L’iconografia paleocristiana

di Luciano De Bruyne

L’articolo corrisponde alla voce «Iconografia cristiana antica», in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1948-1954, vol. VI, coll. 1546-1551.

Nel gruppo delle scienze filosofiche storiche che si occupano della ricostruzione scientifica dell’«orbis christianus antiquus», l’iconografia paleocristiana ha il compito di rintracciare nei prodotti dell’arte cristiana antica tutte le informazioni che possono far luce sulla cultura cristiana dei primi tempi. La sua attività quindi si svolge in base a quei monumenti e a quei resti monumentali che offrono rappresentazioni figurate, studiate non come creazioni artistiche corrispondenti a fini estetici (punto di vista riservato alla storia dell’arte), ma nel loro contenuto.

Considerata in un primo tempo come scienza piuttosto analitica e descrittiva (iconografia), limitata alla ricerca del vero significato dei temi e motivi iconografici e del metodo scientifico per scoprirlo, l’iconografia, sempre più intenta ai fini storici ed aiutata da una progressiva chiarificazione delle leggi proprie, è andata trasformandosi in questi ultimi tempi in una scienza più «penetrativa» e sintetica, cui converrebbe meglio il nome di iconologia.

Essa, infatti, non limita più i suoi sforzi all’identificazione del soggetto, alla descrizione di figure o scene e delle successive evoluzioni grafiche per cui passò l’espressione figurata, alla costituzione di gruppi più o meno ben classificati. L’opera d’arte, considerata come manifestazione di un pensiero e al servizio di finalità superiori, dopo determinato il suo genere figurativo (simbolico, tipologico, allegorico, ciclico o narrativo), non soltanto viene situata nella catena generale degli sviluppi genetici dell’arte cristiana reperibili tanto nello spazio quanto nel tempo, ma pure studiata in tutti i suoi elementi costitutivi, anche quelli più nascosti, fino a raggiungere, attraverso le varie interferenze ideologiche concorrenti alla sua elaborazione, l’intero concetto ispiratore cui deve la sua esistenza. L’«immagine» creata per servire da veicolo di idee e di sentimenti tra l’ideatore e chi contempla, per l’iconologo diventa viceversa segno, simbolo, specchio, documento ricco d’informazioni sulle credenze, gli stati d’animo, i modi di vedere, gli usi, gli scopi di una determinata religione o civiltà.

Tra l’iconografia e la storia dell’arte vi è una certa differenza, ma differenza non significa, o non dovrebbe significare, antagonismo, giacché l’una è sussidio e completamento dell’altra. Anche se in certi casi diventa difficile stabilire dove finisce il compito dell’iconografo e comincia, invece, quello dello storico dell’arte o viceversa, in linea di massima si può dire che per il primo l’elemento formale, come tale, non ha un interesse diretto (anche una rappresentazione priva di bellezza rimane per lui preziosa testimonianza) mentre, per il secondo, anche se intenda raggiungere attraverso la creazione artistica il mondo interiore del creatore, la qualità estetica, stilistica e tecnica e le sue vicende sono di primaria importanza.

Le due scienze non si possono però del tutto separare; si debbono piuttosto orientare verso una stretta collaborazione. Lo studio genetico dei temi iconografici è addirittura impossibile senza chiare delimitazioni geografiche e datazioni cronologiche sicure, ottenute appunto spesse volte unicamente per via di analisi stilistica, mentre l’analisi degli schemi e la valutazione dei gruppi o complessi iconografici può premunire la ricerca stilistica contro deviazioni ed errori nelle proprie conclusioni. Se tutte due le scienze, insomma, hanno come oggetto materiale le creazioni figurate, ciò che è fine per l’una diventa quasi sempre mezzo per l’altra.

Scienza ausiliaria della storia dell’arte cristiana, l’iconografia lo è anche in alcuni casi della teologia, nella misura in cui riesce ad illustrare i vari e successivi aspetti della fede e delle credenze popolari riflessi nelle opere d’arte.

Vasto è il materiale sul quale si stende la ricerca iconografica. Esclusi i motivi puramente decorativi, presi in considerazione solo per quanto possano offrire criteri di datazione o di provenienza, il repertorio iconografico comprende le rappresentazioni di Dio e delle Persone della S.ma Trinità, degli angeli buoni e cattivi, della Beata Vergine e dei santi, dei fatti del Vecchio e del Nuovo Testamento, della Chiesa e della sua missione, degli avvenimenti escatologici, dei riti liturgici, e tutti i segni simbolici o tutte le composizioni allegoriche di carattere dogmatico o morale, o che siano in qualche maniera espressione di fede, di devozione o di culto.

