di Gianluigi Beccaria
I brani sono ripresi e adattati, con qualche libertà, da Gianluigi Beccaria, Sicuterat. Il latino di chi non lo sa: Bibbia e liturgia nell’italiano e nei dialetti, Garzanti, Milano 2002.
Soprattutto per gli strati più bassi e incolti della popolazione, la Chiesa, con i suoi messaggi orali e figurali (i grandi cicli pittorici, gli affreschi alle pareti anche delle più modeste chiese di campagna), si è imposta nei secoli come l’«istituto della parola», il luogo principale dove si trasmettevano e custodivano i significati di ogni discorso sul mondo. La pratica religiosa ha intriso profondamente con i suoi lasciti il linguaggio comune: esclamazioni, intercalari, proverbi, massime, inconsuete metafore, le più svariate similitudini…
L’attenzione si volge al mondo popolare, per ritrovare la fitta presenza di voci attinte dalle Scritture e fluite nella comunicazione ordinaria, nell’italiano familiare-colloquiale, nei dialetti e nei gerghi, non direttamente (la nostra tradizione non contempla una lettura diretta della Bibbia) ma attraverso la mediazione liturgica: la messa, gli inni, le preghiere, e processioni, novene, missioni, rogazioni, benedizioni rituali. Insomma, “parole dall’altare” o “parole dal pulpito”, più che dal “Libro dei Libri”…
(Dalla Premessa dell’Autore, pp. 7-8)
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San Paolo è una spada
In romanesco gergale er sampáolo è “la spada”, perché l’iconografia ha rappresentato san Paolo con in mano una o anche due spade (la «spada dello Spirito», cioè la forza della sua fede a proclamazione della parola divina, Efesini 6,17, e insieme la spada come strumento del suo martirio), tant’è che il nome del santo nel gergo milanese è spadón di dodes, dei “dodici” apostoli, anche se a rigore san Paolo “apostolo” non faceva parte dei dodici, ma tale era comunque considerato dalla tradizione cristiana (anch’egli ha visto Gesù, sulla via di Damasco, e ricevuto come gli altri l’incarico di evangelizzare).
Per i beati Paoli
La frequenza con cui si citano nelle funzioni le lettere di san Paolo, del Beati Pauli Apostoli appunto, ha condotto a che questo genitivo fosse fatto coincidere con un plurale, buono per esprimere pluralità, abbondanza: quando si dice che di una cosa ce n’è per i beati, per i beati Paoli, s’intende che “ce n’è per tutti in abbondanza, ce n’è a bizzeffe”, e in genere ci si riferisce al lavoro o a cose da mangiare (G. Beggio, Vocabolario polesano, 1995, cita una variante locale: ésarghene anca per i dódese de Ramodepolo, le dodici statue di apostoli raffigurati attorno al sagrato della chiesa di Ramo di Palo, nell’Alto Polesine): è un modo popolare attestato almeno a partire dal XVI secolo (ma vedi P. Aretino, Ragionamento della Nanna e della Antonia, 1534: «se ne diedero più che i beati Paoli», “una gran quantità”).
San Paolo con le scarpe tutte rotte
La locuzione veneta ’l’ è vecio come le scarpe de san Paolo si riferisce a Paolo che ha consumato parecchie scarpe durante i viaggi compiuti per predicare il Vangelo.
San Paolo dei segni
In Romagna parê san Pevol di segn, “pare san Paolo dei segni”, si dice di uno che cambia spesso parere e che gesticola in maniera eccessiva, un modo di dire che si riferisce al giorno di san Paolo, il 25 gennaio, quando a seconda dell’andamento del tempo durante la giornata era d’uso prevedere le calamità o gli eventi fortunati: il vento avrebbe recato discordie e guerre civili, il tempo buono abbondanza, il cattivo malattie e così via. Si tratta di un’antica credenza: l’attestano alcuni versetti popolari riportati dall’Aretino (Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippa, 1536), «[nel giorno di san Paolo] s’è sole o solicello, / noi siamo a mezzo il verno; / se fulmina o se piove, / del verno siamo fore; / s’è nebbia o nebbiarella, / carestia o coticella».
San Paolo dei serpenti
Secondo tradizione popolare san Paolo aveva il potere di incantare le serpi. In Sicilia i ciráuli erano persone nate nella notte del 29 giugno o in quella dal 24 al 25 gennaio, dedicate alla commemorazione del santo, e per questo capaci di maneggiare rettili e insetti velenosi. Nel Molise, del prudente per eccesso che grida aiuto prima di trovarsi effettivamente in pericolo, si dice ancore nen vide ’a serpe e già chiame a sante Paule. In Calabria Sampáulu! è esclamazione per quando si vede una serpe; sampa(v)ularu un ciurmatore che pretende di avere le virtù di incantare le serpi, grazie al potere che gli deriverebbe dal santo; sampáulu una “specie di serpe nera non velenosa”. Per spiegare l’associazione delle serpi col santo occorre riandare a un passo degli Atti degli apostoli (26,1-6), dove si narra che Paolo, a Malta, durante il viaggio da Gerusalemme a Roma, mentre metteva della legna sul fuoco fu morsicato da una vipera, ma non ne subì danno. Di qui altre espressioni come paoliani, coloro che sono della casa di san Paolo, capaci di scacciare le serpi, di rendere le persone immuni dal loro morso, o la grazia di san Paolo, nome dei rimedi che i ciarlatani vendevano sulle piazze, empiastri e unguenti prodigiosi contro le morsicature dei serpenti (in Sicilia, di cosa o merce ottima all’apparenza, in realtà scadente, si dice pari n-zanpáulu). Chi spacciava quelle grazie di san Paolo giurava di averle ricavate dalla grotta di Malta dove il santo sarebbe stato morsicato (un viaggiatore, Vincenzo Maria di santa Caterina, nel Viaggio alle Indie orientali, sec. XVII, descrive quella grotta maltese, tutta scalpellata dai fedeli per ricavarne terra benedetta che mista ad acqua sarebbe servita poi in India per spruzzare i serpenti velenosi: bagnati da quell’acqua, rimanevano come morti).
In coppia con san Pietro
Nel piacentino tegn da Pedar e Päul indica “tenere il piede in due scarpe”. In francese il rimediare ad un guaio procurandosene un altro si dice découvrir saint Paul pour couvrir saint Pierre. A Taranto il gioco fanciullesco dello scaricabarili (ci si pone alle spalle, ci si avvinghia per le braccia, e a turno ci si fa ritmicamente dondolare) è chiamato sanpisanpáulë, “san Pietro san Paolo”. Oltre all’associazione mentale immediata che li rende unità solidali per il fatto che sono festeggiati insieme il 29 giugno; oltre all’associazione sintagmatica – stanno insieme nel Confiteor recitato sempre nella messa – , promuove la combinazione dei due santi lo stretto legame fonico dell’allitterazione (motivazioni che ricorrono in altre denominazioni dialettali del gioco: l’associazione mentale nel tipo trentino sal e pevar, l’allitterazione nel friulano botíc botác).
Fra’ Paolo barbiturico
In napoletano fra’ Pávolo significa “il sonno”, perché gli Atti degli apostoli (20,9-12) raccontano di san Paolo che abbraccia e risuscita un giovane che è caduto dal terzo piano di un edificio per un colpo di sonno (dovuto – parrebbe – a una lunghissima veglia di preghiera).