di Teodorico da Castel San Pietro
L’articolo corrisponde alla voce «Galati, Epistola ai», in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1948-1954, vol. V, coll. 1857-1862.
È una delle quattro maggiori lettere di s. Paolo, indirizzata alle Chiese della Galazia, profondamente turbate dalla propaganda giudaizzante.
1. Occasione, destinatari e data di composizione
L’Epistola ai Galati [d’ora in avanti, Gal] è la più polemica delle lettere paoline, con tono notevolmente aspro, che raggiunge talora l’ingiuria (3,1), l’ironia (4,21) e il sarcasmo (5,12). Gli avversari vi sono perseguiti in ogni loro posizione in maniera implacabile. Anche la parte che suole considerarsi morale o pratica è scritta sotto l’influsso della controversia che agitava quelle Chiese. La questione giudaizzante, superata decisamente allora, non ebbe seguito nella vita del cristianesimo.
Si trattava di accettare o no la sostanza del cristianesimo, di conservare a questo il suo carattere di religione universale oppure di farne una semplice variazione del giudaismo, con quello spirito particolaristico che riservava ad Israele il pieno diritto di chiamarsi «popolo di Dio», al punto che non poteva conseguire la salvezza apportata da Cristo chi non aveva nella propria carne il segno dell’aggregazione a questo popolo. Accogliendo le pretese dei giudaizzanti si poneva un ostacolo gravissimo alla diffusione del Vangelo nel mondo pagano, che sarebbe stato ancor più restio a entrare nella Chiesa, se avesse dovuto passare per il vestibolo del mosaismo, sottoponendosi alla circoncisione e alle altre osservanze legali. Inoltre, accettare la circoncisione come mezzo indispensabile di salvezza equivaleva a dichiarare, in pratica, l’insufficienza dell’opera salvifica di Cristo.
Gal è strettamente legata al ministero di Paolo e alle vicende della comunità destinataria; onde non può lumeggiarsi se non inquadrandola in un preciso momento storico dell’epistolario paolino.
Il problema centrale dei destinatari è vivacemente dibattuto da circa un secolo tra gli esegeti di ogni scuola e di ogni confessione. Dalla sua soluzione dipende, in parte, quello della data di composizione, la determinazione della natura precisa degli errori diffusi in Galazia dagli pseudo-apostoli, nonché l’intelligenza di certi aspetti della focosa risposta di Paolo.
L’inizio della lettera (1,2) indica come destinatarie le «chiese della Galazia». Ma il termine «Galazia» può intendersi sia etnograficamente, come derivato al territorio dalle caratteristiche etniche degli abitanti, sia amministrativamente, come nome di provincia romana. Pare certo che s. Luca negli Atti si attenga al primo piuttosto che al secondo significato. L’ambiguità è soprattutto in Gal. È vero che se la Galazia percorsa da Paolo secondo At 16,6 (secondo viaggio missionario) è il territorio abitato dai veri Galati, s. Luca ci farebbe sapere ben poco della loro evangelizzazione e della successiva visita dell’Apostolo (At 18,23), durante la quale dovettero affiorare i primi segni della crisi (Gal 1,9). Ma il carattere lacunoso della narrazione degli Atti non deve sorprendere. Paolo stesso sembra voler insinuare (Gal 4,13) che l’evangelizzazione dei Galati fu occasionale, per una malattia che lo avrebbe costretto a modificare il proprio itinerario (l’impedimento di At 16,6?).
Il cardine della questione è nel valore che Paolo stesso dà ai termini di Galazia e di Galati Le «chiese della Galazia» (1,2) sono, per lui, quelle di Antiochia di Pisidia, d’Iconio, di Listra e di Derbe, fondate durante il primo viaggio missionario (At 13,14 – 14,21) e riviste all’inizio del secondo (At 15,36; 16,1), oppure comunità costituite solo durante il secondo viaggio nei territori di Tavium, di Ancira e di Pessinunte, abitati dalle tribù galate? La soluzione è meno facile di quanto pare talvolta dalla lettura di autori che si pronunciano decisamente per l’una o per l’altra di queste due opinioni (cf. G. Ricciotti, Paolo Apostolo, Roma 1946, p. 332).
I sostenitori dell’opinione secondo la quale Gal sarebbe stata indirizzata alle comunità galatiche del nord (teoria nord-galatica, difesa, per limitarsi ai più noti, da J.B. Lightfoot, J. Knabenbauer, A. Loisy, M.-J. Lagrange, F. Prat, H. Lietzmann, D. Buzy, G. Ricciotti) premono talora sul motivo che tale destinazione fu ritenuta comunemente fino a circa un secolo fa. L’argomento non è molto forte, dato che i Padri e gli antichi esegeti non sentirono il problema, concependo i primi la Galazia secondo la nomenclatura e la delimitazione dei loro tempi.