Tocca all’iconologo (ed è uno dei suoi compiti più difficili) il distinguere i motivi meramente ornamentali da quelli che, anche se apparentemente sembrano servire solo a scopi decorativi, non sono del tutto privi di senso simbolico, perché ancora carichi degli ultimi riflessi di simbolismi passati o in via di essere abbandonati. Le varie tecniche di cui si servono le arti figurative interessano l’iconografia solo nella misura in cui le esigenze delle materie utilizzate possono aver influito sullo schema o sui particolari delle composizioni iconografiche, e perfino anche sulla scelta e la frequenza dei temi stessi.

Il metodo di cui l’iconografia si serve per giungere a risultati scientifici è ancora in via di perfezionamento, e non può ancora essere formulato chiaramente. Per la raccolta dei materiali iconografici e la loro critica segue più o meno le norme delle scienze storiche od archeologiche in genere. Nella presentazione o sintesi iconografica finale mira ad elaborare un’immagine fedele e completa, a dare in parole l’equivalente (né più né meno) di quanto hanno voluto esprimere con le loro opere gli artisti riguardati, s’intende, non solo come decoratori più o meno valenti, ma anche come testimoni della cultura in cui vivono e mossi da motivi determinati, nella scelta e l’elaborazione dei loro soggetti. Quanto all’esegesi propriamente detta delle opere d’arte, che si desidera sempre più oggettiva e solidamente motivata, l’iconografia cristiana dispone ormai di non pochi mezzi e principi che permisero già di raggiungere notevoli risultati.

Punto di partenza di questo lavoro è una precisa cronologia (relativa ed assoluta) dei prodotti dell’arte cristiana, non più considerati isolatamente, ma possibilmente in continuo confronto con l’arte profana e nella luce della storia della civiltà e della religione. Stabilita, poi, la coesistenza di due tradizioni, l’una letteraria e l’altra figurativa, spesso, ma non sempre, concordi tra di loro, si ricorre come è logico a questa come alla fonte più diretta, ed a quella come sussidio dove c’è concordanza d’intenti.

Si dà la precedenza alla tradizione figurata e al fatto iconografico perché ogni arte argomentativa o di edificazione, in cui predomina quindi il contenuto o il significato, può e deve considerarsi come un linguaggio «sui generis», che dispone di un vocabolario e di una grammatica propri e suscettibili di essere formulati, codificati e utilizzati ulteriormente come mezzi di comprensione. L’iconografia cristiana quindi ricorre in primo luogo all’accurata analisi delle raffigurazioni stesse fin negli ultimi particolari, interrogando gli schemi di composizione, la distribuzione e il numero di personaggi, i loro atteggiamenti e gesti, le loro caratteristiche e i loro attributi, le loro vesti e l’ambiente in cui si muovono, il giuoco dei riscontri e dei contrasti, la destinazione della rappresentazione e i suoi rapporti con l’oggetto che adorna.

Per maggior chiarezza e sicurezza, l’opera esaminata è confrontata con altre opere d’arte, anzitutto con quelle della stessa famiglia e di preferenza con quelle immediatamente precedenti nel tempo o contemporanee, secondariamente con quelle appartenenti ad altri gruppi, anche non cristiani, che offrono elementi di rassomiglianza. Ciò che in un’opera non è forse troppo chiaro lo diventa mediante un paragone con un’altra. L’occhio sensibile alle interferenze ed alle discrepanze scopre significati, sfumature di pensiero, modifiche ed evoluzioni, valuta, divide e raggruppa, acquista vedute panoramiche su complessi e ramificazioni e finisce per scorgere leggi, intendimenti e concetti informatori.

In secondo luogo, senza perciò cadere in una petitio principii, l’iconografia cristiana utilizza altre fonti non appartenenti al dominio dell’arte, e che per comodità si chiamano letterarie. Le iscrizioni che accompagnano talvolta le stesse rappresentazioni iconografiche, il materiale epigrafico, la S. Scrittura e gli apocrifi, la letteratura patristica, i testi liturgici, le fonti agiografiche e mistiche, le tradizioni mitologiche, cosmografiche, simbolografiche ecc., adoperate con criterio, specie dove rivelano concezioni o credenze generalmente diffuse in un dato periodo, prestano all’iconografia cristiana l’appoggio della loro conferma, e addirittura il mezzo per capire ciò che il solo esame dell’arte non potrebbe chiarire.

