Paolo e il suo mondo

Helmut KOESTER, Paolo e il suo mondo, trad. it. di A. Russo, Paideia, Brescia 2012, 384 pp., 38 euro (ed. or. Fortress Press, Minneapolis 2007).

Sono davvero poche, in Italia, le case editrici che continuano a scommettere sulla pubblicistica accademica di argomento storico-religioso, riuscendo a mantenere uno standard di eccellenza nella scelta degli autori, nella qualità delle traduzioni e nella cura per la veste editoriale. E Paideia è indubbiamente una di queste.

Dopo la recente apertura alle scienze sociali, con la traduzione di alcuni autori del Context Group (Philip F. Esler, Bruce J. Malina, John H. Neyrey), l’editore bresciano conferma così la propria volontà di “svecchiare” il panorama italiano degli studi biblici, proponendo ai propri lettori questo bellissimo volume di Helmut Koester, uno dei massimi studiosi viventi di storia del cristianesimo antico.

Nato ad Amburgo nel 1926, Koester si è formato a Heidelberg, sotto la guida di Rudolf Bultmann. Del suo maestro, tuttavia, non ha ereditato la passione teologica, quanto piuttosto il desiderio di trovare nuove chiavi di interpretazione per la storia delle origini cristiane, seguendo un approccio rigorosamente storico e “comparativo”. Le origini cristiane, da questo punto di vista, sono rilette da Koester nel quadro più ampio della storia religiosa del Mediterraneo antico, con un’impostazione che sembra contraddistinguere anche altri studiosi di scuola post-bultmanniana (penso in particolare a Dieter Georgi, allievo a Heidelberg, come Koester, del più brillante tra i discepoli di Bultmann: Günther Bornkamm).

Il primo lavoro importante di Koester, Synoptische Überlieferung bei den Apostolischen Vätern (1957), rimane ad oggi uno degli studi più significativi sulla ricezione delle tradizioni evangeliche nei cosiddetti “Padri apostolici” (etichetta un po’ impropria, che include opere diversissime tra loro, come la Didachè, il Pastore di Erma, la Lettera a Diogneto o l’epistolario di Ignazio di Antiochia). Si tratta per molti versi di un contributo pioneristico, ma che lascia solo in parte intravedere lo straordinario vigore dei lavori successivi.

Questo emerge, in tutta evidenza, nel libro scritto a quattro mani con James M. Robinson, Trajectories Through Early Christianity (1971), che segna un vero e proprio mutamento di “paradigma” nella storia della ricerca sulle origini cristiane. I due autori, infatti, ambiscono a restituire al cristianesimo delle origini il suo carattere strutturalmente, intrinsecamente plurale, senza partire dall’idea pregiudiziale di un primato insuperabile del Nuovo Testamento. Lo studio storico delle origini cristiane, spiegano i due autori, non può restare circoscritto al solo campo degli scritti confluiti nel canone, ma deve allargarsi anche alla considerazione di tutte le altre fonti prodotte dai vari gruppi protocristiani. E anche all’interno del canone – che è, lo ricordiamo, una creazione posteriore ai testi stessi – è assolutamente necessario rintracciare il maggior numero di tendenze ideologiche e sociali, anche rivali e contrastanti. L’obiettivo finale, per l’appunto, è quello di ricostruire le differenti traiettorie di trasmissione e di ricezione del messaggio di Gesù, nell’ambito complessivo dei primi secoli di storia del cristianesimo (si vedano, nel volume, i bellissimi contributi di Koester “Gnomai Diaphoroi: The Origin and Nature of Diversification in the History of Early Christianity” e “One Jesus and Four Primitive Gospels”).

Il capolavoro dello studioso, ad ogni modo, resta Ancient Christian Gospels: Their History and Development (1990), che cerca di ridisegnare la storia delle prime tradizioni evangeliche partendo dalle più antiche collezioni di parole di Gesù (le tradizioni orali che circolavano all’epoca di Paolo, la presunta fonte Q, i detti raccolti nel Vangelo di Tommaso), fino ad approdare ai primi tentativi di armonizzazione dei Vangeli canonici (le citazioni evangeliche presenti nell’opera di Giustino Martire, il Diatessaron di Taziano, etc.). A quest’opera magistrale hanno fatto seguito altri lavori di grande rilievo, come i due volumi di introduzione al Nuovo Testamento, History, Culture, and Religion of the Hellenistic Age (1995) e History and Literature of Early Christianity (2000), e l’ambizioso progetto The Cities of Paul: Images and Interpretations (in cd-rom, 2004).

Il volume tradotto ora da Paideia appartiene a quest’ultima fase della lunga carriera di Koester, anche se raccoglie contributi apparsi tra il 1955 e il 2006 (con l’aggiunta di un inedito). L’edizione originale dell’opera, apparsa nel 2007 col titolo Paul and His World: Interpreting the New Testament in Its Context, si presenta in realtà come il primo pannello di un dittico, che comprende anche From Jesus to the Gospels: Interpreting the New Testament in Its Context (2007). I due volumi, come si comprende dal comune sottotitolo, condividono il medesimo spirito e i medesimi obiettivi, e possono essere visti come una specie di summa dei tanti interessi di Koester: l’autore spazia infatti, con grande versatilità, dall’indagine socio-religiosa all’analisi delle testimonianze archeologiche, dall’esegesi filologica alla storia delle idee e della mentalità, dalla critica testuale alla storia dell’interpretazione.

