È terminato da poco il restauro del dipinto eseguito da Caravaggio sul tema della Conversione di san Paolo, oggi conservato nella collezione Odescalchi. Nei giorni scorsi, la tela è stata esposta al pubblico, grazie alla sponsorizzazione dell’Eni, presso Palazzo Marino a Milano. Riportiamo l’articolo di Michele Dolz uscito su “Avvenire” (14 novembre 2008) in occasione dell’inaugurazione dell’evento:
Era il 24 settembre 1600 quando Tiberio Cerasi commissionò al Caravaggio la “Conversione di Saulo”. Tesoriere Generale della Camera Apostolica, Cerasi aveva acquistato dai padri agostiniani di Santa Maria del Popolo la cappella dedicata ai santi Pietro e Paolo e ne aveva affidato la decorazione ai massimi artisti della Roma pontificia: a Carlo Maderno le modifiche architettoniche e gli stucchi; ad Annibale Carracci la pala d’altare dedicata all’Assunta; e a Michelangelo Merisi i due dipinti laterali sui santi titolari: la “Conversione di Saulo” e la “Crocifissione di Pietro”.
Ma nei primi giorni di maggio il Cerasi muore e lascia come erede universale l’Ospedale della Consolazione, con il compito di far terminare la cappella. Nel novembre 1601 l’ospedale salda il pittore con una cifra più bassa di quella pattuita e i dipinti rimangono nel suo studio. Si arriverà al 1605, dopo nuovi accordi tra artista ed eredi, per la collocazione della seconda versione, quella ancor oggi in loco, fatta su tela invece che sulla prescritta tavola in legno di cipresso. Ci fu dunque da parte del committente un rifiuto della prima versione? Non si sa.
La tesi secondo la quale le tavole non piacessero al padrone è dovuta al Baglione e non è avulsa dall’invidia di questo rivale del Caravaggio. Comunque i due dipinti originari vennero acquistati dal prelato Giacomo Sannesio e nel 1646 passarono a Juan Alfonso Enríquez de Cabrera, viceré di Sicilia, che li portò a Madrid. Nulla si sa di quello su san Pietro, mentre la “Conversione” paolina già l’anno dopo era a Genova e poi, per successive eredità e spartizioni, nel 1955 arrivò a Roma nel Palazzo Odescalchi, donde il nome con cui la si conosce. Roberto Longhi ne riconobbe la paternità caravaggesca nella decisiva mostra dedicata al maestro a Milano nel 1951.
Sebbene molto diversa per composizione e cromatismo, ma anche per spirito, rispetto alla Conversione “definitiva” di Santa Maria del Popolo, nota a tutti, questa caduta dell’Apostolo sembra abbia più attinenza a quanto l’artista andava facendo nel periodo della commissione. Si pensi agli incredibili dipinti su san Matteo nella Cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi, dove oltre alla narrazione in moto perpetuo c’è una complessa lezione teologica per elementi simbolici. Prima della semplificazione drammatica della forma e della luce.
Si direbbe che qui c’è un trionfo di grigi sul quale esplodono fortissime alcuni luci, le luci della grazia, che riverberano sul corpo finto-nudo di Saulo a terra e risalgono splendendo man mano sulla barba del soldato, l’elmo, il pennacchio e la testa bianca del cavallo, come una mezza luna che conduce al meraviglioso volto dell’angelo, non privo di sottile ambiguità. Solo allora l’occhio si ferma sulla figura in penombra, il volto quasi invisibile, che si protende dal cielo verso l’ex nemico della fede con tale veemenza da dover essere sorretto o forse trattenuto dall’angelo. Più che un’apparizione, questa è l’irruzione di Cristo risorto nell’anima e perfino nel corpo di colui che doveva essere apostolo delle genti.
Come approfonditamente ha illustrato lo storico Rodolfo Papa, il tema dei dipinti caravaggeschi di questo periodo è la grazia e il libero arbitrio. E bisogna riconoscere che in questo caso il soggetto faceva proprio al caso suo. In questo senso, la seconda versione è ben più tranquilla e “interiore”. Non che la “Conversione Odescalchi” non sia stata esposta e studiata. A far notizia questa volta è il recente, importante restauro, che ha dato all’opera un’inedita leggibilità, e l’omaggio che le vuole dedicare il Comune di Milano, a pochi mesi dalla scoperta del certificato di nascita del Merisi, che ne ha attestato la cittadinanza milanese. La tavola, in effetti, verrà esposta dal 16 novembre al 14 dicembre a Palazzo Marino e sarà visitabile gratuitamente, corredata anche da ampio apparato didattico.
Immediatamente dopo il restauro, la tavola fu collocata per breve tempo nella cappella di Santa Maria del Popolo, proprio nel luogo ad essa destinata da contratto. Ma lì i quadri sono a tre metri da terra, con la relativa difficoltà a cogliere i particolari a occhio nudo. Ora questi dettagli si potranno osservare in diretta e anche attraverso la stupenda esplorazione fotografica di Claudio Falcucci (catalogo Skira). La testa del cavallo schiumante, ad esempio, oppure l’abbagliata e diffidente sorpresa dell’anziano soldato sono immagini indimenticabili.
(Michele Dolz, Avvenire, 14 novembre 2008)