Lo stoicismo e il culto degli astri

di Franz Cumont

Il brano è tratto da Franz Cumont, Astrologia e religione presso i Greci e i Romani, ed. it. a cura di A. Panaino, trad. di P. Dalla Vigna, Mimesis, Milano 1997, pp. 119-128 (ed. or. New York – London 1912).

È stato spesso osservato che i maestri della scuola stoica erano per la maggior parte orientali. Lo stesso Zenone era nato a Kition, nell’isola di Cipro. Diogene di Babilonia, Posidonio di Apamea, Antipatro di Tiro – per menzionare soltanto i principali rappresentanti di queste dottrine – erano tutti siriani. In un certo senso si può dire che lo Stoicismo fu una filosofia semitica. Salvo il fatto che la principale preoccupazione di questa scuola fu quella di riconciliarsi con i culti stabiliti, è certo “a priori” che il culto degli astri di origine orientale non rimase estraneo a questo sistema di pensiero.

Se avessimo una conoscenza più precisa della civiltà asiatica durante il periodo ellenistico, potremmo stimare più precisamente cosa Zenone e, soprattutto, i suoi discepoli debbano alla teologia caldea e cosa si debba invece ad essi. Di questo punto ci siamo già occupati. In questa situazione, non possiamo scoprire l’evoluzione di tale movimento di idee, che introdusse definitivamente l’astrologia unitamente al culto astrale nella filosofia della Stoa. Il pensatore, che è pressoché il solo rappresentante che abbiamo di queste tendenze sincretistiche, a dispetto del fatto che esse devono essersi abbondantemente mostrate a lungo prima di lui e attorno a lui, è Posidonio di Apamea.

Dell’uomo non conosciamo quasi nulla. Nato ad Apamea nella valle dell’Orante, intorno al 135 a.C., dopo lunghi viaggi compiuti per il proseguimento dei propri studi che lo condussero sino a Gades (Cadice), egli soggiornò nell’isolo di Rodi, dove il suo insegnamento richiamò un gran numero di Greci e Romani. Morì all’età di ottantaquattro anni dopo un’attiva carriera che influenzò l’intera prima metà del I secolo. Fu un puro siro, come Porfirio e Giamblico in tempi più tardi, o un discendente dei conquistatori macedoni? Avremmo piacere di saperlo, ma ignoriamo totalmente l’ambiente in cui questo grande uomo emerse; non conosciamo nulla della sua società, nulla della sua educazione, eccetto che fu allievo dello stoico Panezio. Ma è chiaro che questo maestro che esercitò ai suoi tempi una effettiva sovranità intellettuale, doveva tale sovranità soprattutto alla dimensione del suo sapere e all’ampiezza della sua comprensione.

Nativo del cuore della Siria, ma naturalizzato rodio, Posidonio rappresentava in tutta la sua pienezza l’alleanza della tradizione semitica con il pensiero greco. Egli fu il grande intermediario e mediatore non solo tra i Romani e i Greci, ma tra Oriente e Occidente. Allievo di Platone e Aristotele egli era egualmente versato in astrologia asiatica e demonologia. Se è greco per la forza logica del suo genio speculativo, per quanto riguarda il corso del suo stile ampolloso e altamente colorato, il suo genio restava orientale nella singolare combinazione della scienza più esatta con un fervente misticismo.

Più un teologo che un filosofo, con mente più dotta che critica, egli fece concorrere tutta l’umana conoscenza nella costrizione di un sistema la cui vetta consisteva nell’entusiastica adorazione del dio che permea l’organismo universale. In questo ampio sincretismo, tutte le superstizioni popolari o sacerdotali, la predizione, la divinazione, la magia mantengono il loro posto e la loro giustificazione; ma a lui si deve soprattutto il fatto che l’astrologia sia entrata nell’ambito di una coerente spiegazione del mondo, accettabile per gli intelletti più illuminati e che sia stata saldamente fondata su di una teoria generale della natura dalla quale sarebbe rimasta d’ora in poi inseparabile.

