Le grandi strade dell’Impero

di Guido Clemente

Il testo è tratto da Sulle orme di Paolo, vol. II, allegato alla rivista “Jesus” n. 1 (2009): pp. 22-27.

«Roma ha unificato il mondo con le sue strade», diceva l’oratore Elio Aristide nel II secolo dopo Cristo. Ma già un secolo prima, ai tempi di Paolo, il sistema viario romano era imponente. Nato a poco a poco soprattutto per necessità militari, continuò poi a svilupparsi; al tempo di Diocleziano (fine del III secolo) le grandi strade erano circa 370, per complessive 53.000 miglia, equivalenti pressappoco a 78 mila chilometri.

Naturalmente le strade meglio costruite e curate erano quelle d’interesse soprattutto militare, cioè tutte le principali, con la caratteristica pavimentazione a grandi lastroni di pietra formanti come un mosaico. Erano larghe almeno m 4,80, secondo una disposizione della Legge delle Dodici Tavole (V secolo a.C.) che riguardava le strade urbane, ma che fu seguita anche per altre importanti arterie.

Le prime di esse furono naturalmente costruite in Italia, a mano a mano che Roma vi estendeva il proprio dominio: l’Appia, la Flaminia, l’Aurelia, la Cassia, la Emilia Scauri, la Postume, eccetera. La conquista, poi, di nuove province portò alla creazione di nuove strade, collegate a quelle italiane che facevano capo a Roma.

In tal modo si può dire che all’apogeo dell’Impero un’unica grande strada circondava il Mediterraneo: la vecchia via Aurelia continuava nella via Domizia che andava in Spagna; da Volubilis in Marocco fino all’Egitto, un’altra strada percorreva il litorale africano. Lungo il Reno e all’interno della Gallia le grandi strade seguivano il limes (confine) e le vecchie vie commerciali, per esempio verso Tolosa e Bordeaux, e spesso erano integrate dai sistemi di comunicazione fluviale, utilissimi per i trasporti pesanti.

In Oriente, i Romani avevano trovato i sistemi viari dei vecchi imperi e poi delle monarchie elienistiche: la via Regia verso l’Eufrate; la strada costiera (chiamata da Strabone “via del Mare”) che andava da Alessandria d’Egitto fino all’Asia Minore attraverso la Palestina (sostituita poi da un’altra via più interna fatta costruire da Traiano); e ancora, le grandi vie carovaniere che toccavano le città di transito come Petra, Palmira, eccetera.

Queste grandi reti furono dai Romani mantenute e potenziate, prolungate: verso Oriente, ad esempio, la via Egnazia portava fino Tessalonica (Salonicco). Sulle grandi arterie, poi, i Romani innestarono un sistema di collegamenti locali che toccava tutte le principali città: in Asia Minore, ad esempio, Efeso era un centro dal quale partivano a raggiera alcune delle vie più importanti. In Gallia, avevano questa funzione di crocevia Lione e Arles. In Italia, Aquileia era al centro di un sistema che andava verso i Balcani, verso il Brennero e verrso la Valle Padana.

Le strade principali erano poi attrezzate con vari servizi essenziali: le mansiones, le mutationes, le stationes, le tabernae, spesso indistinguibili tra loro per le funzioni specifiche e l’organizzazione. In generale, le mansiones servivano come posti di tappa per uso pubblico: il servizio di posta, i viaggi ufficiali di funzionari, i trasporti per conto dello Stato; da esse talvolta si svilupparono città, per la loro forza di attrazione sui piccoli commerci e su attività collaterali. Le mutationes servivano per il cambio dei cavalli e per le riparazioni. Le stationes erano posti di sorveglianza, e ce n’era bisogno; le testimonianze dell’epoca parlano spesso dell’insicurezza delle strade, descrivendo le tabernae o luoghi simili come regno di ladri, prostitute e ubriaconi. Insomma, il viaggiatore privato, senza scorta, era piuttosto malsicuro. Perciò le autorità cercavano di incoraggiare l’assistenza ai viaggiatori; e a quanto pare essa era obbligatoria a termini di legge, per quanti abitavano in prossimità di strade.

La manutenzione di questo grande sistema di comunicazioni era naturalmente assai costosa: a ogni grande strada sovrintendevano speciali curatores e le spese venivano addossate, secondo i casi, a città, a privati o alle casse imperiali. Naturalmente, viaggiare non era uguale per tutti: i ricchi si muovevano con un seguito di amici e di servi, portandosi spesso le suppellettili da tavola, e nelle soste alloggiavano in una delle loro case o in quelle di conoscenti, per solidarietà tra aristocratici. L’avvento del Cristianesimo segnerà anche in questo campo una rivoluzione profonda e benefica: l’assistenza ai viaggiatori si trasformerà infatti in dovere di tutti verso tutti, senza distinzione, dando vita a una quantità di iniziative destinate a durare per molti secoli.

I mezzi di trasporto erano diversi: la raeda, carrozza trainata da buoi o da muli; il carrus o currus, che era una biga; il cisium, un carrozzino a due cavalli; il carpentum, un grande carro coperto usato dai funzionari; la benna per trasporti di più persone. Per i trasporti commerciali si usava il carro con quattro ruote cerchiate di ferro. Tutti mezzi lenti, naturalmente, ma l’organizzazione lungo le strade consentiva tuttavia di percorrere distanze ragguardevoli.

