La struttura della persona nel I secolo

di Bruce J. Malina

Testo tratto da Bruce J. Malina, Nuovo Testamento e antropologia culturale, trad. it. A. Fracchia, Paideia, Brescia 2008 (ed. or. Westminster John Knox Press, Louisville 2001), pp. 75-86.

Si è mai fatto caso a quanto pochi siano quelli che leggono qualche altro scritto mediterraneo del I secolo, oltre al Nuovo Testamento? Chi legge e studia il Nuovo Testamento, per lo più, lo fa perché crede che sia “Parola di Dio”, e ch’è per questo che lo si deve leggere. Ma se il Nuovo Testamento non avesse l’importanza religiosa che ha oggi, quanti nella nostra cultura ne troverebbero piacevole, seducente e interessante la lettura? Avrebbero qualche motivo per leggere anche Plutarco, Giuseppe Flavio, Filone Alessandrino, Epitteto, Musonio Rufo e altri scrittori del tempo?

Generalmente, la nostra sensibilità trova noiosi gli scritti mediterranei del I secolo. Il motivo principale sta forse nel fatto che ciò di cui questi scritti parlano non ci riguarda molto da vicino: ogni volta che iniziamo a discutere di qualcuno, di qualche pettegolezzo o di qualche problema sociale, quasi invariabilmente e inevitabilmente la nostra conversazione assume toni psicologici […].

Nella nostra cultura si tende a considerare la costituzione psicologica di un individuo, assieme allo sviluppo della sua personalità dall’infanzia in poi, come un elemento decisivo per comprendere e spiegare il comportamento umano. Se tuttavia si leggono attentamente gli scritti neotestamentari, o qualsiasi altro testo del medesimo periodo, si sperimenta un’assenza quasi totale di informazioni di questo genere. Ciò accade perché che i personaggi rappresentati negli scritti neotestamentari, al pari dei loro autori, non erano incuriositi né toccati da informazioni di tipo psicologico o riguardanti la personalità […]. Si potrebbe concluderne che la persona mediterranea del I secolo non condividesse o comprendesse affatto la nostra idea di “individuo”. E la ritengo una buona conclusione […].

In luogo dell’individualismo, nel mondo mediterraneo del I secolo s’incontra infatti ciò che potrebbe essere definito collettivismo: le persone si concepivano sempre in rapporto al gruppo (o ai gruppi) al quale si sentivano indissolubilmente legate. Un orientamento psicologico di questo genere porrebbe essere definito “diadismo” (dal gr. dyas, paio, dualità), il contrario di “individualismo”.

La persona diadica è sostanzialmente integrata in gruppi e orientata al gruppo […]: è qualcuno che ha sempre bisogno di altri per sapere chi è davvero. La personalità collettivista è tipica di singoli che si concepiscono e formano la propria immagine a seconda di ciò che gli altri percepiscono e rinviano loro in risposta. Questi sentono il bisogno di altri per la propria stessa esistenza psicologica, dal momento che l’immagine che hanno di sé deve accordarsi con l’immagine espressa e prospettata da altre persone significative, dai membri di gruppi importanti e di sostegno della persona, come la famiglia, la tribù, il villaggio, ma anche la città e la rete etnica in generale.

Per parafrasare Clifford Geertz, la persona del I secolo si sarebbe concepita come un tutto distinto in rapporto con altri analoghi interi, e si sarebbe situata in un determinato retroterra sociale e naturale. La cognizione che si ha di un qualsiasi individuo è quella di un essere incorporato in qualcun altro, per così dire in una sequenza di incorporazioni. Se il nostro tipo di individualismo ci porta a ritenerci unici, perché siamo distinti da altri esseri a loro volta unici e distinti, le persone del I secolo si coglievano come uniche perché poste insieme ad altri esseri all’interno di gruppi unici e distinti […].

Un modello a tre settori

Sembra che la personalità collettivista fosse diffusa in tutte le diverse culture del mondo mediterraneo del I secolo, e non soltanto in ambiente semitico. Su un piano abbastanza elevato d’astrazione, queste culture erano piuttosto affini. Su un piano d’astrazione inferiore, vale a dire al livello delle subculture regionali, s’incontravano differenze considerevoli, tra le quali il modo di articolare la percezione della personalità, ossia il modo in cui venivano raffigurate le attività del singolo essere umano.

I filosofi greci e romani e i loro seguaci parlavano della composizione dell’essere umano, ad esempio, in termini di corpo e anima, di intelletto, volontà e coscienza, di virtù e di vizi che sconvolgono l’anima immortale della persona o la divinità che vi dimora. Queste idee e questa terminologia risultano assenti negli scritti biblici. In che modo gli autori biblici, per la gran parte semiti, intendevano allora la costituzione, stereotipata e non introspettiva, delle personalità collettiviste che illustravano e interpretavano nei loro scritti? […]

Nel Nuovo Testamento il comportamento umano è rappresentato per mezzo di persone ed eventi visti concretamente, per così dire dall’esterno. Si evita l’introspezione, poiché non la si ritiene interessante, e si valuta il comportamento sulla base dell’attività che si lascia percepire dall’esterno e alla luce delle funzioni sociali.

Ora, qual è la struttura particolare del comportamento umano, la costituzione del singolo preso in se stesso? Il singolo è considerato come un tutto che appartiene e interagisce con una società, come un essere vivente che reagisce a persone e cose a lui esterne. La struttura principale dei perimetri o dei confini di questa interazione tra il singolo e il mondo esterno viene rappresentata mediante metafore, basate soprattutto sui componenti del complesso organico umano.

