di Antonio Ferrua
L’articolo corrisponde alla voce «Archeologia cristiana», in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1948-1954, vol. I, coll. 1802-1812.
Etimologicamente [l’archeologia] è la scienza delle cose antiche (lógos tôn archaíōn).
1. Concetto di archeologia
La parola «archeologia» fu usata spesso da Tucidide in poi. Dionigi d’Alicarnasso pubblicò nel 7 a.C. la Rhomaichē Archaiología, cioè storia antica di Roma, e nello stesso senso Giuseppe Flavio intitolò la sua opera sull’antica storia degli Ebrei Ioudaikē Archaiología. I Latini usarono in quella vece antiquitates, e così l’opera di Varrone Antiquitates rerum humanarum et divinarum era una storia dell’antichità sacra e profana. Invece antiquarius era per i Latini sinonimo di librarius (amatore e copiatore di libri vecchi). Durante tutta l’epoca del Rinascimento e del Barocco troviamo in uso solo i termini latini antiquitates e antiquarius per designare lo studio dell’antichità, ma con un senso assai vasto e includendo sempre più anche la scienza delle istituzioni e dei monumenti. Sembra però che Giacomo Spon fin dal 1685 (prefazione alle Miscellanea eruditae antiquitatis) avesse l’idea precisa di una scienza speciale che chiama archaeographia e definisce «declaratio sive notitia antiquorum monumentorum, quibus veteres sui temporis religionem, historiam, politicam aliasque tum artes tum scientias propagare posterisque tradere studuerunt». E ne dà una sua partizione in vari rami, che però non ebbe seguito.
Con il secolo XVII rinasce pure in Inghilterra l’uso del termine greco archaeología (Archaeologiae Atticae del Rous nel 1637) e nel 1770 la Society of Antiquaries di Londra comincia la pubblicazione del periodico Archaeologia mentre nel 1799 esce a Norimberga il primo Manuale di Archeologia (Handbuch der Archaeologie) di J.F. Siebenkees. Ma finora anche il termine archeologia conserva il senso universale di studio di tutta l’antichità tanto letteraria come monumentale.
Con la ricostituzione della Pontificia Accademia Romana di Archeologia per opera di Pio VII nel 1816 (prima era detta Accademia Romana di Antichità e Storia) il termine archeologia designò di fatto lo studio dei monumenti in opposizione a quello dei documenti scritti. Questo concetto fu poi affermato teoricamente dal Gerhardt nei suoi Grundzüge der Archaeologie (Princìpi dì Archeologia) nel 1833. Egli definì l’archeologia «quella metà della scienza universale dell’antichità classica che è fondata sui monumenti» in opposizione all’altra metà, fondata sui documenti di natura letteraria. Secondo questa definizione, l’archeologia cristiana sarà la «scienza dell’antichità cristiana secondo i monumenti non letterari». Basti notare appena che oggi si confonde talora l’archeologia con la «storia dell’arte antica», mentre oggetto della storia dell’arte sono le opere dell’uomo in quanto presentano qualità artistiche. In Germania è in uso fin dal secolo XVIII il termine «archeologia della storia dell’arte», intendendo con esso lo studio degli oggetti materiali (realia) di cui occorre parlare nella storia dell’arte.
2. Oggetto, metodo, partizioni
Un oggetto materiale è costituito da tutti quei manufatti antichi i quali ci possono rivelare qualche cosa intorno all’antichità cristiana. Essi possono essere anche pagani (cioè opera di non cristiani) come l’iscrizione di Aricanda e l’arco di Costantino; a più forte ragione giudaici, sincretistici o semplicemente eretici. Spesso sono monumenti scritti; di tale sorta l’archeologia cristiana esclude dal suo campo solo i monumenti scritti su carta, pergamena e papiro e quelli che hanno carattere spiccatamente letterario, in quanto tali (come le res gestae di Augusto scritte sul tempio di Ancira e l’epistola di s. Atanasio ad monachos conservata dipinta in un romitaggio d’Egitto), lasciandoli come oggetto proprio alla filologia. L’oggetto formale dell’archeologia cristiana è lo studio di questi monumenti in quanto ci possono rivelare qualche cosa della vita e della cultura degli antichi cristiani come tali. Appartiene invece all’archeologia pagana in genere lo studio dei monumenti, anche cristiani, che non hanno nulla di specificamente cristiano (come la basilica e le terme di Costantino) o in quanto illustrano la vita degli antichi in genere e non precisamente come cristiani. I documenti letterari rientrano spesso indirettamente nello studio dell’archeologia in quanto forniscano notizie sopra i monumenti o aiutino alla loro retta comprensione. In questo senso si possono considerare fonti ausiliarie dell’archeologia.
