenti disposizioni riguardo ai Giudei, riportati da Giuseppe (XIII, 259-266; XIV, 144-155; 185-267; 302-323; XVI, 160-178; XIX, 279-291; XX, 10-14), oggi ritenuti sostanzialmente autentici, e probabilmente desunti da raccolte esistenti negli archivi capitolini che Vespasiano restituenda suscepit, undique investigatis exemplaribus, dopo l’incendio del 69 (Svetonio, Vesp., 8).
Per il valore storico di Ant. Iud. si può ripetere quanto è stato detto per Bell. Iud., ma è doveroso aggiungere che le moderne scoperte archeologiche (papiri aramaici di Elefantina, papiri greci sui Tobiadi) hanno confermato notizie date da Giuseppe e ritenute fino ad allora fantastiche.
Un’antica versione latina fu fatta fare da Cassiodoro; tra i secc. IX-X l’opera fu riassunta in un’Epitome greca (ed. B. Niese) utilizzata da Zonara nei primi libri dei suoi Annali.
Particolarmente importante è il passo di Ant. Iud., XVIII, 63-64, ove Giuseppe parla di Gesù, della sua Crocifissione e Risurrezione e dei cristiani: è detto perciò Testimonium Flavianum. Trasmesso concordemente da tutta la tradizione manoscritta, la sua autenticità fu messa in dubbio e negata nel sec. XIX. Sulla fine però di questo secolo si delineò una reazione a favore dell’autenticità, della quale furono sostenitori anche protestanti come il Burkitt e l’Harnack.
L’esame filologico puro è nettamente a favore dell’autenticità, mentre una indubbia terminologia cristiana che esprime concetti cristiani denota una ispirazione tratta da una formola di simbolo cristiano forse già esistente in quell’epoca. Ma chi si è ispirato al simbolo: Giuseppe stesso, che indubbiamente fu in relazione con cristiani, o il presupposto interpolatore cristiano? A tale domanda per ora è impossibile rispondere. Allo stato attuale delle cose, quindi, il testimonium, sebbene genuino nel suo fondo, potrebbe presentare interpolazioni cristiane, ma con eguale e forse maggiore probabilità si può sostenere che esso sia integralmente autentico.
3. Contra Apionem
Si tratta di un’apologia del giudaismo, pubblicata coraggiosamente da Giuseppe verso il 95 d.C.
Il titolo originario sembra essere stato Circa l’antichità dei Giudei (Perì tês tôn Ioudaíōn archaiótētos, cf. Origene, Contra Celsum, I, 16; IV, 11; ed Eusebio, Hist. eccl., III, 9). Il titolo Contra Apionem fu introdotto da s. Girolamo (Epist. 70 ad Magnum, 3; Adv. Iovinianum, II, 14; De viris ill., 13).
Opera di piccola mole (due libri, di cui solo il secondo confuta le accuse anti-giudaiche che Apione, grammatico alessandrino, aveva raccolto nei suoi Aegyptiaka). La difesa del giudaismo fatta da Giuseppe è abile, ma troppo fa difetto la critica storica; tutto ciò che è a favore dei Giudei, per lui è autentico e genuino. Anche nel C. Apionem e nella vasta erudizione storica di cui l’autore fa sfoggio, si riscontra il metodo di Giuseppe di mettere insieme i suoi scritti stralciando da compilazioni ellenistiche. Il giudaismo che vi è presentato è un giudaismo alterato, ellenizzante, razionalistico.
4. Vita
È una autobiografia in cui le vere notizie autobiografiche si riducono a ben poco (1-27 e 414-430) mentre il lungo tratto centrale (28-413) è un’autodifesa o meglio una controffesa contro Giusto di Tiberiade, che aveva accusato Giuseppe di poca lealtà verso i Romani, condotta poco abilmente, affermando di completare la narrazione del Bell. Iud., mentre in realtà spesso la contraddice.
Secondo la teoria di B. Motzo (Saggi di storia e letteratura giudeo-ellenistica, Firenze 1924, pp. 214-226), le notizie autobiografiche di Vita, 1-27 e 414-430 erano incorporate in Ant. Iud. tra XX, 266 e XX, 267-68, donde poi furono staccate, e, ampliate nella autodifesa centrale (28-413), pubblicate in appendice ad Ant. Iud.
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