Da quando esiste l’iconografia cristiana, si è convenuto di dividere i trattati e, quindi, anche la ricerca iconografica, secondo i soggetti, disposti nell’ordine della loro importanza dogmatica o religiosa. Divisione comoda così per gli autori come per chi cerca informazioni d’ordine oggettivo. L’avvenire rivelerà se non converrebbe meglio sostituire a tale sistema, o per lo meno adottare accanato a questo, una vera storia organica dei temi iconografici che permetta di seguire, periodo per periodo, i riflessi del pensiero cristiano nell’arte figurativa. Certo il metodo «storico», appunto perché mette in evidenza i numerosi incroci dei vari temi in un dato periodo e apre una visuale più larga su ciò che si potrebbe chiamare i complessi iconografici, non solo garantisce meglio la loro valutazione esatta, ma conduce anche ad una visione più coerente della vita del pensiero cristiano nel corso dei secoli.

Due questioni particolari sono per l’iconografia cristiana antica di una certa importanza: l’una relativa alla natura intima dell’arte paleocristiana, l’altra alle prime origini di quest’arte.

Tutti sono d’accordo nel riconoscere che l’arte cristiana antica, come del resto anche quella medievale, abbia come indirizzo prevalente la comunicazione del pensiero cristiano. Per dirlo con una brutta parola, è un’arte in larga misura contenutista. Quindi presta alle forme di cui si serve un certo valore di segni, di simboli. Ma che nella sua natura intima vada oltre a questo simbolismo apparente, comunicando allo spettatore idee o sentimenti da questi stessi segni non direttamente espressi, non è sempre stato da tutti accettato.

Messe da parte le rappresentazioni in cui la forma stessa acquista carattere simbolico o allegorico (ΙΧΘΥC = Cristo; Ultimo giudizio con i fedeli rappresentati da agnelli), si tratta di sapere soprattutto se l’arte cristiana, oltre allo scopo di ritrarre semplicemente un avvenimento biblico, rituale o altro (Noè nell’arca, un banchetto, ecc.) intenda suggerire inoltre, per via tipologica simbolica allegorica, un concetto spirituale più nascosto, intelligibile solo per gli iniziati alla fede o ai misteri cristiani (salvezza, Eucaristia, ecc.). Inoltre si domanda se questo simbolismo sia di carattere funebre o escatologico (nelle decorazioni cimiteriali) o invece segua un indirizzo più generale, dogmatico-morale.

Dopo le esagerazioni delle prime scuole iconografiche, che spingevano l’interpretazione simbolica-dogmatica fino al punto di giungere ad una diecina d’interpretazioni diverse del medesimo soggetto, si manifestò una forte reazione (Hasenclever, Styger) che, spinta dal desiderio di trovare un principio unitario d’esegesi, rifiutava all’arte paleocristiana si può dire ogni valore simbolico, attribuendole una funzione meramente illustrativa. Da un’esagerazione si cadde nell’altra. Oggi il carattere simbolico di quest’arte è generalmente ammesso; le opinioni differiscono solo nello specificare quale in questo simbolismo sia il concetto fondamentale atto a conferirgli una certa unità d’indirizzo. È probabile che, con il progredire delle ricerche particolari ed il perfezionarsi del metodo, la soluzione definitiva s’imporrà da se stessa.

Nei riguardi delle prime origini dell’arte paleocristiana, questione che interessa anzitutto la storia dell’arte, non si può negare che la soluzione di alcuni problemi iconografici sarebbe più facile se tale questione fosse maggiormente chiarita, sebbene non si debba esagerarne l’importanza. Non si è ancora potuto determinare un centro che abbia elaborato e diffuso le prime opere d’arte cristiana. Mentre per lungo tempo si riconobbe a Roma questo privilegio, venne poi anche qui la reazione da parte degli «orientalisti». È ormai famoso il nome dello Strzygowski, che in un primo tempo dava la precedenza agli importanti centri ellenistici orientali (Alessandria, Asia Minore, Antiochia), poi all’Oriente più remoto (Edessa, Mesopotamia, Iran) per finire con il dare grande importanza agli influssi nord asiatici e nord europei venuti attraverso l’India verso l’Asia anteriore. Lo seguirono in diverse misure e con varietà di preferenze il Wulff, il Baumstark, il Diehl, il Dalton, il Kaufmann, il Toesca, il Morey e altri. I cosiddetti «romanisti» invece (Wilpert, von Sybel, Schultze, Sauer, Rodenwaldt, ecc.) considerano l’arte paleocristiana come una ramificazione dell’arte ellenistica romana. Non è sempre facile distinguere se l’argomentazione dei singoli autori si riferisce proprio agli esordi dell’arte cristiana antica, o invece alle origini dell’arte post-costantiniana (perché esiste pure una «questione bizantina»).