Le fonti dirette o principali sono soprattutto gli edifici di culto, i monumenti funerari, molti oggetti di uso domestico e quelli di uso liturgico. Di essi si studia specialmente la topografia, l’architettura, l’iconografia, l’epigrafia, l’uso.
Il metodo per lo studio dell’archeologia cristiana è quello proprio delle scienze storiche e filologiche. Precede la ricerca dei monumenti con gli studi di topografia e la pratica dello scavo; lo studio propriamente detto si occupa dell’autenticità del monumento, cioè della sua origine antica, della sua prima destinazione, del suo scopo, significato ed età, infine della sua conservazione od eventuale restauro. Ciò tanto di monumenti singoli quanto di intere classi o complessi di monumenti. Sussidi propri sono le bibliografie e gli inventari archeologici.
Varie sono le partizioni. Lo Spon, già citato, riconoscendo la grande libertà in questo campo, diceva: «Mihi praecipue octo statuendae scientiae videntur, iuxta totidem subiecta, nummos (numismatographia), lapides (epigrammatographia), aedificia (architectonographia), statuas (iconographia statuas picturas musivaque opera describit), toreumata (toreumatographia), manuscripta (bibliographia) ìnstrumentaque omnis generis (angeiographia)».
Oggi le partizioni più usuali sono quelle geografiche (orientale e occidentale; dell’Italia, dell’Africa, della Gallia, ecc.) e quelle intrinseche secondo i vari rami in cui questa scienza si suddivide per comodo di studio (architettura, scultura, pittura, epigrafia, topografia, glittica, numismatica, ecc.).
Molto dibattuta è la questione dei limiti cronologici della nostra scienza. I primi suoi maestri e fondatori (De Rossi, Garrucci, Kraus) seguiti da molti altri giudicarono di farla terminare col secolo VI. Il Le Blant andò un secolo più in là nella sua raccolta delle iscrizioni cristiane della Gallia; altri propongono l’anno 726 in cui scoppiò la lotta iconoclastica. A nostro parere, sebbene il problema meriti una soluzione alquanto diversa secondo le diverse branche dell’archeologia cristiana, si deve tuttavia stimare più esatta la limitazione proposta dal De Rossi. Con la morte di Gregorio Magno (604), finisce veramente in Occidente l’età antica nelle sue manifestazioni culturali ed artistiche, e in Oriente si spengono gli ultimi impulsi della potente rinascenza giustinianei, mentre l’invasione degli Arabi viene presto a segnare uni svolta decisiva.
3. Importanza e utilità
L’importanza dell’archeologia cristiana nel quadro degli studi specialmente sacri risulta da quanto se ne è detto. La parte dei monumenti per la conoscenza dell’antichità è spesso decisiva specialmente per ciò che riguarda la vita privata e l’evoluzione delle qualità artistiche di un popolo. Anche le istituzioni ed i grandi fatti pubblici ne ricevono spesso una illustrazione impressionante o almeno delle precisazioni, soprattutto topografiche, del massimo rilievo. Per questi motivi generali l’archeologia fu sempre tenuta in altissimo conto dalle autorità ecclesiastiche e specialmente dalla fine del secolo XVIII ripetutamente lodata e incoraggiata e validamente promossa. Si pensi all’istituzione di un museo di archeologia cristiana (1757) della Pontificia Accademia Romana di Archeologia già ricordata, della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra (1852), organo ufficiale per lo scavo e la conservazione dei monumenti antichi, e particolarmente all’opera di grandioso mecenatismo svolta da Pio IX in favore del De Rossi per i suoi lavori di scavo e illustrazione dei grandi cimiteri romani. Queste granii tradizioni furono riprese da Pio XI, il quale con largo impiego di mezzi e con il motu proprio dell’11 dicembre 1925 fondò il Pontificio Istituto d’archeologia cristiana e rinnovò la vita delle due vecchie istituzioni pontificie: l’Accademia e la Commissione.
