Il sito di Dura Europos

di Giuseppe Bovini

L’articolo corrisponde alla voce «Dura Europos», in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1948-1954, vol. III, coll. 1998-2004.

Sulla destra dell’Eufrate, a metà strada fra Bagdad e Aleppo, su un altipiano roccioso, dove oggi è la località di as-Salihijjah, sorgeva in età preseleucidica un’antica fortezza assira, che portava il nome semitico di Dura. Attorno al 280 a.C. un satrapo di nome Nicatore, che fu generale di Alessandro Magno, vi fondò una colonia greco-macedone cui fu dato il nome di Europo. La città venne così a chiamarsi Dura Eúropos, e per meglio identificarla si usò aggiungere al suo nome l’indicazione pròs ’Arabían o anche en Paropotamía.

Posta fra Palmira e Ctesifonte, fra la Siria e il Golfo Persico, in un punto cioè in cui passavano le più importanti vie carovaniere della Mesopotamia, la città non tardò a fiorire per il commercio e a divenire assai importante per la posizione strategica. Verso il 120 a.C. passò dai Seleucidi ai Parti, si trasformò in un vero e proprio emporio commerciale. Dopo due secoli di dominazione partica fu conquistata da Traiano nel 116 d.C. A ricordo i soldati romani eressero in onore dell’Imperatore, ad oltre 1 km. dalla città, un arco di trionfo, di cui è stata ritrovata la dedica, scritta in latino. Due anni dopo Adriano l’abbandonò; ma nel 165, in seguito alla vittoria di Avidio Cassio su Voceslao III, riportata proprio sotto le mura della città, Dura Eúropos fu da Marco Aurelio e Lucio Vero incorporata alla provincia di Siria. Da allora in poi fu presidiata dai Romani, che ne fecero una delle fortezze più importanti del limes eufratico, poiché la località era come una sentinella avanzata nel deserto.

Al tempo di Alessandro Severo però, Dura Eúropos fu attaccata dai Persiani, i quali poco dopo il 256 penetrarono nella città, pur fortificata, mediante tre gallerie sotterranee, in una delle quali sono stati rinvenuti ancora scheletri di soldati romani e sassanidi morti combattendo. Occupata la città, i Persiani la distrussero, uccisero o dispersero o fecero schiavi gli abitanti e poco dopo, allontanato definitivamente il pericolo romano, l’abbandonarono. Allora le sabbie del deserto la invasero e a poco a poco la ricoprirono del tutto.

Nel 1920, mentre un distaccamento coloniale inglese stava scavando trincee in mezzo ad alcune rovine, il capitano Murphy notò un ambiente decorato con molti affreschi. Avvertitane immediatamente la direzione dell’ufficio archeologico dell’Iraq, fu incaricato l’egittologo americano J. Breasted di fare un sopralluogo. Questi fotografò le pitture e rilevò la pianta dell’edificio scavato, che era il grande tempio delle divinità palmirene, e tracciò all’incirca i contorni della città e delle fortificazioni. Il Breasted riferì le scoperte all’Académie des Inscriptions et Belles Lettres di Parigi, la quale decise di intraprendere sul posto una sistematica campagna di scavi, essendo frattanto la zona passata sotto mandato francese. Gli scavi furono compiuti nel 1922-1923, sotto la direzione di F. Cumont, e poi furono ripresi nel 1927 da una missione mista dell’Università americana di Yale e dell’Accademia francese, fino al 1937.

Dagli scavi è risultato che la cittadina mesopotamica fu ben presto, forse fin dal primo periodo della colonia greco-macedone, completamente circondata da un’alta cinta di mura, che ha in alcuni lati un andamento a denti di sega. I Romani resero più forte la posizione mediante due terrapieni a scarpata. Racchiusa entro il cerchio di queste fortificazioni, su di un lato delle quali – quello verso il deserto – si apriva una grandiosa porta, Dura Eúropos appare, dal punto di vista urbanistico, disegnata secondo lo schema ippodameo, con le vie incrociantisi ad angolo retto. Il centro era occupato dall’agorà e da vari edifici pubblici. Gli isolati, formati dall’incrocio delle vie talvolta fiancheggiate da colonne, erano occupati da case private, spesso vaste e riccamente decorate, di tipo orientale, oppure da grandi templi, nella maggior parte dei casi di tipo babilonese, con ampi cortili e piccole cappelle.

Durante l’occupazione romana circa un quarto dell’abitato, quello della parte nord-ovest, fu trasformato in accampamento militare: vi sorsero alcune caserme, un pretorio monumentale, un anfiteatro castrense, delle terme sontuose e diversi santuari militari, fra cui un mitreo decorato con pitture rinvenute quasi intatte, le quali sono particolarmente importanti sotto l’aspetto tematico, giacché vi sono rappresentate le due figure, ignote alla decorazione degli altri templi militari, di Zoroastro e di Ostane, nonché quella di Mitra a cavallo come cacciatore.

