Paolo: il “vero fondatore del cristianesimo”? – 1

Giorni fa, in una popolare trasmissione televisiva, si è udito il giornalista Corrado Augias affermare con sicurezza che il “vero fondatore” del cristianesimo non sarebbe stato Gesù, bensì Paolo. Ma cosa si può dire al riguardo, da un punto di vista storico?

Sappiamo che sul rapporto fra Gesù e Paolo si è scritto talmente tanto, negli ultimi due secoli, che sarebbe impresa impossibile – e tutto sommato inutile – riassumere anche solo i principali termini della questione in un semplice intervento divulgativo. Possiamo provare ugualmente a spendere qualche parola sulla faccenda, prendendola (apparentemente) da lontano.

L’idea espressa da Augias, innanzitutto, non è affatto nuova. E c’è da dubitare che il giornalista l’abbia desunta da uno dei due storici che ha intervistato per le sue fortunatissime Inchiesta su Gesù (Mauro Pesce, Università di Bologna) e Inchiesta sul cristianesimo (Remo Cacitti, Università statale di Milano).

La contrapposizione tra Gesù e Paolo, in realtà, è uno dei tanti miti dell’esegesi storica otto-novecentesca. Se ne potrebbe persino indicare, a un dipresso, la data di nascita: è il 1831, l’anno in cui il teologo tedesco Ferdinand Christian Baur la espone per la prima volta in un articolo che passerà alla storia, pubblicato presso il “Tübinger Zeitschrift für Teologie”.

Baur, esponente di spicco della cosiddetta Scuola di Tubinga, vedeva nell’organizzazione istituzionale della “Grande Chiesa” il risultato di una conciliazione “hegeliana” fra due opposte fazioni, che si sarebbero fronteggiate alle origini del cristianesimo: da una parte un movimento di matrice “pagana” e “universalista” (il “partito di Paolo”), dall’altra un movimento di matrice “giudaica” e “particolarista” (il “partito di Cristo”, capeggiato da Pietro). Le prime autorevoli critiche a Baur, formulate da J.B. Lightfoot e da A. von Harnack, riuscirono solo in parte a divincolarsi dalla sua valutazione dicotomica, e troppo schematica, delle vicende cristiane dei primi secoli.

San Paolo, statua lignea (1540), St. Paulus Dom, Münster.

San Paolo, statua lignea (1540), St. Paulus Dom, Münster.

Dato che nella storia – e ancor meno nella storiografia – non si danno mai novità assolute, è ben probabile che vi sia stato qualcuno a sostenere la stessa cosa prima di lui, ma non dispongo dell’erudizione necessaria per provarlo (mi viene in mente il caso di Reimarus, e della sua Apologia degli adoratori razionali di Dio, pubblicata da Lessing: ma temo che la nostra ricostruzione della storia dell’esegesi moderna risenta troppo dei quadri riassuntivi forniti dagli studiosi tedeschi sulla scia di  Albert Schweitzer).

Andando a ritroso si potrebbe trovare qualcosa del genere, seppure non espresso in maniera così estrema, nelle lezioni di filosofia della storia di Schelling, col loro nucleo gioachimita, e più in generale nelle paludi dell’idealismo tedesco, nell’enciclopedismo massonico del Settecento, in certi ambienti radicali della Riforma, giù giù fino alla letteratura pseudo-clementina, con la sua “leggenda nera” intorno all’apostolo.

Nell’Ottocento, quando apparve nell’ambito degli studi storici e teologici, l’idea servì a slegare Paolo, inteso come simbolo di una Chiesa istituzionale, visibile, gerarchica, dall’eredità di un Gesù percepito come maestro inoffensivo (e frainteso) di morale. In breve, essa fu il risultato di un a priori ideologico, non di un’indagine storica rigorosa.

Cadere in questo tipo di trappole, beninteso, non è difficile neppure oggi. Gli storici e gli esegeti, negli anni più recenti, cercano di aggirarle evitando affermazioni che suonino troppo generalizzanti. Dire che Paolo avrebbe “fondato” il cristianesimo, nell’ottica del I secolo, è un po’ come dire, nell’ottica del XIX e del XX secolo, che Gramsci fu il vero autore del Capitale di Marx: significa scambiare un effetto, e neppure il principale, per la causa.