Questo caldo interessamento per l’archeologia cristiana si spiega in modo particolare perché fu riguardata come scienza di grande valore apologetico. I monumenti dell’antichità cristiana, dice Pio XI nel motu proprio citato, «sono testimoni altrettanto venerandi che autentici della fede e della vita religiosa dell’antichità ed insieme fonti di primissimo ordine per lo studio delle istituzioni e della cultura cristiana fin dai tempi più prossimi agli apostolici». Non bisogna tuttavia nutrire l’illusione che tali monumenti possano fornire un’intera apologia di tutti i dogmi della Chiesa. Sebbene fin dalla seconda metà del secolo XVIII l’archeologia cristiana sia spesso stata studiata specialmente in ordine ad una teologia basata sui monumenti e si siano anche tentate varie opere in quel senso, è però certo che né gli antichi cristiani intesero o poterono esprimere nelle iscrizioni, per esempio, e nelle pitture e sculture la massima parte dei dogmi, né è possibile ritrovarli nei monumenti a noi pervenuti. Essi testimoniano solo per quelle verità che era ovvio manifestare in monumenti per lo più funebri: il ricercarvene altre è cosa per lo più molto arrischiata o almeno priva di risultato sicuro.
Non bisogna mai dimenticare che le vere fonti della dottrina cristiana sono ben altre: il vivo magistero ecclesiastico, la Scrittura e i libri dei Padri. I monumenti più che un locus theologicus sono in genere un’illustrazione degli articoli della fede. Tuttavia non si può negare che l’archeologia cristiana per certe tesi cattoliche può dare delle prove propriamente dette, come per il giudizio e la rimunerazione subito dopo la morte, la comunione dei santi, la validità delle preghiere dei vivi per i defunti e viceversa, l’esistenza di un purgatorio, il culto dei santi martiri, la venuta di s. Pietro a Roma e la sua posizione preminente nella Chiesa, l’uso antichissimo di alcuni Sacramenti come il Battesimo e l’Eucaristia.
Ma in questa materia è necessario pesare attentamente le espressioni, giacché nel generale sincretismo religioso dell’età prenicena spesso si rischia di prendere come terminologia dogmatica specificamente cristiana quella che è anche propria di correnti religiose stoiche, neoplatoniche o misteriche. In ogni nome, in ogni epiteto, in ogni iscrizione che rivelino un nobile sentire religioso spesso si vuole vedere il monumento cristiano, in ogni tomba fornita di qualche segno singolare si vuole scorgere il sepolcro di un martire. Il simbolismo cristiano come l’esegesi di certi teologi e predicatori diventa l’arte di cavare da qualsiasi monumento tutto quel che si vuole. Giacché spesso si bada più a risonanze esteriori che al vero significato di un monumento, ci si contenta di leggere probabilità e sembra si cerchi più di ammassare che di discernere, più di moltiplicare le cosiddette prove che di pesarle. Questo difetto, visibilissimo nelle vecchie apologetiche archeologiche, non manca neppure in modernissime trattazioni di quel genere.
4. Fonti, sussidi, critica
Fonti degli studi archeologici sarebbero anzitutto gli stessi monumenti; ma essi si considerano piuttosto come oggetto, e fonti si dicono quei documenti letterari antichi che ci aiutano nel loro studio. Tali sono gli Atti dei martiri, specialmente romani, che ci danno molte notizie, generalmente attendibili, sopra i loro sepolcri e santuari ; lo stesso si dica dei calendari e vari documenti affini che confluirono nella vasta compilazione del Martirologio geronimiano, spesso forniti di utili indicazioni topografiche; qualche cosa si ricava pure dai libri liturgici come i sacramentari e lezionari. Fonti importantissime sono gli scritti dei Padri che spesso ci descrivono alcune chiese e la loro decorazione (ad es. Eusebio per gli edifici costantiniani, Prudenzio per molti monumenti spagnoli e romani, Paolino per Nola, ecc.). Specialmente la biografia ufficiale dei Papi (Liber Pontificalis) è una fonte inesauribile di notizie sulle chiese e sui cimiteri di Roma.
