Le colonne della Basilica di San Paolo Fuori le Mura – 2

di Luigi Codemo

Prosegue la storia delle colonne di San Paolo Fuori le Mura. La forma secondo cui l’edificio-chiesa si erge corrisponde alla comprensione che la Chiesa, popolo di Dio, ha di se stessa nel tempo. E quindi perché le colonne? Perché una tale quantità e perché tutte d’un pezzo?

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Perché le colonne? Perché una tale quantità e perché tutte d’un pezzo? Perché tanta cura, e perizia, e fatica?

Certo c’era la volontà del pontefice che, assecondando il desiderio di fedeli e di tanta parte del mondo della cultura, chiedeva che la basilica risorgesse in pristinum, con le stesse dimensioni, lo stesso disegno, le stesse fattezze della precedente. Ma non è solo questione di reiterazione di un modello per fedeltà a un passato.

La forma secondo cui l’edificio chiesa si erge corrisponde alla comprensione che la Chiesa, popolo di Dio, ha di se stessa nel tempo: il modo di organizzare lo spazio esprime il mistero della comunione ecclesiale e il modo di attraversare questo spazio esprime il cammino della comunità credente. In quella selva di colonne della basilica di San Paolo fuori le Mura vi è quindi un richiamo forte e originario a significati consegnati alla storia da coloro che, nei secoli, hanno testimoniato la fede con la vita e con la morte.

La colonna come simbolo

Innanzitutto, la colonna è simbolo di Cristo, vero uomo e vero Dio: come una colonna, egli unisce il cielo e la terra. E la moltitudine di colonne che reggono il tempio di Dio rappresentano gli apostoli, e i vescovi successori degli apostoli che sostengono la Chiesa lungo i secoli.

Con questi significati, l’immagine della colonna la troviamo anche nelle lettere paoline:

E riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani” (Gal 2,9).

Ti scrivo tutto questo, nella speranza di venire presto da te; ma se dovessi tardare, voglio che tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità” (1Tim 3,14-15).

Il quadriportico

I nostri piedi si fermano alle tue porte (Sal 122,2). Le colonne del quadriportico creano il luogo dell’accoglienza. Tra le colonne si fermano i catecumeni, coloro che aspirano al battesimo. Il quadriportico è la soglia che conduce a un cambiamento, che non consiste tanto nel passaggio da fuori a dentro, quanto nella trasformazione del cuore; è soglia che segna l’attesa di una promessa che risuonava già con il profeta Ezechiele che annunciava il dono dello Spirito di Dio nella redenzione messianica d’Israele:

«Vi darò un cuore nuovo e uno spirito nuovo immetterò dentro di voi. Toglierò il cuore di pietra dal vostro corpo e vi metterò un cuore di carne. Metterò il mio spirito dentro di voi e farò sì che osserviate i miei decreti e seguiate le mie orme» (Ez 36,25-27).

Il quadriportico, utilizzando un’immagine tratta dal linguaggio di Paolo, può essere paragonato ad uno “spogliatoio” dove ci si prepara a diventare partecipi dell’antica promessa ora realizzata nella vita nuova in Cristo:

«Spogliatevi dell’uomo vecchio, quello del precedente comportamento che si corrompe inseguendo seducenti brame, rinnovatevi nello spirito della vostra mente, e rivestitevi dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità della verità» (Ef 4,22-24).

Dalla navata all’abside

Entrare nella lunga basilica di San Paolo significa entrare in uno spazio e in un tempo scanditi dalle colonne. E procedere nelle navate, dove ordine e ritmo si proporzionano armonici al passo dell’uomo, diventa immagine del procedere nel cosmo lungo la storia.

L’orientamento è dato dall’abside, dove la luce sfolgorante dell’oro senza tempo indica l’apertura della storia verso l’eterno, verso il compimento. In questo modo, risalire l’aula esprime la speranza dell’incamminarsi verso il ritorno del Cristo, verso il punto dove la storia sarà ricapitolata in unità. L’uomo è incardinato con il cosmo all’eterno, ma il suo procedere passo dopo passo dà corpo alla storia e palesa il senso del divenire solo nella misura in cui si dirige alla lode del Creatore e alla riunificazione con il Padre.

«Quindi nessuno ponga la sua gloria negli uomini; perché tutto è vostro, e Paolo,e Apollo, e Cefa, e il mondo, e la vita, e la morte, e il presente, e il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3,21-23).

L’altare e la tomba dell’Apostolo

Nella direzione che dalla navata centrale va verso l’abside, si erge l’altare: forma corporis Christi, mistero di presenza del Figlio di Dio, condizione di possibilità perché tempo ed eterno si incontrino. E sotto l’altare, la tomba di Paolo.

Per comprendere questa collocazione dobbiamo leggere l’Apocalisse: «Vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa» (Ap 6,9). E Tertulliano giunge a scrivere: «Christus in martyre est», nel martire c’è Cristo. Martire, infatti, è chi si identifica con il Signore al punto da rendergli testimonianza fino alla morte. E fin dalle prime comunità cristiane, il martirio è stato paragonato alla celebrazione eucaristica, perché realizza una contemporaneità con Cristo, l’essere una cosa sola con lui.

Gesù, proprio nel giorno in cui ha istituito l’eucaristia, ha detto ai suoi discepoli: «Vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi» (Gv 13,15). E come egli ha vissuto fino a consegnare la propria vita per gli amici, così ogni cristiano è chiamato a fare lo stesso. Paolo, come ogni martire, ha ascoltato questa parola e l’ha fatta propria, incarnandola nella propria vita e nella propria morte. Per questo ha potuto scrivere ai Galati: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20).

L’eterno nel tempo

La mirabile prospettiva che nasce e s’insegue lungo le colonne della basilica disegna uno spazio concreto, perfino misurato, che restituisce e rende presente, nel modo più reale e rigoroso, l’evento di cui il luogo è memoria: il martirio dell’apostolo Paolo. Un fatto, quindi, sottolineato nel suo essere accaduto veramente. Ma che non per questo si risolve in un passato irraggiungibile e estraneo: l’essere una sola cosa con Cristo, infatti, rende contemporanei a Cristo, ovvero ancorati a colui che è sempre, fin dal principio.

L’esempio di Paolo ci porta a superare il tempo. Quindi, celebrare l’eucaristia sopra la sua tomba (come quella di ogni santo e di ogni martire) evidenzia certamente il carattere esigente che la sequela di Cristo comporta, ma soprattutto esalta la comunione che viene a realizzarsi tra i fedeli e il Signore Gesù nella risposta d’amore al Dio che ha amato per primo.

Se uno è in Cristo, è creatura nuova

La relazione personale con Gesù instaura un rapporto creativo e trasformatore. Paolo dice di essere rimasto «afferrato» da Cristo: l’apostolo è chiamato a vivere in Cristo, ad entrare in comunione con lui, a sperimentare la forza della risurrezione, a ricevere lo Spirito e conformarsi a lui. In questo modo nasce un essere nuovo, la nuova creatura. «Se uno è in Cristo, è creatura nuova» (2Cor 5,17).

A questo punto, le colonne di granito assumono un aspetto singolare e diventano come “pietre vive” a immagine degli apostoli e della miriade di persone che testimoniano l’azione dello Spirito che trasforma a vita nuova. Le colonne, tutte identiche e tutte distinte, che si rimandano l’una all’altra, sono segno di quel che dice l’apostolo: «Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito» (2Cor 3,18).

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