Paolo: il “vero fondatore del cristianesimo”? – 2

(2 – continua da qui)

L’indagine storico-critica, soprattutto a partire dal Novecento, ha sostenuto in varie occasioni l’ipotesi di una radicale discontinuità fra l’originaria predicazione di Gesù, evidentemente del Gesù “storico”, e il pensiero e l’opera di Paolo. Alcuni, specialmente a partire da una celebre definizione di William Wrede (1904), hanno pensato all’apostolo come ad una sorta di “secondo fondatore del cristianesimo”, o ne hanno sottolineato il ruolo di “ellenizzatore”, con la precisa intenzione di sganciarlo dal contesto culturale ebraico in cui si mosse Gesù e al quale, indubbiamente, appartenne anche Paolo.

L’ebraicità di Paolo, in termini di appartenenza etnico-culturale e religiosa, emerge innanzitutto dalle affermazioni autobiografiche disseminate nell’epistolario (cf. ad es. 2Cor 11,22; Rm 11,1; Fil 3,5-6), ma anche dalla testimonianza degli Atti degli apostoli: per quanto riguarda la lingua orale usata dall’apostolo (cf. At 22,1-3), per il rispetto che questi avrebbe dimostrato nei confronti della scansione temporale delle festività giudaiche (un esempio in 1Cor 16,8: «Mi fermerò ad Efeso fino a Pentecoste», con riferimento ovviamente alla festa di Shavuot), per il semplice fatto ch’egli avrebbe accettato la frequentazione del Tempio (cf. At 21,17-26), senza considerare il dato più ovvio, ovvero il massiccio richiamo dell’apostolo alle Scritture ebraiche.

Secondo André Chouraqui, Paolo avrebbe addirittura «patito più di tutti le confusioni che sono sorte dal tragico rovesciamento di situazione prodottosi col disastro del 70. Il suo pensiero acquista, infatti, un senso diametralmente opposto se viene interpretato in rapporto alle realtà politiche e spirituali che hanno preceduto la distruzione del tempio d’Israele (…). A differenza di una importante frazione del giudaismo ellenistico, Paolo non ha mai rotto con le sue radici ebraiche e rabbiniche, che conosceva infinitamente meglio di un altro grande ebreo del suo tempo, Filone alessandrino. Lo studioso cattolico Bonsirven aveva già visto bene come il pensiero di Paolo non possa comprendersi nelle sue fonti se non alla luce delle prospettive e delle tecniche dell’esegesi rabbinica. […] Malgrado l’antilegalismo che gli si attribuisce sistematicamente, senza preoccuparsi troppo del significato reale delle sue analisi circa la fede e la legge, Paolo è rimasto per tutta la vita un ebreo fervente e praticante» (Gesù e Paolo. Figli di Israele, trad. it. Qiqajon, Magnano 2000, pp. 79-81).

Le affermazioni di Chouraqui, nella sostanza, sono confermate oggi da un’abbondante letteratura critica, e fanno ormai parte del sensus communis della ricerca. Tuttavia, non possiamo non avvertire come anacronistico il richiamo dell’autore all’espressione “radici rabbiniche”: bisognerebbe parlare, piuttosto, di radici farisaiche. Ugualmente azzardata, da un punto di vista storico, risulta l’affermazione per cui l’ebreo Paolo avrebbe conosciuto molto meglio dell’ebreo Filone le proprie “radici ebraiche”. In realtà, una considerazione rigorosa della “ebraicità” di Paolo, di Filone, come pure dello stesso Gesù, è possibile soltanto a prezzo di un’altrettanto rigorosa definizione storica di cosa significasse, all’epoca loro, essere ebrei: appartenere, cioè, a un contesto culturale e religioso estremamente variegato e dinamico, che non può essere semplicisticamente assimilato alla “ebraicità”, nell’accezione moderna del termine (errore compiuto dallo stesso Chouraqui: a rigore, infatti, si dovrebbe parlare di “radici ebraiche” anche per il giudaismo rabbinico, evitando la piana identificazione di questo col mondo giudaico precedente alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, avvenuta nel 70).

