Il viaggio dei Magi

Questo testo rielabora una mia riflessione apparsa nel  bimestrale di informazione, cultura e vita sociale dell’Associazione Cardinal Ferrari, “Il Piccolo”, n. 6/08 (novembre-dicembre 2008).

71-131-10

«Fu un freddo avvento per noi,
proprio il tempo peggiore dell’anno
per un viaggio, per un lungo viaggio come questo:
le vie fangose e la stagione rigida,
nel cuore dell’inverno
».

Così comincia The Journey of the Magi (“Il viaggio dei Magi”), uno dei primi componimenti che Thomas Stearns Eliot, tra i massimi poeti del Novecento, scrisse dopo la sua conversione al cristianesimo e l’ingresso ufficiale nella Chiesa d’Inghilterra, nel 1927: un testo a dir poco singolare, concepito originariamente come un semplice biglietto d’auguri per Natale, ma che nonostante questo si conclude con un accenno – decisamente poco “natalizio” – al tema della morte.

A prendere la parola, nella finzione del poema, è uno degli antichi sapienti che fecero visita al neonato Gesù, secondo il celeberrimo episodio narrato per la prima volta dal Vangelo di Matteo (2,1-12).

Il tragitto dei Magi, lungo il percorso indicato dalla stella, viene fatto iniziare da Eliot all’improvviso, «nel cuore dell’inverno», vale a dire nella stagione meno buona per lasciar le proprie case e i propri affetti: un insieme di circostanze, per la verità, che difficilmente un lettore si sarebbe aspettato di trovare in riferimento ai tre sapienti dell’iconografia tradizionale. Non erano forse, costoro, i rappresentanti per antonomasia di una conoscenza arcana, millenaria, infallibile? E perché mai il poeta, contro ogni aspettativa, li presentava ora come impreparati, quasi colti di sorpresa di fronte a un «avvento» che doveva invece apparire loro come irresistibile, in quanto lungamente atteso?

Nel poema, certamente, si fa cenno alla sapienza dei Magi: ma è una sapienza irrimediabilmente perduta, un oggetto di dolorosi rimpianti, un’ingannevole certezza ora lontana:

«Vi furono momenti in cui rimpiangemmo
i palazzi d’estate sui pendii, e le terrazze…
».

Il percorso dei sapienti si trasforma in una prova, in un pellegrinaggio dei più duri:

«Poi i cammellieri che imprecavano e maledicevanoe disertavano, e volevano donne e liquori,e i fuochi notturni s’estinguevano,
e mancavano i ricoveri,

e le città ostili e i paesi nemici

ed i villaggi sporchi e tutto a caro prezzo:
ore difficili avemmo
».

Quanto appaiono lontani, questi versi, dall’immagine oleografica dei tre sovrani, che giungono da un paese remoto, avvolti in vesti fruscianti e attorniati da uno stuolo di servitori fedeli, bramosi d’incontrare Colui che il mondo intero attendeva… L’atmosfera, qui, si presenta decisamente diversa. Nei versi di Eliot, i Magi sembrano viaggiare in una notte perenne, attraversando terre ostili e aride, del tutto prive di grazia e bellezza: sparisce la dimensione esotica, restano i comuni mortali, smarriti di fronte alle proprie debolezze e all’asprezza del percorso. L’animo si fa triste, e i pensieri sono come sopraffatti dalle voci interiori, che incessantemente ripetono:

«Che questo era tutta follia».

Lo sguardo dei Magi, di tanto in tanto, s’imbatte in qualcosa che sembra buono per la loro scienza, ma il suo senso complessivo continua a sfuggire. È una sequenza di “segni”, d’immagini da decifrare, come altrettanti sigilli di una storia futura, verso la quale i viandanti sono tanto irresistibilmente quanto incomprensibilmente trascinati:

«Poi all’alba giungemmo a una valle più tiepida,
umida, sotto la linea della neve, tutta odorosa di verde;

con un ruscello in corsa e un molino ad acqua che batteva il buio,

e tre alberi contro il cielo basso,
e un vecchio cavallo bianco al galoppo sul prato…
».

Questa strofa, probabilmente la più bella dell’intero poema, racchiude in un grappolo d’immagini tutti i principali misteri della fede cristiana: la valle tiepida, che raffigura i tempi nuovi, inaugurati dall’arrivo del Cristo; il ruscello in corsa, che rappresenta l’acqua del battesimo, e il mulino ad acqua, che rimanda al pane eucaristico; i «tre alberi contro il cielo basso», che prefigurano la crocifissione di Gesù, e il cavallo bianco che ne indica la gloriosa risurrezione, con la sconfitta finale della morte.

Ma si tratta solo di un miraggio, o è piuttosto una realtà che deve ancora schiudersi, e che rimane inaccessibile a chi è sempre vissuto di miraggi e di sogni? I Magi, di tutto questo, non possono che scorgere l’ombra:

«Non avemmo alcuna informazione, e così proseguimmo…».

Camminano dunque fino all’incontro fatale, verso un incontro che resta emblematicamente fuori del testo, non detto perché non dicibile: i Magi scoprono qualcosa che la loro ragione non riesce a prevedere e racchiudere. È lo splendore di un Dio fatto carne, è il Verbo incarnato che vagisce, è il Re dell’universo che si rivela agli uomini, piccolo e in fasce: qualcosa, qualcuno che sfugge ai loro piani, e che non si lascia afferrare finché vi si oppone resistenza. La sua logica non è di questo mondo, anche se dà un senso al mondo:

«…Considerate
questo: ci trascinammo per tutta quella strada
per una Nascita o per una Morte? Vi fu una Nascita, certo,
ne avemmo prova e non avemmo dubbio. Avevo visto nascita e morte,

ma le avevo pensate differenti; per noi questa Nascita fu

come un’aspra ed amara agonia, come la Morte, la nostra morte.

Tornammo ai nostri luoghi, ai nostri regni,
ma ormai non più tranquilli, nelle antiche leggi,
fra un popolo straniero ch’è rimasto aggrappato ai propri idoli.
Io sarei lieto di un’altra morte
».

I versi finali, con la loro solenne gravità, rovesciano idealmente la prospettiva di una precedente poesia di Eliot, Gerontion (composta nel 1919): laddove il poeta, non ancora credente, descriveva se stesso come «un vecchio, una testa intronata fra spazi ventosi… arido cervello in un’arida stagione», alludendo in questo modo alla propria partecipazione a una falsa conoscenza, compiaciuta di sé e incapace di accogliere il reale. Ecco quindi che la conversione dell’autore, rispecchiata nel percorso dei Magi, può essere realmente considerata come «un’aspra ed amara agonia, come la Morte, la nostra morte»: come l’inizio di una vita nuova.

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