Coloro che fin dal secolo IV andarono pellegrinando ai celebri santuari della cristianità specialmente di Terra Santa e di Roma ci lasciarono curiosamente notato quanto in essi avevano osservato. Dal secolo VI accanto a quei cosiddetti itinerari si formarono nello stesso modo anche sillogi di iscrizioni monumentali ed agiografiche, che, in parte almeno, ricopiate e confuse fra loro in varia guisa, ci sono con quelli pervenute.
Nel secolo XI la celebre contesa per la preminenza in dignità tra le basiliche Vaticana e Lateranense diede occasione a varie preziose descrizioni di esse, come il Liber de sanctis sanctorum, il Liber de ecclesia Lateranensi e la descrizione di S. Pietro di Pietro di Manlio, nella quale abbiamo il primo indice delle catacombe di Roma in diciannove numeri. Allo stesso secolo appartengono le varie edizioni dei Mirabilia urbis Romae, guida di Roma molto elementare che comprende anche un capitolo de cimiteriis.
Parallelamente sorgono in Oriente le descrizioni dei monumenti di Siria e Palestina con le guide o itinerari del monaco Epifanio (sec. IX), di Giovanni Foca (sec. XI), Perdicca d’Efeso (sec. XIV), Daniele di Smirne ed un altro anonimo del secolo XV. La città poi di Costantinopoli ebbe illustratori speciali dei suoi monumenti già nel secolo VI: Procopio (De aedificiis) ed Esichio di Mileto (Patria Constantinopolis), poi nel secolo IX l’amplissima compilazione topografico-descrittiva dello pseudo-Codino (Patria Constantinopolis) e nel X l’utilissimo De officiis di Costantino Porfirogenito. Questo è rappresentato in certa misura a Roma dall’Ordo di Benedetto canonico di S. Pietro del principio del secolo XII.
Tra i sussidi per lo studio dell’archeologia cristiana il più valido è pur sempre la pratica stessa dello scavo; non vi è nulla di più istruttivo o che la possa sostituire. Lo scavo per lo più è occasionale, di rado condotto intenzionalmente con un piano prestabilito; in questo caso può essere assai pericoloso seguire una tesi preconcetta.
I monumenti ritrovati dovrebbero possibilmente essere sistemati convenientemente là dove furono rinvenuti; portati altrove, perdono generalmente parte della loro eloquenza. Quando ciò non sia possibile, specialmente per mancanza di sicurezza, si sogliono trasportare nei musei; ma allora diviene tanto più necessario un diligente giornale di scavo ed un catalogo esatto dei singoli oggetti con le loro provenienze. Molti monumenti dei nostri musei hanno perduto gran parte della loro importanza appunto per mancanza di una loro carta di identità.
Per chi sta troppo lontano dai musei o quando i monumenti non si possono trasportare, servono oggi come buoni surrogati per lo studio personale la fotografia, il rilievo, il calco, la ricostruzione in scala ridotta. Il calco in gesso si raccomanda specialmente per le sculture, quello in cartasciugante o a lucido per le iscrizioni. Essi ad ogni modo devono essere sempre accompagnati da un’accurata descrizione fatta sul posto. Purtroppo spesso oggi si dimentica che lo studio diretto degli originali non può essere sostituito se non con molti svantaggi per la scienza. Ad ogni modo simili collezioni di calchi, fotografie, ecc. (quali sono, p. es., annesse all’Università di Berlino e all’École des Hautes Études di Parigi) offrono grandi vantaggi per l’insegnamento. Altri potenti sussidi sono le biblioteche specializzate come quella del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, i congressi (il IV tenutosi a Roma nel 1938) e i corsi combinati d’insegnamento per la formazione di specialisti (come a Roma nel suddetto Pontificio Istituto). Due iniziative utilissime esistono pure a Roma: la Pontificia Accademia d’Archeologia, che di fatto si occupa prevalentemente di cose cristiane, e la Società per le Conferenze d’Archeologia Cristiana, destinata a favorire lo scambio di vedute fra gli specialisti.
La critica archeologica deve spesso cominciare dall’autenticità, cioè dall’esame dell’antichità stessa dell’oggetto. Molte monete e oggetti minuti, specialmente preziosi, si falsificarono nei tempi andati in Italia e non è sempre facile giudicare dell’autenticità, ad esempio, delle gemme e dei cammei; oggi si falsificano soprattutto oggetti orientali di cui è grande la richiesta. I più raffinati falsificatori spesso si contentano di rilavorare pezzi effettivamente antichi.