In quanto ebrei, Paolo e Gesù condivisero senza dubbio, almeno in larga parte, il medesimo orizzonte concettuale. E questo nonostante provenissero da mondi socialmente diversi: Gesù crebbe in un ambiente rurale, del quale conservò moltissime caratteristiche; Paolo, invece, fu un individuo schiettamente urbano e cosmopolita.

(2 – continua)

5 thoughts on “Paolo: il “vero fondatore del cristianesimo”? – 2

  1. Venendo ora al titolo di questi post…

    La sottolineatura dell’ebraicità di Paolo e la precisazione che egli non cadde giù dal cielo, bensì si innestò su di un cammino teologico già in atto prima di lui, alla fine, che cosa implicano?

    Che non si debba (giustamente) dire che Paolo fu “il vero fondatore del cristianesimo”, e che quindi il “fondatore” rimane Gesù?
    Oppure che né Gesù né Paolo hanno fondato alcunché, e che la nascita del cristianesimo come sistema religioso autonomo era ancora di là da venire (questa mi pare sia la tesi di M. Pesce)?

    A me, sinceramente, l’impostare il discorso in termini di “fondatori” pare fuorviante.
    Se posso fare un’analogia…tutti gli innamorati hanno un qualche anniversario che ai loro occhi rappresenta lo spartiacque tra il prima e il dopo nella loro esistenza.
    Ma è proprio vero che l’amore “nacque” quel giorno, mentre il giorno prima non c’era? Quasi mai.
    Mi pare che le cose stiano in modo simile con la nascita del cristianesimo. Per cui, propongo la moratoria dell’espressione “il fondatore del cristianesimo”, con buona pace tanto di Augias quanto di Dodd!

  2. A me pare la questione della fondazione sia più maliziosa, per questo non credo sarà accolta la moratoria, proposta per altro con buone ragioni.
    Parlare di fondazione, infatti, presuppone già una lettura mondana del “fenomeno” divino, ancor prima di dire che Gesù piuttosto che Paolo ne sia il fondatore. Si fa cioè passare l’idea che il cristianesimo sia solo un’espressione culturale con il proprio inizio, meglio se paolino a questo punto, ma al limite va bene anche Cristo, quello storico però.. sia mai. Al massimo si arriva la fondatore mitico, il disegno sotteso è comunque chiaro, e utilissimo il ripercorrere quindi, pur per sommi capi, la storia di questo tentativo di contraffazione.

    Ciao

  3. Effettivamente concordo con Giampaolo, anche se comprendo bene le ragioni esposte da J.W.

    Tuttavia, se mi si passa il truismo, credo che prospettiva di fede e prospettiva storica possano trovarsi d’accordo quantomeno nel dire che Gesù è il fondamento di quella cosa che chiamiamo oggi (con termine per molti frusto, e inaccettabile) cristianesimo. Ma questo è appunto un truismo: e resto convinto che la domanda sul fondatore, se fatta sinceramente, dovrebbe sollecitare risposte migliori.

    Me ne viene in mente una, maliziosa all’incontrario. La stessa che darebbe Paolo, e che risulta scandalosamente più vicina a quella che darebbe un cattolico fervente, che a quella che darebbe uno storico: il fondatore di Quella Cosa Misteriosa Chiamata Oggi Cristianesimo [Q.C.M.C.O.C.] non è altri che il buon Dio.

  4. Sono d’accordo con Giampaolo: il dibattito su Paolo “fondatore” rientra nella ricerca di punti d’appoggio dove, con la leva della razionalità laicista, fare forza per scardinare il Cristianesimo dall’origine divina, dichiaralo fenomeno culturale completamente umano e quindi denigrare l’irrazionalità della fede. E’ strano come subito dopo l’11/9 tutti erano saltati sul carro della “difesa delle radici Cristiane”; ora invece che si sono accorti che il nuovo Papa, (sebbene molti rimpiangano l’umanità di Giovanni Paolo II) è teologicamente e moralmente ancora più rompiscatole del precedente, assistiamo al grande riflusso dell’ateismo razionalista.

I commenti sono chiusi.