Fra i numerosi templi dedicati alle divinità dei quattro Olimpi, babilonesi, siriache, greche e romane, sono degni di nota quello del dio guerriero Aphlad; quello di una divinità forse locale, Artemide Azzanathkona; quello di Zeus Kyrios; quello di Artemide Nanaia e quello di Bēl, Jarhibol e Aglibol, che fu affrescato in età partica con pitture rappresentanti scene di sacrifici fatti dai fedeli alla presenza della famiglia offerente, ed in età romana, verso la fine del II o agli inizi del III secolo, con una grande scena raffigurante il tribuno romano Giulio Terenzio, che, accompagnato da otto ufficiali, da un vessillifero e dalla ventesima coorte degli arcieri indigeni, compie un rito-sacrificio alla triade palmirena ed alle Tychae di Dura e di Palmira.

In mezzo a tanti edifici di culto si trovano anche una chiesa cristiana ed una sinagoga, che sono di particolare importanza, perché la prima ha conservato i più antichi affreschi battisteriali con scene tratte dal Vecchio e Nuovo Testamento, la seconda costituisce un rilevante esempio di tempio ebraico con decorazione pittorica.

L’edificio in cui ha trovato posto la chiesa cristiana con l’annesso battistero, non differisce in nulla planimetricamente dalle altre costruzioni civili di Dura Eúropos. Si tratta di una grande casa d’abitazione (m. 18 x 20) costruita nel I o nel II secolo, la quale per poter essere adibita ad uso di culto subì successivamente delle trasformazioni. Al centro dell’edificio trovavasi un ampio cortile quadrato. Una porta aperta sul lato sud immetteva in una grande sala rettangolare, la cui lunghezza di m. 12 risulta dall’unione di due stanze, come dimostrano delle tracce tuttora conservate d’un antico muro divisorio, che venne abbattuto quando si volle formare un solo vasto ambiente. Tale trasformazione dovette avvenire probabilmente nel 232-233, all’epoca cioè di un’iscrizione graffita con questa data nello stucco ancor fresco di questa sala.

Presso il muro di fondo sono stati trovati i resti di un largo podio, sul quale con grande verosimiglianza doveva sorgere l’altare o la cattedra del vescovo. In questa aula si deve riconoscere una sala liturgica. Dal lato nord del cortile si entra in una piccola stanza rettangolare, che fu trasformata in battistero con l’aggiunta di una piscina, la quale venne coperta da una specie di baldacchino tutto decorato, sostenuto da due pilastri e da due colonne. Le pareti di questa stanza furono affrescate con scene del Buon Pastore, di Adamo ed Eva accanto all’albero del paradiso terrestre, della lotta di David con Golia, della Samaritana al pozzo, di Cristo che cammina sulle onde, della guarigione del paralitico. Le altre stanze del piano terra e del piano superiore, cui si accedeva per mezzo di una scala costruita vicino al battistero, dovettero servire all’amministrazione ecclesiastica della comunità cristiana di Dura Eúropos e all’abitazione del vescovo o di un presbitero.

La sinagoga ebraica, rimessa in luce nella campagna di scavo 1931-1932, sorgeva anch’essa entro un complesso edilizio in parte adibito all’amministrazione e in parte ad abitazione del rabbino. Dopo aver attraversato un grande atrio, si accedeva alla grande aula, dove veniva letta la Tôrāh. La porta principale si apriva, secondo l’uso orientale, su di un lato lungo proprio di fronte al centro del culto, cioè ad un’edicola a ferro di cavallo sormontata da un fastigio a forma di conchiglia: era il posto riservato all’archisinagogo.

La fronte dell’edicola contiene a sinistra emblemi sacri, il candelabro a sette braccia, un cedro, una palma; nel centro lo scrigno della lex, di cui l’arca è il prototipo; è a forma di tempio con porta inquadrata da quattro colonne, a destra il sacrificio d’Abramo con Isacco disteso sull’ara, dall’alto sporge la mano divina, che arresta Abramo pronto col coltello al sacrificio. La vasta aula, ricostruita in forma più grande nel 245, come si apprende da un’iscrizione in aramaico dipinta su di un tegolone del soffitto, aveva – cosa eccezionalissima per i luoghi di culto ebraici – le pareti completamente rivestite di pitture, sovrapponentisi fino a quattro zone.

I soggetti rappresentati sono desunti principalmente dal Vecchio Testamento, come per esempio le storie di Ezechiele e d’Elia, di Ester, di David, di Samuele, ecc.; non mancano però quelli ispirati alla tradizione post-biblica, come mostra il quadro rappresentante Mosè che divide le acque della fonte in dodici rami, ognuno dei quali corre verso le dodici tende delle dodici tribù. In questi affreschi il Rostovtzeff ha riconosciuto la diversa mano di artisti locali, seguaci di scuole pittoriche diverse, nel cui stile sono però evidenti elementi semitici ed iranici.

Insieme con gli edifici, ai rilievi ed ai dipinti, Dura Eúropos ha reso alla luce, perfettamente conservati, molti oggetti di materia di per sé deteriorabile, come per esempio quelli di legno e di cuoio, i tessuti, le pergamene e i papiri. Fra questi si è rinvenuto il più antico frammento del Diatessaron di Taziano, nell’originale che fu composto in greco, non in siriaco, in caratteri datati del 220 d.C. (M.-J. Lagrange, Un fragment grec du Diatessaron de Tatien, in “Revue biblique”, 44 [1935], pp. 321-327).

***

Questa voce fa parte del Progetto Enciclopedia Cattolica.

Pubblicità