Fino all’età moderna e al trasporto per ferrovia, i tempi impiegati dai Romani non erano molto superiori a quelli dei secoli successivi. Un carro trainato da buoi percorreva da 8 a 10 miglia al giorno (1 miglio romano = 1480 metri) a seconda della stagione. Per andare da Efeso all’Eufrate, ad esempio, s’impiegavano 35 giorni a piedi e 30 con i cavalli, mentre il cursus publicus, il servizio veloce dello Stato, ne impiegava 21. Per mare i trasporti erano assai più rapidi – fino a 100 miglia al giorno – ma limitati alla buona stagione.

Accanto ai servizi logistici pubblici fiorivano naturalmente quelli privati. Si chiamavano tabernae, come già abbiamo visto, o deversoria, hospitia, caponae, e ce ne rimangono esempi in luoghi come Pompei ed Ercolano: di solito erano locande con piccole stanze per i viaggiatori e stalle per le bestie. Alcune di esse divennero città, come indica il nome di Tres Tabernae in Austria.

L’apostolo Paolo, che viaggiava per divulgare l’annuncio di Cristo, incontrò molta gente lungo le strade: chi si muoveva per ragioni commerciali, chi per servizio, chi per diletto o per varie cose insieme. Cicerone, ad esempio, viaggiava per visitare le sue proprietà; Plinio il Giovane viaggiava anche per curarsi.

L’alto Impero fu certo un periodo di gran traffico sulle strade e per mare. Lo mostra la rapidità con cui si diffondevano le religioni (il culto di Mitra, ad esempio, che come il Cristianesimo arrivò dappertutto nell’Impero). Ne sono eloquenti indizi, poi, il volume dei commerci anche modesti, spesso di piccoli venditori ambulanti, le iscrizioni che documentano l’attività di singoli o di collegi professionali, collegati con parti lontanissime dell’ Impero. La stabilità politica interna, la lunga pace, l’unificazione culturale, con la sensazione di appartenere veramente a un unico mondo, crearono condizioni mai più ripetute (e rapidamente dissolte anche nel mondo romano).

Documenti sulle vie di comunicazione

L’oratore Elio Aristide, di cui abbiamo parlato all’inizio, nel suo Elogio di Roma diceva: «E viene a voi da ogni terra e da ogni mare quanto producono o danno le stagioni e le singole terre e i fiumi e gli stagni e le arti degli Elleni e dei barbari; cosicché, se taluno volesse vedere tutti questi prodotti, dovrebbe viaggiare tutto il mondo o venire a guardarli nell’Urbe. Infatti tutto quanto presso i vari popoli cresce e si fabbrica, qui sempre sovrabbonda… Tutto si riunisce qui: commercio, navigazione, agricoltura, sfruttamento delle miniere e arti, quante sono esistite o esistono, e tutto ciò che si produce e cresce».

Troviamo descrizioni del sistema stradale romano in alcuni documenti arrivati fino a noi. Uno è l’Itinerarium Antonini, elenco di tutte le strade di grande comunicazione dell’Impero, del III secolo. Un altro è la Tabula Peutingeriana, una grande carta geografica su pergamena, pubblicata in Austria nel XVI secolo da Conrad Peutinger (da cui il nome) e che si fa risalire anch’essa al III secolo. È andata invece perduta la prima ricognizione sistematica di vie terrestri e marittime di comunicazione, realizzata a cura di Marco Vipsanio Agrippa, il grande amico e sostenitore di Augusto.

Delle vie di comunicazione ci parlano poi vari testi letterari come il viaggio di Orazio a Brindisi (I secolo a.C.) o l’Itinerarium Burdigalense del IV secolo d.C, relativo al viaggio da Burdigalia (Bordeaux) a Gerusalemme. In essi troviamo molte informazioni sul modo di viaggiare in generale; gli epistolari, poi, tra cui spiccano quelli di Cicerone e di Plinio il Giovane, informano qua e là sulle abitudini di viaggio dei ricchi.

Esiste poi un’altra documentazione preziosa: quella ufficiale, dalle pietre miliari alle disposizioni sulla posta (cursus publicus), sui trasporti d’interesse militare (annona) e sui trasferimenti di truppe, che forniscono una serie di notizie sui tempi di percorrenza, sulla sicurezza, sull’amministrazione e manutenzione delle vie principali dell’Impero. Trattati tecnici e rilievi archeologici illuminano infine sulle modalità di costruzione. Nell’insieme, un’imponente massa di dati sull’organizzazione complessiva, che qui vorremmo meglio conoscere: i viaggi e i problemi della gente qualsiasi.

Le strade romane, importantissima struttura militare, economica e politica, erano viste anche come monumenti e veicoli di propaganda: le pietre miliari, come si sa, servivano a misurare le distanze; ma col tempo vi s’incisero anche iscrizioni laudative per gli imperatori che costruivano o tenevano in ordine questa o quella strada. Anche così la propaganda viaggiava e unificava l’Impero, mentre viaggiavano le merci, le persone e le idee.

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