In parole più semplici, gli esseri umani sono provvisti di un cuore per pensare, di occhi che riempiono d’informazioni il cuore, di una bocca per parlare, di orecchi destinati a raccogliere le parole altrui, oltre che di mani e di piedi per muoversi ed agire.

Su un piano più astratto, l’essere umano è suddivisibile in tre settori che interagiscono con persone e cose, e che si compenetrano l’un l’altro pur restando distinti: il settore del pensiero fuso con l’emozione; il settore della parola che dà espressione all’io; il settore dell’azione intenzionale. Ciò portava a pensare che gli esseri umani si adattassero al posto che era loro dovuto nel proprio ambiente di riferimento, fisico e sociale, e agissero in modo tipicamente umano per mezzo delle proprie reazioni intime (occhi-cuore) espresse nel linguaggio (bocca-orecchie) e/o estrinsecate in attività (mani-piedi).

Questi tre ambiti compongono la struttura non introspettiva degli esseri umani, e sono utilizzati in tutta la Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse, per rappresentare il comportamento umano. Sono tipici, nel I secolo, della subcultura semitica del mondo mediterraneo, e forse sono alla base anche delle concrescenze filosofiche del mondo greco e romano.

In ogni caso, qui sono in questione gli scritti biblici, ed è su questi che ci accingiamo a verificare questo modello in tre settori. È un modello ideato e proposto qualche anno fa da Bernard de Géradon: in quanto segue si riprenderanno molte delle sue osservazioni.

Tanto per iniziare, potrebbe essere utile ricordare che le prospettive rappresentative semitiche tendono ad essere più sintetiche che analitiche – più “riflettori” che “faretti”. Un riflettore copre contemporaneamente una grande area: anche se spostare la luce può accrescere l’esposizione di una determinata parte, l’intera superficie resta sempre visibile. Allo stesso modo, singole parole riguardanti uno dei tre ambiti stanno per l’ambito intero, pur mantenendo sempre di vista l’essere umano in tutte le sue funzioni.

Quello che segue è un elenco esemplificativo di queste parole e degli ambiti ai quali si riferiscono:

1) Ambito del pensiero fuso con l’emozione: occhi, cuore, palpebra, pupilla, e le attività proprie di questi organi: vedere, conoscere, comprendere, pensare, ricordare, scegliere, percepire, osservare. Afferiscono a quest’ambito anche i nomi e gli aggettivi che seguono: pensiero, intelligenza, mente, saggezza, follia, intento, progetto, volontà, affetto, amore, odio, sguardo, riguardo, cecità, aspetto; intelligente, affettuoso, saggio, folle, odioso, felice, triste e simili. Nella nostra cultura quest’ambito includerebbe i settori a cui ci riferiamo con intelletto, volontà, giudizio, coscienza, forza interiore, personalità profonda, affetto e così via.

2) Ambito della parola in quanto mezzo espressivo: bocca, orecchie, lingua, labbra, gola, denti, mascelle, con le attività proprie di questi organi: parlare, ascoltare, dire, chiamare, lamentarsi, interrogare, cantare, raccontare, narrare, informare, lodare, prestare attenzione, biasimare, maledire, giurare, disobbedire, non prestare ascolto. Afferiscono a quest’ambito anche i nomi e gli aggettivi che seguono: parola, voce, appello, lamento, clamore, canzone, suono, udito; eloquente, muto, loquace, silenzioso, attento, distratto e così via. Nella nostra cultura quest’ambito includerebbe i settori a cui ci riferiamo esprimendo noi stessi mediante la parola: la comunicazione interpersonale, l’ascolto, il dialogo, eccetera.

3) Ambito dell’azione intenzionale: mani, piedi, braccia, dita, gambe, e le attività proprie di questi organi: fare, agire, compiere, eseguire, intervenire, toccare, venire, andare, marciare, camminare, stare in piedi, sedersi, insieme ad attività più specifiche come rubare, rapire, commettere adulterio, costruire e simili. Afferiscono a quest’ambito anche i nomi e gli aggettivi che seguono: azione, gesto, lavoro, attività, comportamento, passo, cammino, strada, direzione e qualsiasi attività particolare; attivo, capace, rapido, lento e così via. Nella nostra cultura quest’ambito includerebbe il settore del comportamento estrinseco: qualsiasi attività esteriore, l’intervento umano nel mondo delle persone e delle cose.

È praticamente impossibile dire se le persone che si servivano di questo modello ne fossero espressamente consapevoli. Sembra più verosimile che il modello fungesse da schema implicito, come un complesso indistinto di settori di significato che funzionavano più o meno come la grammatica di un madrelingua. Tuttavia, quando chi scrive (o chi parla nel documento) rappresenta l’attività umana, inevitabilmente si muove secondo questi tre ambiti, talvolta insistendo soltanto su uno o due di essi, con l’altro o gli altri sempre visibili sullo sfondo. L’idea è che tutte le attività, le situazioni e i comportamenti umani possano essere (e in realtà lo sono) fatti rientrare in questi tre ambiti.

Quando si menzionano esplicitamente tutti e tre gli ambiti, chi parla o scrive intende un’esperienza umana totale e completa. Di una simile esperienza totale e completa parla per esempio l’autore della Prima lettera di Giovanni, quando scrive: «Ciò che era fin dal principio, ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo visto con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato e toccato con le nostre mani riguardo alla parola di vita… quello che abbiamo visto e udito, lo proclamiamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi…» (1Gv 1,1-3).

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