Paolo non agì come un outsider, non piombò dal nulla in mezzo ai primi seguaci di Gesù, né le sue posizioni possono essere valutate come del tutto originali e solitarie. Tra Gesù e Paolo non può esserci stato il vuoto. Abbiamo l’inestimabile fortuna di possedere alcune lettere scritte di suo pugno, e siamo sempre tentati di considerarle straordinariamente importanti, ma la faccenda si complica  non appena ci accorgiamo che altri documenti del cristianesimo nascente, in maniera del tutto indipendente dall’apostolo, sembrano condividerne alcune linee ideali.

L’importanza di Paolo, in altri termini, non va esagerata, nel suo immediato contesto di azione. Si faceva allusione, tempo addietro, alla necessità di considerare gli elementi pre-paolini in Paolo: ebbene, un’indagine in tal senso toglie immediatamente la terra sotto i piedi a chiunque voglia attribuire all’apostolo il ruolo di “autentico fondatore” del cristianesimo. Altra cosa è se intendiamo proiettare su di lui quel che non ci piace (o ci piace) del cristianesimo successivo, o se vogliamo leggerne le epistole alla luce della nostra personale comprensione del mondo e della storia. Ma questo è già stato fatto ad abundantiam, e non ha condotto molto lontano…

(1- continua)

4 thoughts on “Paolo: il “vero fondatore del cristianesimo”? – 1

  1. Ottimo post, pacato e chiaro. Purtroppo però comprendi meglio di me come argomentare in favore di una pratica esegetica meno sensazionalistica sia quasi inutile quando di fronte si ha qualcuno che ha deciso di interessarsi opportunisticamente di esegesi avendo già delle tesi pronte da portare avanti. Peccato. Comunque apprezzo molto il tuo blog, e lo seguo regolarmente.

  2. Cito una mezza paginetta dell’ultimo libro di Jossa, perché mi pare che sia proprio sulla medesima lunghezza d’onda di questo post.

    “La ricerca successiva prima ha mostrato convincentemente che tra Gesù e Paolo non c’è soltanto la comunità primitiva palestinese, ma c’è anche la comunità ellenistica di Antiochia, poi ha insistito giustamente sulla presenza di una componente ellenistica (gli Ellenisti di cui parla Luca negli Atti degli Apostoli) nella stessa comunità di Gerusalemme, e infine ha affermato che tutta una serie di convinzioni teologiche che prima si ritenevano sorte necessariamente in ambiente greco potevano essere già della comunità aramaica, perché presenti nella tradizione giudaica.
    Il risultato è stato che affermazioni relative alla persona di Gesù che una volta venivano attribuite a Paolo sulla base di una sua provenienza dalla diaspora greca possono essere già sorte prima di lui, non soltanto nella comunità di Antiochia ma anche in quella di Gerusalemme, e nella stessa componente aramaica di questa comunità. (…) Paolo si colloca allora non all’inizio, ma al termine, di uno sviluppo teologico che è stato in realtà incredibilmente rapido”.
    (G. Jossa, Il cristianesimo ha tradito Gesù?, Carocci, Roma, 2008, p. 115-116)

    Jossa mostra come tre punti centrali della riflessione di Paolo fossero in realtà già “preparati” dalla tradizione a lui precedente, rispettivamente:

    1. La fede nella centralità della persona di Gesù (contro l’affermazione di Harnack secondo cui Paolo avrebbe trasformato la religione gesuana della fede nell’amore del Padre in una religione della fede nel Figlio)

    2. L’affermazione dell’efficacia salvifica della morte e risurrezione di Cristo (contro Wrede e la sua tesi della trasformazione del messaggio morale di Gesù in una religione dogmatica della salvezza)

    3. Il rifiuto della legge mosaica come mezzo di salvezza (Jossa ne ricerca le radici nella comunità ellenistica di Gerusalemme, e, implicitamente, in Gesù stesso; un’aspetto quest’ultimo – ossia che la pretesa d’autorità di Gesù avrebbe comportato una certa relativizzazione della Legge – in cui Jossa va forse un po’ troppo oltre)

    P.S. Scusa se mi sono dilungato

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