Luci e ombre del Vangelo di Giovanni

di Raymond E. Brown

Il brano è tratto da Raymond Brown, La comunità del discepolo prediletto, trad. it. Cittadella, Assisi 1982, pp. 191-193.

Non voglio mancare di rispetto all’intelligenza del lettore, imbastendo un lungo discorso sui problemi ecclesiali presenti nel Vangelo giovanneo, e nelle lettere come paralleli ai problemi ecclesiali dei nostri giorni. Chiaramente, le lotte tra chiese sulla diversità di tradizioni e le lotte all’interno di una singola chiesa su interpretazioni differenti della stessa tradizione tendono mutatis mutandis a seguire le stesse linee lungo i secoli.

Tra queste situazioni che si ripetono, c’è pure quella causata dall’angoscia di fronte al problema dei ministeri ecclesiali rivestiti di autorità e dalla riluttanza ad ammettere, proprio da parte dei gruppi abbandonatisi alla libertà sotto la guida dello Spirito, che una certa forma di autorità è l’unico modo per proteggersi dinanzi a pretese stravaganti proferite in nome dello Spirito.

Edwyn Hoskyns ha espresso molto bene il concetto che la storia giovannea presenta in piccolo le lotte della Chiesa lungo i secoli:

«Il lettore moderno non riuscirà a capire il quarto Vangelo nel senso in cui l’autore intendeva che venisse capito, se arriverà alla conclusione che esso era diretto contro, diciamo, lo gnosticismo, oppure il docetismo, o l’ebionismo, o perfino contro i “giudei”, ritenendosi soddisfatto di una spiegazione del genere, senza riconoscere allo stesso tempo che quei movimenti religiosi antichi sono tuttora dei fattori dannosi e ben radicati nella nostra vita comune» [The Fourth Gospel, II ed. (cur. F.N. Davey), Faber & Faber, London 1947, p. 49].

Ciò su cui mi preme riflettere sono le conseguenze verificatesi per la Grande Chiesa dall’amalgama dei cristiani giovannei con gli altri suoi membri e dall’accettazione degli scritti giovannei nel suo canone delle Scritture. Più volte mi sono espresso nei confronti della teologia del quarto Vangelo, qualificandola diversa fino alla provocazione, estrosa, pericolosa e la più gravida di rischi tra tutte quelle del Nuovo Testamento.

La storia dei secessionisti giovannei che vantano diritti di proprietà sul Vangelo dovrebbe rendere ragione di questi aggettivi. Lungo i secoli il Vangelo di Giovanni ha costituito il semenzaio per molte forme esotiche di pietismo individualista e di quietismo (come pure ha rappresentato l’ispirazione per parte del più profondo misticismo). La cristologia giovannea ha coltivato un inconscio monofisismo largamente diffuso, popolare anche oggigiorno, in cui Gesù non è considerato realmente come noi in ogni cosa eccetto il peccato, ma onnisciente, incapace di soffrire o di essere tentato, in grado di prevedere tutto il futuro (allo stesso tempo, la cristologia giovannea ha costituito il caposaldo della grande fede ortodossa di Nicea).

Il controllo definitivo su quello che Kysar chiama il «Vangelo dissidente» è stata la decisione ermeneutica della Chiesa di metterlo nello stesso canone in cui si trovano Marco, Matteo e Luca, Vangeli che implicitamente difendono la tesi contraria di molte posizioni giovannee.

Questo significa che la Grande Chiesa, «la chiesa cattolica» per dirla con Ignazio, ha scelto, consciamente o inconsciamente, di vivere nella tensione. Non ha scelto né un Gesù che è solo Dio né un Gesù che è solo uomo, ma un Gesù che è tutt’e due; non ha scelto fra un Gesù che, in qualità di Figlio di Dio, è stato concepito in maniera verginale e un Gesù preesistente, ma ha scelto un Gesù che è l’uno e l’altro; né ha scelto fra uno Spirito che viene dato a un magistero di insegnamento rivestito di autorità e un maestro-Paraclito che viene dato a ogni cristiano, bensì ha scelto l’uno e l’altro; non ha scelto solo Pietro o solo il Discepolo prediletto ma tutt’e due.

La tensione non è una cosa facilmente accettata nella vita ordinaria, tanto che di solito cerchiamo di eliminarla. Lo stesso succede nella storia della Chiesa. Ma, in forza della decisione presa dalla Chiesa riguardo al canone, i tentativi di risolvere semplicisticamente queste tensioni teologiche con una posizione statica su uno dei due versanti sono contrari allo spirito di tutto il Nuovo Testamento.

Ciò significa che una chiesa quale la mia, la Chiesa Cattolica Romana, con la grande importanza che essa annette alla autorità e alla struttura, trova negli scritti giovannei un senso innato contro gli abusi dell’autoritarismo (così pure le chiese «libere» trovano radicato nelle Pastorali un monito contro gli abusi dello Spirito e in 1Gv un monito contro le divisioni alle quali conduce la mancanza di un governo organizzato).

A somiglianza di un ramo della comunità giovannea, noi cattolici romani siamo arrivati a comprendere correttamente che il ruolo pastorale di Pietro fu voluto davvero dal Signore risorto, ma la presenza nelle nostre Scritture di un discepolo che Gesù amava più di quanto egli amasse Pietro è un commento eloquente al valore relativo dei ministeri della Chiesa. Il ministero autoritativo è una necessità perché deve essere svolto il compito di salvaguardare l’unità, però la gradazione di autorità nei vari ministeri non corrisponde necessariamente alla scala della stima e dell’amore di Gesù.

Ai giorni nostri, quando i cattolici disputano su quanta autorità spetti rispettivamente al papa, al vescovo, al prete e al laico, e quando i cristiani disputano sulla convenienza o meno di ordinare le donne come ministri dell’eucarestia, la voce di Giovanni lancia il suo monito.

La più grande dignità a cui tendere non è quella di essere papa, vescovo o prete; la più grande dignità è quella di appartenere alla comunità dei discepoli prediletti di Gesù Cristo.

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