Importantissimo a sapere è sempre il luogo d’origine di un monumento, specialmente per oggetti che sogliono viaggiare molto, come stoffe, argenterie, miniature e simili.
Mancando dati storici, si ricorre volentieri ad argomenti stilistici e lo stesso si suole fare quando si ricerca l’età di un monumento. Ma spesso si incorre in un circolo vizioso, attribuendo a una certa età e a un certo paese un monumento per la somiglianza con altri che furono a loro volta datati o topograficamente situati soltanto in base a considerazioni stilistiche. È sempre da tener presente che in diversissimi luoghi e diversissime età si hanno spesso fenomeni artistici molto simili, e che il luogo dove si trova un monumento (quando non sia un museo o una collezione) vale sempre per suo luogo d’origine, finché non vi sia una ragione probativa in contrario.
Altra parte capitale della critica è l’esegesi o interpretazione del monumento, se sia cristiano o no e quale il suo significato. La questione si complica e diviene spesso insolubile quando esso sia in parte perito e si tratti quindi di divinare quello che manca. Si procede generalmente col metodo comparativo, ed anche per questo non sarà mai abbastanza raccomandata all’archeologo cristiano la conoscenza della filologia e del mondo pagano.
5. Topografia
Roma è di gran lunga il centro più importante, e per chiese, catacombe, epigrafi, istituzioni e collezioni varie equivale da sola a quasi tutto il resto dell’Occidente. Nel resto d’Italia, oltre a molte catacombe minori sono da ricordare: Napoli per le grandi catacombe, il museo e alcune chiese vetuste; Nola per il complesso di monumenti in onore di s. Felice; Siracusa per il museo e le grandi catacombe (minori a Palazzolo, Modica e altrove); Spoleto con la basilica del Salvatore e il vicino tempio del Clitunno; Bolsena e Chiusi per le loro catacombe; Ravenna per i grandi edifici dei secoli V e VI (sarcofagi e musaici); Albenga col suo battistero; Milano per la basilica di S. Ambrogio e il complesso di S. Lorenzo; Aquileia per il museo e la Basilica; Parenzo per la sua Basilica; Salona per chiese e necropoli.
In Francia oltre i cimiteri di Arles sussistono solo miseri resti di edifici antichi o sparsi gruppi di sarcofagi; in Spagna si è rivelata importantissima la necropoli di Tarragona e la vicina rotonda di Centcelles simile a quella romana di S. Costanza; in Germania il monumento più notevole è il duomo di Treviri; a Xanten, Magonza, Colonia si sono trovati numerosi resti di antichissime chiese e necropoli; i musei di Berlino, Parigi e Londra conservano ricche collezioni di oggetti e monumenti paleocristiani.
Nei paesi danubiani abbiamo una piccola catacomba a Pecs e resti di piccole chiese (come un po’ dappertutto nei Balcani). Da segnalare le basiliche di Tebe, Nicopoli, Atene, il battistero di Butrinto e i monumenti in gran parte conservati di Corfù, Salonicco e Costantinopoli con i loro famosi musaici che si sono cominciati a studiare.
L’Asia Minore è ricca di iscrizioni specialmente nella Frigia; rovine di chiese vi si trovano dovunque, e tra esse, grandiose, le tre basiliche di Efeso e il santuario di S. Tecla a Meriamlik (Cilicia).
La Mesopotamia è diventata celebre per la sinagoga e la chiesa con battistero di Dura Europo. Nella Siria settentrionale e nell’Hauran sussistono rovine di un grandissimo numero di chiese, in parte con il loro alzato ; curiosissimo il santuario di S. Simeone Stilita presso Antiochia.
La Palestina è ricchissima di resti dei santuari che fin dai secoli VI e VI quasi tutta la coprirono; ma sono solo misere rovine o totalmente trasformati. Meglio conservati sono gli innumerevoli musaici figurati pavimentali, fra cui la famosa carta topografica di Madaba e molte iscrizioni piuttosto tarde; ricordiamo poi i complessi del Santo Sepolcro e i santuari del Monte degli Ulivi, di Emmaus, di Betlemme, di Mambre presso Ebron, della moltiplicazione dei pani sul lago di Tiberiade e le undici chiese di Gerasa.