D’altra parte, anche vari degli argomenti che si fanno valere dai sostenitori della teoria sud-galatica (G. Perrot, W.M. Ramsay, Th. Zahn, V. Weber, E. Le Camus, E. De Witt Burton, G.S. Duncan, F. Amiot) non sono decisivi, consentendo i testi una spiegazione plausibile anche nella teoria opposta. Così è, ad esempio, dell’affermato silenzio di Paolo sulla conferenza di Gerusalemme e sul relativo decreto apostolico, per cui si dovrebbe supporre che l’evangelizzazione della Galazia e la crisi, che seguì a breve distanza, siano state anteriori a detta conferenza. Intanto negano taluni (D. Buzy, Parigi 1948, p. 430), il fondamento dell’argomentazione, allegando, come relativo alla riunione apostolica di Gerusalemme, Gal 2,1-10, che altri (F. Amiot, St. Paul, Parigi 1926, pp. 29-32) però, intendono del viaggio di cui in At 11,30 (cf. 12,25). Paolo, del resto, non aveva interesse a parlarne, poiché la lettera apostolica, oltre ad essere indirizzata alle comunità della Siria e della Cilicia (At 15,23), non faceva parole della circoncisione, che era l’articolo fondamentale della propaganda antipaolina presso i Galati.
Gli argomenti più validi in favore della teoria nord-galatica sono fondati su Gal 1,2 e 3,1. Nel primo di questi luoghi si ha l’indirizzo della lettera alle «chiese di Galazia». Ora, è per lo meno strano che, stante l’uso, anche dei documenti ufficiali, di distinguere coi rispettivi nomi propri le singole regioni incorporate nella provincia romana di Galazia, Paolo abbia usato il termine improprio per indicare i territori percorsi da lui durante il primo viaggio missionario, i quali nella relazione di Luca vengono menzionati coi loro nomi propri.
Significativo però è Gal 3,1, dove i destinatari vengono apostrofati con il titolo di «Galati» e con l’aggiunta poco lusinghiera di «insensati». Se «Galazia» poteva usarsi nel senso largo di provincia romana, non è molto verosimile che i Pisidi e i Licaoni venissero chiamati «Galati». Se le singole parti della provincia romana conservavano i propri nomi, molto più questi restavano agli abitanti, che non si sarebbero sentiti eccessivamente lusingati dì venire chiamati con il nome di tribù barbare immigrate nel territorio asiatico in epoca relativamente recente. Né sono infondate le considerazioni d’indole psicologica suggerite, in parte, dall’epiteto di «insensati», usato da Paolo nella vivacità della polemica. Secondo Cesare (De bello Gallico, IV, 5) i Galli o Celti, al ceppo dei quali appartenevano le tribù stabilitesi nella Galazia, erano amanti di novità, precipitosi e volubili, pronti a credere all’ultimo arrivato – specialmente se in veste di filosofo – e a prendere, per sentito dire, le più gravi decisioni. I destinatari di Gal avevano accolto con entusiasmo la predicazione di Paolo, superando la ripugnanza che doveva ingenerare la malattia di cui questi allora soffriva, pronti anzi a cavarsi gli occhi per farne dono a lui (4,13 sgg.). Poi, con la stessa curiosità e mobilità d’animo avevano ascoltato i nuovi predicatori ed erano sul punto di passare al loro seguito (1,6).
La divergenza delle opinioni circa i destinatari si riflette sulla determinazione della data di composizione, quantunque le due questioni non siano, per sé, interdipendenti. Anche l’ipotesi sud-galatica, infatti, potrebbe consentire tra la predicazione di Paolo e il sopravvenire dei giudaizzanti un intervallo più lungo di quello che si pensa comunemente. Il «così presto» di 1,6 può intendersi della facilità inaspettata con la quale i lettori hanno ceduto. Per ammettere, nell’ipotesi sud-galatica, che tutto sia anteriore alla conferenza di Gerusalemme – in tal caso Gal sarebbe la prima lettera di s. Paolo – bisogna considerare le due visite dell’Apostolo (4,13; cf. 1,9) come rispondenti all’andata e al ritorno del primo viaggio missionario nelle regioni della Pisidia e della Licaonia (tesi di F. Amiot, p. 40; cf. pp. 38-43). Ma ciò sembra alquanto forzato; onde, anche tra i sostenitori della destinazione sud-galatica, altri preferiscono datare la lettera dal secondo viaggio apostolico, all’inizio del quale Paolo e Sila visitarono nuovamente le comunità di Derbe e di Listra (At 16,1) e, con ogni probabilità, anche quelle di Antiochia di Pisidia e d’Iconio. Anche così Gal potrebbe essere la prima lettera di s. Paolo.