La perdita pressoché totale dei lavori di Posidonio ci impedisce di apprezzare, se non in modo imperfetto, la forza persuasiva del suo insegnamento. Ma l’eco delle sue parole è risuonato lontano, attraverso il dominio romano, dove la sua autorità ha controbilanciato quella di Epicuro.

Nella sua scuola di Rodi, egli fu a lungo il maestro dei maestri del mondo – Pompeo lo ascoltò, Cicerone partecipò alle sue lezioni – e la sua influenza sull’evoluzione della futura teologia fu immensa in ogni direzione. Il suo allievo, Cicerone, ha frequenti ricordi del suo insegnamento e traduce le sue idee in latino. Il simbolismo di Filone l’Ebreo è spesso ispirato dalla sua pittoresca eloquenza. Anche più tardi le sue idee giunsero e si diffusero nella scuola stoica – le incontriamo, per esempio, nei lavori di Seneca – ed esse riecheggiano nei trattati degli astrologi dell’età imperiale.

La più straordinaria delle produzioni letterarie che egli ispirò sono gli Astronomica del cosiddetto Manilio, uno scrittore del quale non sappiamo assolutamente nulla, neanche il nome, che è illeggibile nei manoscritti, ma che a suo modo fu un genuino poeta: un lavoro di rimarchevole ispirazione dove la brillantezza delle descrizioni fiorisce nel deserto di un’arida “matematica”, dove un appassionato entusiasmo per le meraviglie della scienza ci fa dimenticare che quella scienza è falsa, dove elevate erudizioni intellettuali e un’illimitata fiducia nel potere della ragione sono combinate con una cieca e puerile credulità che accetta tutte le predizioni tratte dalle stelle. Questo lavoro ci rivela meglio di ogni altro la grandeur di un tale sistema del mondo, com’era concepito da Posidonio, e l’attrazione che era esercitata da questa dotta cosmologia sostenuta da una fiducia mitica nell’astrologia, la rivelatrice del futuro.

Il poema è dedicato a Tiberio, che forse suggerì la composizione. Alcuni hanno proposto di vedere in esso “l’espressione della religione ufficiale dell’epoca” (V. Gardthausen, Augustus und seine Zeit, Leipzig 1891-1904, p. 1131).

Ovviamente, i primi Cesari, anche più dell’antica aristocrazia repubblicana, ove Posidonio contava numerosi discepoli, sarebbero stati inclini ad adottare l’idea di chi rompeva con il vecchio particolarismo nazionale, allo scopo di includere i culti di tutte le genti in una vasta sintesi, e pareva dare all’impero unitario la formula della teologia del futuro. Piuttosto caratteristicamente Augusto come Tiberio era già stato convertito all’astrologia e vedremo come i sovrani successivi abbiano garantito una protezione ufficiale alla religione astrale.

Agli stessi movimenti di idee che furono iniziati o rappresentati da Posidonio, era connessa la rivitalizzazione di una strana setta, quella dei Neopitagorici, che riapparve in Occidente durante la prima metà del I secolo a.C. Sebbene per il suo ideale di vita religiosa essa professasse di riconnettersi con l’antico misticismo pitagorico, la sua dottrina deve più alle idee sviluppate da Posidonio, specialmente al suo commentario del Timeo, e prende molto a prestito, sia attraverso la mediazione del grande siro, sia direttamente, dalle religioni orientali.

Un marcato dualismo, che pone in contrasto l’anima con il corpo, e, come conseguenza, un ascetismo morale, una dottrina dell’eternità dell’universo e dell’influenza degli astri nel costante mutamento del mondo sub-lunare, una credenza nei demoni aerei che contaminano e tormentano l’umanità, ma soprattutto – e questo è il punto centrale e il cuore del suo sistema dogmatico – un simbolismo dei numeri, cui è attribuita una forza attiva e un potere mistico: tutte queste caratteristiche essenziali indicano una connessione singolarmente stretta tra il Neopitagorismo e la teologia “Caldea”.