L’Egitto, oltre a rovine di monasteri che possono essere molto antichi, conserva piccole catacombe presso Alessandria e grandi necropoli a Bauit (presso Antinoe, con pitture) e El-Kargeh (Grande oasi) e il grandioso complesso del santuario di S. Mena; ricca collezione di antichità copte al Cairo.
La Cirenaica serba qualche ipogeo dipinto e resti importanti di chiese ad Apollonia e Tolemaide; così in Tripolitania abbiamo importanti necropoli ad ‘Ain Zara e Ngila e rovine di chiese a Leptis e Sabratha.
La Tunisia ha rivelato un’infinità di antiche chiesuole e sepolcri spesso con musaici e iscrizioni. Importanti le catacombe di Hadrumetum e le basiliche di Thelepte e Ammaedara. Cartagine conserva rovine di sei grandi Basiliche e un museo ricco di antichità cristiane; nell’Algeria sono da segnalare, fra molti altri, i centri di Tebessa, Tipasa, Cuicul.
6. Questioni e indirizzi particolari
Con grande ardore si discusse nei secoli passati sui «segni dei sepolcri dei martiri». Oggi è pacifico che si tengano per tali solo quelli storicamente attestati o muniti di segni evidenti di venerazione (graffiti con invocazioni dei fedeli, lavori di ornamentazione).
Molte questioni sorsero pure sopra l’«origine e destinazione delle catacombe»: oggi è certo che esse furono quasi tutte scavate dai cristiani stessi, a scopo funerario, in terreni di natura calcarea leggera; di rado precedenti cave di arenaria furono adattate poi a cimitero; del tutto eccezionalmente si conglobarono in complessi catacombali singoli ipogei pagani. Le catacombe servirono propriamente per cimiteri e (almeno sotto terra) non mai per abitazione o nascondiglio dei cristiani durante le persecuzioni; per atti di culto pubblici solo nelle feste dei martiri che in esse erano sepolti.
1. Per quale titolo giuridico la Chiesa possedesse fin dal principio almeno del secolo III propri beni, come chiese, case, cimiteri, si discute ancora vivamente; pare che ciò avvenisse per una specie di pratica tolleranza. Quale l’origine del tipo basilicale, che almeno per noi rappresenta la prima forma delle chiese dopo Costantino? Si trattò probabilmente di un adattamento dell’architettura della basilica civile (arche di sontuosi palazzi privati) alle esigenze pratiche del culto cristiano, con poche modifiche e non essenziali. Non persuasiva è la derivazione dallo sviluppo di mausolei funebri; troppo incerto nelle sue basi monumentali il tentativo di farne l’evoluzione progressiva di sale di edifici privati adattate al culto prima di Costantino.
2. La polemica sulla prima abitazione degli apostoli a Roma, la prima «sedes ubi sedit Petrus», il misterioso Ostrianum, le case di Prisca e Pudente e il soggiorno di s. Paolo hanno fatto sprecare molte energie in discussioni della cui utilità è lecito dubitare e che non meritano d’essere ravvivate.
3. I santi Pietro e Paolo sono veramente venuti e morti a Roma? Pochi protestanti e razionalisti si pongono ormai questa domanda, specie dopo i meravigliosi risultati degli scavi di S. Sebastiano e di S. Pietro. Ma è sempre aperto il problema sulla natura della memoria in catacumbas (tradizione di un’abitazione degli apostoli? sepoltura primitiva? traslazione posteriore temporanea? o nulla di tutto ciò?) e sulla storia delle reliquie degli apostoli (teste comprese), né forse mai si potrà risolvere. Un punto molto delicato ed al quale si può spesso saggiare la bontà di un archeologo è quello di distinguere ciò che è cristiano da ciò che è pagano. Un criterio fisso e unitario non esiste, né si può sperare di trovarlo. Secondo le varie materie e i vari paesi bisogna formarsi dei criteri speciali; purtroppo scarsi e per lo più dilettanteschi sono i lavori che esistono in proposito. E bisogna anche tenere presente la possibilità di produzioni sincretistiche o eretiche. Purtroppo di questa comoda formola o alibi delle eresie si è sovente abusato per sbarazzarsi di monumenti singolari di origine ed esegesi incerta.