Il trait d’union, nel caso di questo primo volume, è offerto quindi dalla figura di Paolo, ma soprattutto dallo sfondo che ci permette di osservarla. Abbiamo così tre sezioni distinte: “Leggere Paolo”, “Leggere il mondo di Paolo” e “Leggere il cristianesimo delle origini”.

La prima sezione si concentra in particolare sulla corrispondenza di Paolo ai Tessalonicesi e ai Filippesi, e su alcuni problemi specifici legati all’interpretazione di queste lettere. Koester si sofferma ad esempio sul genere letterario della prima epistola ai Tessalonicesi (considerata come un embrionale “esperimento di scrittura cristiana”), sull’uso da parte di Paolo di temi e motivi legati alla missione apostolica, sulla trasmissione del testo di 1Tessalonicesi secondo la ricostruzione delle moderne edizioni critiche. L’orizzonte si allarga poi al retroterra culturale e religioso di Tessalonica e Filippi, indagato con l’ausilio delle testimonianze archeologiche (statue, monete, iscrizioni votive, edifici di culto). La necessità di un allargamento comparativo delle fonti si fa sentire anche negli studi di carattere più “tradizionale”, come nel breve saggio dedicato alle concezioni escatologiche della seconda epistola ai Tessalonicesi. L’articolo più recente, che è poi quello che apre la raccolta, esprime infine la necessità di una ricostruzione della fisionomia sociale delle comunità paoline, muovendo da una rilettura del concetto di “giustizia di Dio”.

All’interno di questa prima sezione, troviamo anche una recensione al libro epocale di Ulrich Wilckens, Weisheit und Torheit (apparso nel 1959). Il testo risale al principio degli anni Sessanta, e costituisce uno di quei casi, oggi sempre più rari, in cui la recensione di un’opera finisce quasi per essere più interessante – e influente – dell’opera recensita. Koester, da una parte, rigetta l’ipotesi forte di Wilckens, quella per cui gli oppositori di Paolo a Corinto avrebbero interpretato la figura di Gesù in termini sapienziali e proto-gnostici, e dall’altra richiama l’attenzione sul celebre passaggio di 1Cor 1,11-12: «Fratelli miei, mi è giunta voce dalla gente di Cloe che vi sono contese tra di voi. Mi riferisco al fatto che ognuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “Io sono di Apollo”, “Io sono di Cefa”, “Io sono di Cristo”». Ora, osserva Koester, se il nome di Cristo compare nel testo a fianco di quello degli altri apostoli, è segno evidente che i Corinzi non scorgevano in lui la Sapienza personificata, ma semplicemente una guida spirituale accanto alle altre.

Non mancano poi, inevitabilmente, le ipotesi provocatorie e certamente discutibili, come nel saggio su Paolo e Filippi, dove Koester argomenta – contro tutta la tradizione – a favore di un collocazione del martirio dell’apostolo in questa città, e non a Roma.

La seconda sezione del libro, “Leggere il mondo di Paolo”, conferma in maniera ancor più decisa la capacità dell’autore di conciliare approcci metodologici spesso percepiti come distanti. I primi tre articoli si concentrano rispettivamente sull’immagine del Messia regale e sofferente, sulla figura dell’“uomo divino” e sul concetto di “legge naturale” nel pensiero greco. In tutti e tre i casi, la comprensione dell’orizzonte culturale di Paolo ne guadagna in profondità. Si affrontano poi alcuni casi-studio di diffusione di culti misterici e orientali in Asia Minore, cioè nei principali territori di missione toccati dall’apostolo. Scopo primario di queste indagini, è quello di ricostruire lo scenario di forte competizione religiosa in cui Paolo si trovò ad agire: l’eccezionale pluralismo religioso di quest’area dell’Impero romano, secondo Koester, potrebbe aver aperto la strada a una maggiore “permeabilità” nei confronti del messaggio evangelico.

L’ultima sezione del libro, “Leggere il cristianesimo delle origini”, è forse la più difficile da inquadrare, anche perché raccoglie studi di carattere più eterogeneo. Il primo saggio mette insieme, fin dal titolo, Thomas Jefferson, Ralph Waldo Emerson, il Vangelo di Tommaso e l’apostolo Paolo, e costituisce un’interessantissima riflessione sulle radici antiche, e profondamente “eterodosse”, di quella che Harold Bloom ha definito come “religione americana”: una miscela di spiritualismo religioso, idealismo filosofico e individualismo morale. Quale può essere il ruolo (anche critico) del messaggio di Paolo, in questa particolare cornice storico-culturale?

Con i contributi successivi, Koester ritorna ai primi secoli di storia cristiana, affrontando il delicato problema del rapporto tra Spirito, scrittura e autorità, il ruolo giocato dal concetto di “tradizione apostolica” nelle dinamiche di formazione dell’identità dei vari gruppi protocristiani (con particolare attenzione agli gnostici), il problema teologico della relazione fra ortodossia ed eresia, e il peso “geopolitico” di Efeso nelle testimonianze dei primi autori cristiani. A questi interventi corposi è fatta seguire una piccola “chicca”: una breve nota sull’uso dell’enigmatico appellativo di Oblias, in alcune fonti antiche, per designare Giacomo, il “fratello del Signore”. Gli ultimi due saggi del volume sono infine dedicati a una ricostruzione del contributo di Bultmann alla storia delle origini cristiane, e a una sorta di riflessione autobiografica, che è insieme bilancio di una carriera accademica e spunto per alcune considerazioni metodologiche.

In conclusione, possiamo dire di trovarci di fronte a un volume di eccezionale ricchezza, utilissimo per comprendere la vicenda storica di Paolo e, più in generale, per approfondire la conoscenza dell’ambiente storico-culturale delle origini cristiane.