È caratteristico che l’uomo che per primo fece rivivere a Roma l’antica filosofia dell’Italia meridionale, Nigidio Figulo, l’amico di Cicerone, evidenziasse un curioso interesse per la tradizione del magico e dell’occulto, e un’ardente devozione per l’astrologia e che fu il primo ad esporre in latino il significato della “sfera barbarica”, vale a dire una serie di costellazioni non riconosciute dagli astronomi greci ma accettata dall’uranografia orientale (F. Boll, Sphaera, Leipzig 1903).

Questi gruppi di colti teosofi si rivolsero solo a circoli limitati di “intellettuali”. In modo generale la nuova religione astrale fu dapprima accolta dalla classe dirigente. Fu coltivata dall’aristocrazia di sangue e di intelletto. Se avesse continuato ad essere praticata solo dai teoreti politeisti, sarebbe rimasta, come in Grecia, l’esclusiva riserva di poche menti speculative.

Anche l’ispirazione di un poeta semi-ufficiale come Manilio avrebbe difficilmente conquistato per essa il favore della corte imperiale. Eppure, essa acquisì una diffusa popolarità. La sua influenza sulle masse non è dovuta ad una diffusione letteraria, qualunque possa esser stato il successo di certi romanzi che erano ispirati ad essa, tale come la Vita di Apollonio, di Filostrato, e ancor più le Etiopiche di Eliodoro. Essa aveva al suo servizio altri missionari, il cui attivo propagandismo la diffuse attraverso l’eterogenea popolazione delle città come tra le folle degli schiavi che coltivavano proprietà agricole. Questi propagandisti popolari furono il clero e i fedeli dei culti orientali.

Intorno all’inizio della nostra era, quando la pace e l’unità del mondo antico fu assicurata dalla fondazione dell’Impero, iniziò l’evoluzione di questo grande movimento religioso che poco a poco riuscì a orientalizzare il paganesimo romano. Gli dei delle nazioni del Levante si imposero uno dopo l’altro, ad Occidente Cibele e Attis furono importati dalla Frigia, Iside e Serapide si propagarono ben lontano da Alessandria. Mercanti, soldati e schiavi portarono i Baal di Siria e Mithra dal cuore della Persia.

Abbiamo tentato in un altro volume di mostrare in quali aspetti ognuno di questi culti stranieri arricchì le credenze di Roma (F. Cumont, The Oriental Religions in Roman Paganism, Chicago 1911). Il punto che desidero evidenziare qui è che tutti questi, a prescindere dalle loro origini, furono influenzati per gradi differenti dall’astrologia e dal culto astrale.

Queste dottrine, come abbiamo visto, germinarono tra i templi della Siria e dell’Egitto e trasformarono sempre più la teologia di queste regioni. Originariamente i Misteri di Iside e Serapide, fondati durante il regno del primo Tolomeo, concessero loro uno spazio limitato, ma al tempo di Nerone, il suo maestro Caremone, sacerdote d’Alessandria e filosofo stoico, riscoprì nella religione dell’Egitto il culto dei poteri della natura, in particolare degli astri, e ritrovò anche nella preghiera un mezzo di liberazione per gli uomini dalla fatalità che l’influenza dei corpi astrali imponeva su di loro.

Anche in Asia Minore, dove il culto astrale è avventizio e recente, troviamo un membro di un’importante famiglia di sacerdoti frigi celebrare in versi la divinazione astrale che lo abilitava a render note, in lungo e in largo, infallibili predizioni. Attis, la divinità anatolica della vegetazione, finì col diventare un dio solare proprio come Serapide, i Baal e Mithra. In tempi molto remoti, anche in Mesopotamia il culto astrale fu imposto sul Mazdeismo persiano, che era una giustapposizione di tradizioni e riti piuttosto che un corpo di dottrine, e una scelta di astrusi dogmi venne sovrapposta ai miti naturalistici degli Iranici.