Per i sostenitori della destinazione nord-galatica Gal non può essere stata scritta che durante il terzo viaggio missionario, all’inizio del quale Paolo visitò per la seconda volta «il paese di Galazia e la Frigia» (At 18,23; cf. 16,6 e Gal 4,13).
La data di composizione resta approssimativa tanto nell’una che nell’altra ipotesi. In quella della destinazione sud-galatica i pareri si dividono: se Gal è anteriore alla conferenza di Gerusalemme e segue l’incidente di Antiochia, non si può pensare che al 49 (Amiot, pp. 39 sg.); se Gal 4,13 suppone la visita fatta al principio del secondo viaggio missionario, si può opinare per il 51-52, da Corinto. Non più concordi sono i patrocinatori della destinazione ai Galati propriamente detti, pronunciandosi alcuni per il 53-54, da Efeso (M.-J. Lagrange; M. Meinertz; E. Ruffini, Chronologia Veteris et Novi Testamenti, Roma 1924, p. 198; cf. H. Höpfl – B. Gut, Introductio specialis in Novum Testamentum, V ed., Napoli-Roma 1949, p. 361), altri, invece, scendendo fino al 56-57, anche a motivo delle somiglianze che legano Gal alla Lettera ai Romani (Buzy, p. 418).
2. Contenuto
Dopo il prologo (1,1-10), breve e concitato, che introduce nel vivo dell’argomento, Paolo intraprende l’apologia del suo apostolato, in base a un complesso di dati positivi, che vanno dalla sua conversione all’incidente di Antiochia (1,11 – 2,14). Segue la parte centrale (2,15 – 5,12), denominata comunemente dogmatica, che è una serie incalzante di argomenti a difesa della libertà cristiana nei confronti della legge mosaica. Infine, quasi per togliere ogni possibilità d’equivoco sulla natura di questa libertà, le lettera si chiude con un complesso di esortazioni pratiche (5,13 – 6,10). Non si può nascondere, però, che questa divisione abbia qualcosa di artificioso, che contrasta con la spontaneità e la foga dello scritto; il quale si presenta, da capo a fondo, come ispirato da un’unica grande idea: la difesa della libertà cristiana, nei confronti della legge mosaica, già sorpassata.
Il prologo (1,1-10) offre subito un motivo saliente dello scritto: l’apologia dell’apostolato e della dottrina, che vengono a Paolo non dagli uomini, ma da Dio. In testa si legge, perciò, l’origine della sua dignità apostolica; segue, nell’indirizzo e nel saluto augurale alle comunità destinatarie, l’idea della liberazione del presente secolo malvagio per opera di Cristo redentore e una breve dossologia al Padre (vv. 2-5). Nessun elogio di queste comunità, ma lo stupore di vederle così presto sviate dall’unico Vangelo, che è quello predicato loro da Paolo, e la condanna più decisa – senza preoccupazione di riuscire sgradito agli uomini – di chiunque tenta di sovvertire il Vangelo di Cristo, fosse Paolo stesso o un angelo dal cielo (vv. 6-10).
Per la difesa del suo ministero apostolico (1,11 – 2,14) Paolo prende le mosse dalla propria azione di persecutore, che era ben nota ai Galati (1,11-14). Convertito da Cristo e chiamato all’apostolato tra i gentili, egli non diviene discepolo degli Apostoli che lo hanno preceduto, ma si raccoglie in un silenzio di preparazione, e solo tre anni dopo s’incontra con Pietro e con Giacomo a Gerusalemme, restando tuttavia quasi sconosciuto alle chiese della Giudea, che avevano soltanto una vaga notizia delle sue prime fatiche apostoliche nella Siria e nella Cilicia (1,15-24). La visita più importante a Gerusalemme e una specie di riconoscimento quasi ufficiale avvennero solo dopo quattordici anni, in un incontro in cui s. Paolo difese strenuamente la libertà dal giogo della legge mosaica, nell’interesse degli etnico-cristiani, libertà affermata anche con il fatto di sottrarre Tito, pagano d’origine, alla circoncisione. Le «colonne» della Chiesa riconobbero affidato a Paolo l’apostolato tra i gentili, come a Pietro quello tra i circoncisi. La premura per i poveri delle comunità giudaiche doveva essere un segno tangibile di questo sincero accordo tra i due campi d’azione (2,1-9). Ma quando ad Antiochia Pietro, per timore dei venuti da Gerusalemme, si attenne ad una condotta che rinnegava praticamente la libertà sancita a Gerusalemme, Paolo gli si oppose con fermezza, rimproverandogli l’incoerenza d’imporre agli altri osservanze legali, dalle quali egli stesso si riteneva esente (2,11-14).