Secondo ogni probabilità l’arte cristiana è stata ideata quasi contemporaneamente nei vari centri cristiani importanti, servendosi delle forme d’arte universalmente diffuse improntate a influssi locali. La questione degli scambi è di ordine «secondario». Ma occorreranno ancora numerose scoperte ed attenti studi particolari sulle caratteristiche di ogni regione e sui reciproci influssi, in base a monumenti cronologicamente ben datati, prima di poter precisare meglio e passare dall’ipotesi a fatti accertati.

Nella storia letteraria dell’iconografia cristiana si possono distinguere quattro fasi salienti.

Il primo notevole tentativo di ridare importanza ai monumenti iconografici cristiani è fatto dal Molanus (Jan Vermeulen), nel De picturis et imaginibus sacris (1570), opera interamente pervasa dallo spirito della Controriforma.

Dopo la scoperta delle catacombe, nel 1578, moltissimo si deve al Bosio (Roma sotterranea, postuma, 1632), intorno al quale si raggruppano il Macario (Jean L’Heureux), il Ciacconio e il Van Winghe. Seguono il Reiske, De imaginibus Jesu Christi (1685), il Ciampini, Vetera monumenta (1690), l’Arnold, Wahre Abbildungen der ersten Christen im Glauben und Leben (1700).

Mentre non c’è da dare importanza al periodo dei filosofi, i romantici francesi, invece, sotto l’influsso dello Chateaubriand, gettano i primi fondamenti di una scienza iconografica, mentre nella generazione seguente si vedono le prime opere complessive. I nomi: Seroux d’Agincourt, Histoire de l’art par les monuments (6 voll., 1811-1823); R. Raoul Rochette, Discours sur les types imitatifs (1834); A. Didron, Iconographie chrétienne: Histoire de Dieu (1843); Id., Annales archéologiques (1844-1867); Ch. Cahier e A. Martin, Mélanges d’archeologie et d’histoire (1847-1856) e Nouveaux mélanges (1874-1877); A. Crosnier, Iconographie chrétienne (1848-76). In Germania seguono: v. Wessenberg, Die christlichen Bilder (1827); Muller, Die bildlichen Darstellungen im Sanctuarium (1835); J. v. Radowitz, Ikonographie (1834); Helmsdorfer, Christliche Kunstsymbolik und Ikonographie (1839); F. Piper, Mythologie und Symbolik der christliche Kunst (1847); W. Menzel, Christliche Symbolik (1854); A. Springer, Ikonographische Studien (1860); Quellen der Kunstdarstellungen im Mittelalter (1879) in cui si nota già una notevole esattezza scientifica.

Il vero metodo storico, indirizzato a mettere nella giusta luce la natura dell’arte paleocristana, si deve a G.B. De Rossi (m. nel 1894). La sua immensa attività scientifica apre un periodo in cui, accanto alle raccolte monumentali dei materiali, alle enciclopedie, ai manuali, ai periodici, ai capitoli generali nelle grandi storie dell’arte, si moltiplicano in ogni senso gli studi particolari (monografie); si precisa sempre meglio il valore da attribuirsi alle varie fonti letterarie ed alla storia della religione; si sfrutta più efficacemente il paragone tra cristianesimo ed altre culture antiche; si chiarisce progressivamente la cronologia dei monumenti; si estende la ricerca ai monumenti orientali. Tra i numerosi studiosi siano semplicemente ricordati: a Roma: R. Garrucci, M. Armellini, O. Marucchi, A. De Waal, Hartmann Grisar, G. Wilpert, A. Venturi, G.P. Kirsch, P. Toesca, G. de Jerphanion, F. Grossi Gondi; in Francia: E. Le Blant, Ch. Bayet, E. Müntz, J. Martigny, C. Rohault de Fleury, H. Barbier de Montault, G. Millet, Ch. Diehl, L. Bréhier, H. Leclercq; in Germania: H. Detzel, F.X. Kraus, V. Schultze, J. Ficker, G. Stuhlfauth, L. v. Sybel, O. Wulff, J. Sauer, W. Neuss, K. Künstle, F.J. Dolger; in Inghilterra: A. Jameson, O. Dalton, W.E. Crum; da ricordare infine: J. Strzygowski, N. Kondakov, D.V. Ainalov, P. Styger.

Il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana fondato da Pio XI nel 1925, indirizzato a raccogliere i risultati già ottenuti e a coordinare le ulteriori ricerche, attrezzato con ricche collezioni e biblioteca specializzata, mediante i suoi corsi di studio e le sue pubblicazioni ha già portato un contributo notevole anche all’iconografia paleocristiana.

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