4. Non meno difficile si presenta spesso il problema della datazione. Dove mancavano dati positivi storici od epigrafici si procedette generalmente nel passato con grande arbitrio, per non dire a fantasia. Fu merito del De Rossi aver posto solidi criteri a base della ricerca delle catacombe e delle iscrizioni; per gli edifici siamo, invece, tuttora ben lontani da un effettivo progresso e se ne risentono le conseguenze soprattutto nelle ricerche fuori e lontano da Roma. Lo stesso si dica per gli oggetti minuti dell’instrumentum, in cui per lo più ci si abbandona a vaghe induzioni stilistiche mentre sarebbe opportuno fare qualche cosa di simile a ciò che si è realizzato per la terra sigillata dei secoli I e II; per le pitture e sculture, dopo i lavori fondamentali del Wilpert, appena ora si comincia a cercare qualche canone più preciso e positivo.
5. Sempre aperto è anche il grave problema del simbolismo. Si è ormai d’accordo nel rigettare il metodo di coloro che nei tempi andati, come nella Scrittura, anche nelle produzioni artistiche videro simboli dappertutto e come una criptoteologia (anche il Wilpert esagera ancora un poco in questo senso), e così pure uno storicismo affettatamente universale (Styger). Ma è molto difficile segnare i limiti e la giusta esegesi nei singoli casi, e spesso anche solo la natura del simbolismo in gioco, se quello tradizionale pagano o un nuovo cristiano. Bisogna infatti ricordarsi che esistette un ricco simbolismo pagano sincretistico, e del pari tener presente che i Padri della Chiesa nelle loro esposizioni simboliche procedono in modo affatto personale oppure si ispirano a fonti strettamente letterarie, invece di attingere al tesoro delle concezioni comuni fra il popolo cristiano. In tal caso le stesse loro testimonianze sono di scarso valore anche se accumulate.
6. Altro problema assai oscuro è l’origine dei singoli temi iconografici. Le questioni iconologiche sono ancora quasi tutte al loro inizio. Dovrebbe risultare una buona volta quanto i cristiani hanno preso dall’iconografia pagana e quanto innovato per conto loro nei singoli paesi e nelle singole età; neanche su temi così celebri come l’orante e il buon pastore, si è ancor fatta luce. Dovrebbe pure risultare se e fino a che punto gli artisti cristiani siano stati animati da una preoccupazione ritrattistica, non tanto nelle rappresentazioni di privati quanto in quelle dei santi, degli apostoli, e fin di Gesù e di Maria. Forse a tale problema è stata data una soverchia importanza da storici dell’arte cristiana in cerca di novità.
7. Il dilemma Oriente o Roma posto al principio di questo secolo con audacia e quasi con prepotenza dallo Strzygowski (del resto benemerito per avere introdotto largamente nei nostri studi la conoscenza dei monumenti orientali) ha già preoccupato, e forse soverchiamente, parecchi studiosi (ad es. il Kaufmann e il Wulff, autori di noti manuali). Ma esso è in fondo irragionevole quanto l’errore che vuole correggere. Ormai si va facendo strada il sano criterio di non negare aprioristicamente a nessuno il diritto di assidersi al banchetto dell’arte cristiana, che è invece da concepire come uno di quei conviti a quota libera così cari ai Greci antichi. Piuttosto, in queste ricerche di ontogenesi artistica bisognerebbe sempre conservare una cura scrupolosa della cronologia e un certo rispetto della geografia per non cadere nell’errore di supporre, ad esempio, monumenti del secolo IV o V ispirati a scuole artistiche di cui appena ci restano produzioni di un secolo o due dopo, ovvero di far tra loro dipendenti in arte regioni che si trovavano agli antipodi del mondo allora conosciuto.
Sempre molto utili riuscirono i Congressi Internazionali di Archeologia Cristiana: il I a Spalato nel 1894 presieduto da F. Bulic; vi si trattarono interessi generali e temi particolari, come nel II a Roma nel 1900, diretto da L. Duchesne; il III a Ravenna nel 1932 presieduto da G.P. Kirsch e C. Ricci con relazioni delle più recenti scoperte relative all’archeologia cristiana; il IV a Roma nel 1938, presieduto da P. Paschini, trattò degli edifici di culto.
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