I Misteri di Mithra importarono in Europa questa composita teologia, prodotto dei rapporti tra i Magi e i Caldei; e i segni dello zodiaco, i simboli delle piante, gli emblemi degli elementi appaiono di volta in volta su bassorilievi, mosaici e pitture dei loro templi sotterranei. Possiamo trovare uno dei membri del loro clero proclamarsi nel suo epitaffio in Milano studiosus astrologiae (Corp. Inscr. Lat., V, 5893). I sacerdoti del dio persiano e quelli dei sopracitati “Giovi” di Siria contribuirono largamente al trionfo di questa pseudo-scienza, che verso l’età dei Severi acquisì una supremazia pressoché indiscussa anche nel mondo latino.

Essa qui non si presenta tanto come una teoria insegnata dai matematici ma come una dottrina sacra, rivelata dagli adepti di culti esotici che hanno tutti assunto la forza dei Misteri. La dottrina che è in tal modo comunicata agli iniziati nella fioca luce dei templi, indubbiamente rimase più sacerdotale ad esempio della Tetrabiblos di Tolomeo, un arido trattato didattico che non potrebbe mai incoraggiare alcuna devozione. In essa era lasciato più spazio per la mitologia, il misticismo, l’etica e la superstizione.

Questa teologia, comunque, non era sfuggita all’influenza prevalente della filosofia greca, non più di quanto si nutrisse delle idee dei divinatori più colti. Questo è un fatto che la ricerca è riuscita a provare con risultati positivi. In realtà questi misteri, che professavano di essere depositari di un’autentica tradizione importata dal lontano Oriente, modificarono costantemente il loro insegnamento, allo scopo di adattarsi al mutare dei tempi e degli ambienti; e se la sapienza che essi rivelarono fu sempre considerata come divina, essa nondimeno variava significativamente nel corso delle epoche e ammetteva idee completamente estranee al suo contenuto originario.

Questa fu l’inevitabile conseguenza dello stretto rapporto tra cultura e culto che, come abbiamo detto, caratterizza le religioni orientali. Esse furono sempre l’espressione di una data concezione del mondo, che determinava le relazioni del cielo e della terra e i doveri del fedele rispetto agli dei. Da questo momento, essi furono costretti a mutare in conformità con l’evoluzione delle idee della fisica e della metafisica. Se il pensiero greco poté ricevere certi impulsi o suggestioni dai templi della Siria e dell’Egitto, a sua volta esso li invase come un conquistatore: e lo Stoicismo in particolare, diede certamente più di quanto aveva ricevuto.

Il grande movimento intellettuale di cui Posidonio non fu tanto il fondatore, quanto il più illustre rappresentante, combinò indubbiamente devozione e filosofia, ma introdusse anche la filosofia nella devozione. L’erudito e mistico sistema dottrinario che Manilio e altri predicavano sotto Tiberio, si impose su tutto il paganesimo occidentale nel corso dei secoli seguenti; possiamo dire, facendo eccezione per certe modificazioni, che questo sistema per metà scientifico e per metà religioso, che si era affermato in periodo alessandrino, continuò ad essere la teologia dei Misteri fino al tempo della loro scomparsa, anche dopo l’avvento del Neoplatonismo.

Come prodotto caratteristico di questa mescolanza di idee possono essere citati quegli Oracoli Caldaici la cui origine è ancora un mistero, ma che sembrano esser stati compilati nel II secolo della nostra era. In questi lavori di misticismo fantastico, in cui l’intera scuola neoplatonica vide la rivelazione di una suprema saggezza, le antiche credenze del culto-astrale semitico sono combinate con le teorie elleniche. Essi sono per Babilonia ciò che la letteratura ermetica è per l’Egitto.