Il discorso rivolto a Pietro passa insensibilmente dall’episodio particolare alla formulazione del principio che Iddio giustifica in virtù della fede in Cristo, senza le opere della legge. Infatti, anche noi Giudei – dice Paolo – abbiamo cercato nella Fede la nostra giustificazione. Che se fossimo tuttavia peccatori, ne deriverebbe l’assurdo che Cristo sarebbe ministro del peccato (2,15-18). Invece noi siamo morti alla legge, per vivere della vita di Cristo che ci ha amato e si è offerto per noi. Se la legge potesse giustificare, Cristo sarebbe morto inutilmente (2,19 sgg.).
L’esperienza stessa dei fedeli (3,1-5) e la testimonianza della Scrittura in rapporto ad Abramo e alla sua discendenza (3,6-9) provano che la giustificazione si ha per la Fede, non per la legge. Questa era piuttosto fonte di maledizione: una maledizione che Cristo ha preso sopra di sé, affinché della benedizione d’Abramo fossero partecipi tutte le genti (3,10-14). D’altra parte, la legge non poteva infirmare la promessa gratuita fatta in antecedenza ad Abramo (3,15-18). Per la legge, divenuta occasione di peccato, gli uomini dovevano sentire più fortemente la necessità dell’opera di Cristo (3,19-22): la legge era un carceriere (3,23); il pedagogo che doveva condurci a lui (3,24 sg.).
Per la Fede, che ci fa figli di Dio, e per il Battesimo, che ci riveste di Cristo, cessa ogni distinzione di giudeo e di greco, di schiavo e di libero, di maschio e di femmina: tutti sono uniti in Cristo e partecipi delle promesse di Abramo (3,26-29). Il periodo di minorità spirituale e di servitù della legge è definitivamente chiuso per opera di Cristo, che ci ha costituiti figli adottivi ed eredi (4,1-7). Come vorrebbero, dunque, i lettori ritornare schiavi? Essi che accolsero con tanto slancio Paolo e il suo messaggio! E non s’accorgono di essere zimbello di un falso zelo? (4,8-20). Imparino piuttosto la lezione che la Scrittura fornisce a proposito di Agar e di Sara; e non vogliano divenire figli della schiava, poiché perderebbero il diritto di partecipare all’eredità d’Isacco (4,21-31). Attenti, quindi, a non lasciarsi carpire la libertà conquistata per Cristo. Circoncidersi sarebbe decadere dalla Grazia e caricarsi di tutto il fardello delle osservanze legali (5,1-5). Non ha più alcun valore la circoncisione e sarà punito chi la predica e guasta l’opera di Cristo (5,6-12).
La genuina libertà cristiana non ci sottrae alla schiavitù della legge per sottoporci a quella della carne: di questa si debbono frenare le concupiscenze, affinché sovrabbondino i frutti dello spirito. Il genuino seguace di Cristo ha crocifisso la propria carne e vive e opera secondo lo spirito (5,13-25). Si guardino i fedeli dalla vanagloria, dall’invidia e dalla durezza verso chi è sorpreso dalla colpa, vegliando per non essere a loro volta tentati. Si sopportino gli uni gli altri e donino con larghezza a chi li istruisce, ricordando che ognuno raccoglierà secondo che avrà seminato (5,26 – 6,10).
L’epilogo è un post-scriptum vergato di proprio pugno da Paolo, per autenticare la lettera, e sottolinea ancora una volta l’opposizione irriducibile che c’è tra l’azione e la dottrina di lui e quella dei suoi avversari. Egli, poi, porta nella propria carne, quasi a conferma della sua predicazione, le stigmate di Cristo (6,11-17). L’augurio finale ha la brevità nervosa dell’inizio (6,18).
3. I giudaizzanti di Galazia
Da Gal risulta che essi predicavano e imponevano, con le altre pratiche giudaiche, la circoncisione. Gli antichi esegeti (ad esempio, s. Girolamo, In Epist. ad Gal., 5, 4: PL 26, 424; s. Agostino, Exp. Epist. ad Gal.: PL 35, 2105 sgg.), non hanno dubitato che tali pratiche venissero considerate come mezzi necessari alla salute, senza dei quali la Fede e il Battesimo restavano inefficaci. Sarebbero stati quei giudaizzanti che sogliono chiamarsi intransigenti o radicali.
Che quelli di Galazia predicassero l’osservanza di queste cose come un mezzo che conduceva alla perfezione della vita religiosa, ma non era necessario alla salvezza, come qualcosa che si proponeva alla buona volontà dei neofiti, ma non s’imponeva, è stato affermato da acattolici e cattolici. Contro di essi cf. Lagrange, che ha fornito (Épître aux Galates, III ed., Parigi 1926, pp. XXIX-LVIII; Id., Les judaisants de l’Épître aux Galates, in Revue biblique, 14 [1917], pp. 138-67) la più esauriente dimostrazione del radicalismo intransigente dei giudaizzanti combattuti in Gal. L’energia con cui Paolo investe la questione e gli avversari lascia capire che si trattava di una grave deformazione, o piuttosto perversione del Vangelo, che conduceva alla conseguenza esiziale di rendere inutile l’opera di Cristo. Si tratta di due Vangeli diversi: meglio – corregge subito l’Apostolo – non di due Vangeli, ché ce n’è uno solo, ma di un attentato alla sostanza stessa del Vangelo di Cristo (1,6 sg.). E la cosa è tanto grave che egli non esita a ricorrere all’anatema contro chi ardisce accingersi a tale impresa, anche nell’ipotesi assurda che costui fosse Paolo stesso o un angelo dal cielo (1,8 sg.).
Anche A. Loisy, in un primo tempo (Revue d’histoire et de littérature religieuses, 7 [1921], p. 76 sg.) riconosceva che Gal, come le due lettere ai Corinti, è un documento palpitante di vita paolina; ma un’ulteriore sua critica (La naissance du christianisme, Parigi 1933, p. 23 sgg.) fu sfavorevole all’autenticità di Gal, che egli considerò, in parte, notevolmente posteriore al I secolo, a motivo della troppo chiara affermazione della divinità di Gesù: questa sarebbe il frutto di un’evoluzione teologica arrivata al suo ultimo stadio solo nel II secolo inoltrato.
La voce di Loisy è rimasta isolata (cf. M. Goguel, Galates, Épître aux, in Dict. Enc. de la Bible, I, p. 459); infatti Gal è conosciuta e utilizzata all’inizio del secolo II da Ignazio di Antiochia (Ad Eph., 16, 1 e 18, 1; Ad Magnes., 8, 1; Ad Rom., 2, 1; 7, 2; Ad Philadel., 1, 11; Ad Polycarp., 1, 2) e da s. Policarpo (3,3; 5,1.3; 9,2; 12,2); durante il secolo II le citazioni e le esplicite attribuzioni a Paolo si moltiplicano, concorrendovi anche l’eretico Marcione, che delle lettere paoline accettava anzitutto Gal.
4. Autenticità Paolina e rapporto con l’Epistola ai Romani
L’autenticità di Gal è ormai indiscussa. Se il radicalismo di B. Bauer e di qualche altro rappresentante della scuola olandese è arrivato a contestarla, per contro la scuola di Tubinga (per rimanere nel campo acattolico) ha architettato la teoria del paolinismo contro il petrinismo sul presupposto dell’autenticità di Gal, quale documento dell’intransigenza di Paolo nell’affermare l’emancipazione della legge.
I caratteri interni confermano appieno la testimonianza dell’antichità. Oltre che un falsario non avrebbe pensato a mettere così crudelmente a nudo una grave crisi di queste comunità paoline, quasi uno scacco di Paolo stesso, questi solo poteva parlare con tanta sicurezza ed energia, forte della sua autorità di apostolo e di padre.
L’autenticità di Gal sarebbe confermata, se occorresse, anche dalle notevolissime somiglianze con Rom, non per il tono e per la particolare impostazione del problema che sono totalmente diversi, ma per le idee. Gal è l’anticipazione polemica dell’ampia e serena trattazione di Rom. Ma in questa il disegno si è allargato: la nuova economia della Grazia vi è considerata in una visione sintetica ed esauriente e in forma più positiva. L’anima, però, e le idee maestre sono le medesime; onde si può considerare Gal come un abbozzo di Rom: un abbozzo che non dovette precedere di molto il quadro tracciato a Corinto, nella calma relativa dell’inverno 57-58.
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